Mia moglie Lidia
Quando, dove e come è cominciato, non lo so; ricordo solo che stavo percorrendo una sorta di sentiero fiorito così sereno da perdermi nel sogno; poi, di colpo, il risveglio in pieno incubo.
C’eravamo sposati abbastanza giovani, io e Lidia, lei venticinque anni ed io poco meno di trenta; avevamo festeggiato con gioia i primi sette anni di matrimonio, felici di aver passato una data che la diceria popolare considera letale per qualunque coppia; la nostra vita scorreva su binari sicuri.
Lei aveva ereditato dal padre un’azienda ben avviata, nella quale a me non era stato assegnato nessun incarico ufficiale; ma Lidia era troppo pigra e, forse, troppo presa da se stessa, per dedicarsi al lavoro vero di direzione; quindi lasciava a me il compito di suggerire le cose da fare, il come farle e insomma come gestire tutto; lei si limitava a firmare carte e presentarsi in abiti elegantissimi in tutte le occasioni in cui l’Azienda doveva essere rappresentata e presente.
Del resto, emulava sua madre che, però, non aveva voce in azienda e si limitava a vivere nel lusso ammirando suo marito che sgobbava; in compenso, era assai evidente il suo amore per lui, che a sua volta riteneva un grande motivo d’orgoglio esibire la sua bellissima donna in tutte le occasioni; nel nostro caso, invece, non erano poche le gaffe in cui Lidia incorreva, nelle occasioni ufficiali, e che toccava poi a me riparare, molto spesso facendo i salti mortali.
Per quest’unica ragione, la mia presunta prevaricazione nella sua vita senza darmi l’agio di accorgermene, forse non rendendosene conto neanche lei, mia moglie decise di percorrere un’altra strada che la allontanava da me e che, addirittura, mi rendeva un fastidio per le sue voglie; lei non confessò mai niente di quello che avvenne; ma un’analisi logica e cronologica degli eventi mi portava a credere che l’avvio del cambiamento coincise con la sua iscrizione a una palestra.
Non aveva nessun bisogno di tonificare il suo fisico che era meraviglioso e sempre in forma; in casa, se avesse voluto, si sarebbe potuta permettere un personal trainer; ma scelse di frequentare una palestra in città tre volte la settimana; avrei saputo dopo che si era infatuata di un istruttore e che ci andava solo per praticare la ginnastica più antica del mondo, quella della camera da letto, con l’aitante istruttore su un lettino che era lì a disposizione di un custode.
Come tutti i cornuti, non venni a sapere della vicenda che molto tempo dopo, quando le cose precipitarono avvitandosi fino a schiantarsi contro di me e a schiacciarmi; non ho mai saputo e non saprò mai quanti amanti prosciugasse nei due anni in cui Lidia mi cornificò con mezza città; frequentava pub e circoli, sale private e locali pubblici, dovunque esibendosi come una star e dovunque lasciando il segno del suo passaggio nei pantaloni di qualcuno.
Presi coscienza del suo comportamento il giorno che, di colpo, me la trovai davanti, nella camera a letto, nuda, con un maschio ben strutturato e ben fornito, col quale si stava baciando; rimasi senza parole e, non appena accennai ad una protesta, mi liquidò come un piccolo arrivista che con la sua laurea in ingegneria veniva a sfruttare da parassita la ricchezza che i suoi avevano costituito per lei.
Mi accordai con l’amministratore dell’azienda e, visto che gli ordini reali li davo io, gli imposi di crearmi un conto - salvezza, personale, in Svizzera, visto che lei già era titolare di un conto off shore che le avevo fatto costituire nei Caraibi; naturalmente, da quel momento, il conto caraibico si fermò quasi del tutto ed il mio lievitò rapidissimamente; intanto, le pretese della mia consorte crescevano di giorno in giorno.
La prima richiesta fu che assistessi alle sue cupole seduto su una sedia dove mi era proibito anche masturbarmi; allo scopo, acquistò anche una gabbietta particolare che mi frenava il pene e m’impediva di avere erezioni; avere perso quasi dieci anni con lei, facendo l’eminenza grigia, mi poneva nella condizione che tutto fosse intestato a lei; l’unica possibilità, per me, era aspettare che il mio castelletto in banca crescesse tanto da poter prendere il largo.
Finsi di accettare e mi spacciai per cuckold, asservendomi alle sue voglie; si portava in casa gli amanti, mi obbligava a indossare la gabbietta, mi faceva sedere sulla poltrona e dava il via al suo personale spettacolo; normalmente, si trattava di giovani prestanti che incontrava nei locali che frequentava, che affascinava con la sua indubitabile bellezza e che persuadeva a venire a copulare a casa sua, davanti al ‘cornuto’ che avrebbe assistito impotente, anzi avrebbe goduto delle sue performance.
Una volta si presentò con un nero, un autentico mandingo, di circa una trentina d’anni, il cui sesso mi impressionò molto; lungo circa venticinque centimetri, largo come una lattina da bibite, si ergeva come un minareto dal ventre asciutto e nervoso; tutta la complessione era da uomo di grande muscolatura che si teneva in forma perfetta ed era in grado di sollevare come un fuscello anche me che pesavo settantacinque chili.
Lo baciò con una passione che non le avevo mai visto e portò immediatamente le mani sul sesso che diventò un pilastro di cemento; accostò la bocca ed io, che pure l’avevo vista succhiare membri assai grossi, temetti che non potesse prenderlo tutto; invece la vidi masturbarlo a due mani e leccarlo delicatamente dalla cappella; lui gemeva, fremeva e spingeva per infilarlo; lei alla fine lo accontentò, spalancò le fauci ed io vidi il mostro immergersi tra le labbra con la massima disinvoltura.
Speravo che si fermasse lì, ma i due erano decisi ad andare assai oltre; lui spingeva il ventre in avanti per obbligarla ad ingoiare; lei faceva sforzi sovrumani per accogliere la bestia e ad un certo punto vidi che la mazza era entrata per almeno un terzo, mentre lei godeva e salivava per facilitare l’ingresso; quando sembrò giunta al limite e lui fu soddisfatto della fellazione, sfilò la bestia dalla bocca, la fece sdraiare sul bordo del letto e fu lui a leccarle la vulva con una lingua larga e rugosa.
Contai almeno cinque orgasmi mentre le succhiava il clitoride e le infilava in vagina tre dita lunghe e affusolate; la fece spostare carponi sul bordo del letto e, in piedi ai lati, le infilò in un sol colpo la mazza fino in fondo alla vagina; la lubrificazione degli orgasmi e quella delle leccate precedenti fecero sì che entrasse liberamente e scivolasse poi avanti e indietro fino a sbattere contro il collo dell’utero; mai mia moglie era stata sbattuta in quel modo; ma urlava di goduria.
Quando vidi il nero sfilare il sesso dalla vagina e dirigere la cappella all’ano, rimasi terrorizzato e se ne accorse anche mia moglie che scoppiò in una grassa risata ed esclamò, rivolta al mandingo,
“Guarda, il cornuto ha paura che tu mi possa rovinare il culetto a cui credeva di avere diritto insieme ai miei soldi!”
Non valeva nemmeno la pena di commentare e decisi di abituare lo sguardo allo spettacolo immondo che mi stava offrendo, mentre dentro di me la bile girava intorno al desiderio di vendetta che ero deciso a mettere in atto a costo di lasciarci la pelle; la troia si fece penetrare anche analmente, soffrendo molto ma eccitandosi all’idea dell’umiliazione che mi infliggeva; il nero la montò per un lungo tempo; quando lei lo autorizzò, le scaricò nell’intestino un fiume di sperma.
Lo scempio che fece di me quella volta mia moglie durò un paio d’ore, necessarie a lei per farsi sbudellare e scaricare in corpo tre eiaculazioni assai potenti; poi anche il mandingo si stancò, si rivestì ed andò via; finalmente, mi tolse la gabbietta e potei andare in cucina a prepararmi un caffè; mentre lo sorseggiavo, lei uscì dal bagno decisamente provata ma felice e sorridente; mi venne vicino e mi disse.
“La vuoi sentire la cosa più assurda e paradossale? Io ti amo; ti odio ferocemente, ma ti amo anche, come quando mi lasciai sverginare da te, prima nell’ano e poi in vagina; sei stato tu che mi hai svezzato, che mi hai insegnato tutto quello che chiedevo e che potevi insegnarmi; io non ho potuto insegnarti ad essere povero e a comportarti da povero; sei riuscito ad arricchirmi, sperando di arricchirti; hai cercato di dominarmi con la cultura e con l’intelligenza.
Allora ho deciso che dovevo insegnarti io ad essere succubo e povero. Ora sei solo un povero parassita che vive dei miei soldi e un cornuto contento che mi lascia fare tutto quello che voglio. Sono soddisfazioni.”
“Ascoltami, Lidia; sei la feccia dell’umanità; sei nata ricca e vissuta nella ricchezza; mi disprezzavi anche quando lasciavi che ti sverginassi dappertutto; io ero convinto che fosse l’amore a muoverci; tu stavi già parlando con l’orgoglio represso. Ci siamo chiariti; io ho capito e non cerco neanche di lottare. Ti sei comportata da stupida e affermi che io ti ho trattata da stupida. Ora ti dirò una cosa che da persona intelligente faresti bene a capire.
PAGHERAI TUTTO QUESTO; io ti vedrò piangere e implorare pietà; tu verrai a chiedermi di tornare, per quell’amore che proclami e le cui evidenze sono nello spettacolo che mi hai offerto; quella volta pagherai, caro e amaro; le lacrime che verserai saranno pari a quelle che non riesco più a versare io.”
“Oh, guardalo, l’impotente; minaccia … per ora tu stai a guardare e io agisco; avvisami, quando decidi di farmela pagare; preparo gli assegni.”
“Ti do un ultimo consiglio … e te lo do gratis …. Se paghi un po’ di avvocati e annulli il matrimonio, ci perdi poco; se continui ad infierire perché sei feroce per istinto, dovrai mordere te stessa se vorrai sentire il sapore del sangue.”
Mi fece uno sberleffo e si ritirò nella camera dove da un anno non avevo più diritto di accesso.
La scena finale ebbe luogo una mattina di giugno, quando Lidia uscì di casa dicendomi che andava in barca con amici e non sapeva quando sarebbe tornata; sulle prime, non diedi importanza alla cosa, perché da sempre, quando decideva di uscire in barca, non le si poteva chiedere niente; della durata, neanche parlarne; la destinazione era ignota anche a lei; in qualche modo, mi consolai perché durante la sua assenza non rischiavo altre scene come quella del mandingo.
Col tempo, però, la sua assenza si fece più imbarazzante, non avendo lasciato nessuna indicazione su come potessi raggiungerla; pensai di scegliermi una compagna, perché gli incontri occasionali mi avevano stancato, ma da tempo mi incontravo con un’amante fissa; denunciai l’abbandono e la scomparsa di mia moglie, ma non riuscii ad arrivare a qualche informazione; misi annunci su giornali internazionali, incaricai un’agenzia di indagini; ma non cavai un ragno dal buco.
Ogni tanto qualche segnalazione sporadica si rivelava una bufala; alla fine, la Polizia decise di dichiarare la scomparsa ufficiale che, senza il corpo, non poteva avere nessun valore; tecnicamente, avrei dovuto far dichiarare la morte presunta per prenderne, come erede, il posto di comando nell’azienda; ma l’esperienza suggeriva che le eredità attirano sempre sciacalli; avviai allora una mia attività, coi fondi costituiti in Svizzera; lavorai sodo, anche perché non dovevo pensare ai fastidi che Lidia provocava.
Per mettermi al riparo da qualunque altra ipotesi di noie, avviai le pratiche di separazione per l’abbandono di lei; nel giro di sei mesi, riuscii ad ottenere almeno di liberarmi da quel legame, in attesa dei termini per chiedere il divorzio; l’assenza della ‘controparte’ ritardò notevolmente i procedimenti, ma alla fine ottenni il documento che certificava la mia libertà, almeno provvisoria.
Ad un anno esatto dalla sparizione, Lidia ricomparve in città; seppi da amici che si era già scontrata con la realtà del suo fallimento e che, dopo avere un po’ sbraitato sulla mia potenza costruita sulla sua distrazione, sembrava addivenuta a più miti consigli; l’avvocato di famiglia di lei mi pregò caldamente di avere un confronto per spiegarci, se era ancora possibile parlare civilmente tra noi; accettai, anche se nutrivo molte riserve, e ci incontrammo nel suo studio.
Lidia scelse l’atteggiamento della moglie contrita e mi chiese come mai non avessi impedito il fallimento dell’azienda, visto che ero stato sempre io ad occuparmene; prima che scattassi, fu l’avvocato a spiegarle che io non ero mai figurato in nessun ruolo, che la mancanza della firma della titolare aveva impedito qualsiasi attività, che la ditta era affondata perché lei non si era preoccupata di lasciare una qualsiasi delega; cercò di dire che mi ero sempre occupato di tutto; la guardai con pena.
“Sei riuscita ad annientare il lavoro di un secolo della tua famiglia, hai distrutto la memoria di tuo padre e quella di tuo nonno che ci avevano messo il sangue, in quell’iniziativa … hai sfasciato un matrimonio che sembrava felice; non hai mai mosso un dito ed ora ti meravigli che tutto sia andato a rotoli?”
Il momento più delicato fu quando mi chiese.
“Ma tu mi ami ancora?”
“NO”
“Io invece ti amo come quando ci siamo conosciuti.”
“Il mandingo è andato via?”
“Che c’entra il mandingo?”
“L’ultima volta che hai detto questa frase, un mandingo era appena uscito … ricordi, per caso?”
Poté solo abbassare la testa; capì finalmente che quel giorno ero stato profetico.
“Cosa mi consigli di fare?”
“Lidia, riesci almeno a renderti conto delle assurdità che dici? Cosa hai fatto per un anno? Da dove vieni? Come hai fatto a vivere? Se hai un amante che ti ha mantenuto finora, torna da lui. Se non ce l’hai e vuoi consigli, comincia innanzitutto a dire cose elementari, chi sei, dove vuoi andare, cosa vuoi fare.”
“E’ VERO; anche questo è vero, come le profezie di allora; perché tu la verità la sai individuare e la sai dire. Allora, ti ricordi quella crociera ai Caraibi durante il viaggio di nozze? … E’ vero anche questo; sono io stupida e presuntuosa; tu ricordi tutti i momenti belli della nostra vita insieme … Quella ammetterai che c’è stata e anche i momenti belli … OK, ti ricordi che facemmo scalo per guasti in quell’isoletta semideserta? Ho vissuto là, per un anno; anche se non ti fa piacere, ho vissuto col ricordo di te.”
“Sì, a questo ci credo; mi hai ricordato sempre in certi momenti e mi hai immaginato ingabbiato su una sedia … “
“No; sei libero di non credere; quando sono sbarcata sull’isola, ho cancellato la tua presenza ed è rimasto solo il ricordo meraviglioso di quel viaggio; non voglio negare che ho fatto quello che tu pensi, di tutto e di peggio; ma non c’entravi più tu; c’era la mia imbecillità a basta.”
“Beh, adesso si può parlare; ma se dici una sola imbecillità, ti mando al diavolo. Hai usato quel conto off shore? Lo hai bruciato?”
“Ho usato quello ma non l’ho intaccato; sono stati sufficienti gli interessi per consentirmi di mantenermi senza prostituirmi; questo solo per prevenire un tuo possibile sospetto; sono stata troia come lo ero qui, mi sono illusa di continuare ad offenderti vivendo da libertina; ma ho amministrato oculatamente i miei soldi, perché non sono solo la spendacciona che compativi come una bambina cretina; so anche essere donna cosciente e capace di decidere, se devo.”
“Qui non dovevi?”
“Vuoi che riapriamo il libro dei contrasti? Non dovevo, perché il mio istitutore, quello che è povero ma sa tutto, che sa fare tutto, che è il più bravo di tutti, che non sbaglia mai, che mi ama alla follia, quell’uomo mi impedisce di crescere e si limita a sottolineare le mie gaffe. Volevi questo? Eccoti servito!”
“Una sola frase e tutto si chiarisce. Adesso l’istitutore cosa dovrebbe fare? Stare zitto e mandarti al diavolo? Ti rendi conto di che cosa hai combinato, per non avere avuto la forza di dire questa semplice frase?”
“NON HO DETTO CHE E’ STATA COLPA TUA; LO SO CHE E’ STATA SOLO COLPA MIA; per favore, cerca di scendere dalla cattedra; ho sbagliato tutto; vuoi che mi cosparga la testa di cenere? Non me ne sono andata; ti ho cacciato ed ho strappato dalla mia vita e dal mio corpo il buono che rappresentavi di me. Non ti basta? Ma, per favore, vuoi ammettere che anche tu non hai fatto scelte inoppugnabili?.”
“Un piccolo concorso di colpa me lo devo prendere; ormai però il guaio è grosso e irrimediabile.”
“Ce la fai ad ascoltare qualche altro mio vaneggiamento? Ho da chiederti molti favori; tre in particolare; te la senti di ignorare chi sono e di parlare serenamente con una che per anni hai amato veramente?”
“Posso provarci.”
“Con l’azienda non è stato ceduto il nome; l’idea che ho distrutto quel nome mi fa stare male; non potresti comprarlo e darlo ad una delle tue fabbriche, perché non muoia? Come avevi previsto, te lo chiedo in ginocchio per me ma anche per mio padre che ho oltraggiato assai più crudelmente di quanto ho fatto con un marito con gabbietta sulla poltrona; mi daresti questa opportunità di riscattarmi almeno agli occhi di mio padre? Te la senti di comunicargli che il suo nome non è morto?”
L’avvocato che ci ascoltava le fece presente che la richiesta era già stata da me presentata ma che suo padre si rifiutava di accettare l’idea che un uomo che per lui era stato sempre un amico carissimo fosse stato umiliato e mortificato da una figlia imbecille e capricciosa; riteneva ancora più grave accettare che quell’uomo salvasse il nome che non era solo della fabbrica ma anche della moglie che lo aveva mortificato; Lidia adesso stava piangendo sul serio e non faceva niente per nasconderlo.
“L’avevi previsto; sto piangendo le lacrime che tu hai ingoiato. Mi aiuti, per favore?”
“Ora sei anche in ginocchio a chiedere aiuto; te l’avevo predetto! … Hai parlato coi tuoi?”
“Non ho il coraggio … “
Ero esasperato; l’avvocato cercò di soccorrermi.
“Signora, questo comportamento denota una gravissima debolezza … “
“Sono ancora un’imbecille … Perché non me lo dici stavolta?”
“Perché quella a cui lo dicevo era la moglie che amavo e che cercavo di guidare; di te, non me ne frega niente e puoi essere la signora delle prostitute, la regina degli imbecilli, puoi essere quello che vuoi; sono solo affari tuoi!”
“Consideri un’offesa se ti coinvolgo in qualche piccola bugia coi miei?”
“Se è a fin di bene, fai pure … “
Fece un numero e parlò con la madre, sentivamo anche noi i singhiozzi dall’altra parte.
“Mamma, per favore non essere triste; io sto bene ed anche mio marito è sereno ormai; mi sono trasferita a Trinidad, è nei Caraibi; dal mio ex marito sono divorziata e lui non ce l’ha più con me; dici a papà che accetti la proposta; lui gli vuole bene e ne ha voluto a me; lo fa per amore; cerca di convincerlo, per favore … Non vengo a trovarvi, il mio aereo parte oggi stesso; non credo che vi vedrò mai più. Addio, mamma; abbraccia papà per me.”
“Quindi hai deciso che torni nei Caraibi … “
“Conosci un’altra soluzione?”
“No; per la verità pensavo che non saresti venuta mai più.”
“E’ stato inevitabile; il conto non cresceva più; dovevo capire e, nel caso, rimediare.”
“Come rimedi?”
“Cerco di investire là; ho ancora qualcosa da parte e c’è più margine di quel che pensi; questa però è la seconda cosa che devo chiederti. Grazie per avermi aiutato; spero che papà decida di starti a sentire; sei grande, come sempre; ed hai la pazienza della gabbietta, anche adesso; non parlo a vuoto quando dico che ti amo; se fossi stata come mia madre, avrei l’uomo migliore del mondo … “
Non ho tempo di ribattere perché l’avvocato mi avverte che l’ex suocero ha accettato la proposta di acquisto, per un euro simbolico, del nome alla mia fabbrica; lo esorto a fare tutti gli adempimenti.
“Non te la prendere per quello che sto per dire; sono contenta che qualcosa di me ti resterà comunque appiccicato alla vita, fosse anche solo il nome di una fabbrica. Non ti offendere, se ne sono felice; è l’unica gioia, in questo tornado.”
“Purtroppo, ci accontentiamo ambedue delle briciole. E’ ineluttabile.”
Usciti dallo studio, salì in macchina con me; non potei fare a meno di notare che era ancora bellissima; ma non cercavo neanche di immaginare quali caverne si celassero fra le sue cosce, adesso, col materiale di cui disponeva abbondantemente nell’isola; quasi istintivamente, mi venne di chiederle come intendeva vivere e soprattutto con chi; mi rivelò che c’era James, un giovane avvocato col quale aveva una storia; sperava di convincermi ad associarci in un’iniziativa; l’altro sarebbe stato utile.
Non capivo ma, come sempre nel lavoro, mi tenevo molto cauto.
“La seconda cosa di cui ti volevo parlare si riferisce proprio a questa mia situazione. Ti ricordi le piantagioni di frutta tropicale che ci colpirono quella volta? … Bene, sono ancora le stesse, sfruttate male e quasi abbandonate. Quando pensavo a te, e ti pensavo più spesso di quel che ti va di accettare, mi colpiva l’idea che, se tu fossi stato lì, avresti immediatamente ideato come rilevare quei campi, renderli produttivi, sfruttare la frutta per avere dei prodotti di qualità da immettere sui grandi mercati.
La spesa iniziale sarebbe anche abbordabile, a certe condizioni; la manodopera da quelle parti costa una miseria; se si realizzano alcuni ammodernamenti può diventare un investimento … “
“E io come c’entrerei in questa faccenda?”
“Non ho la somma necessaria per rilevare le piantagioni, fare ammodernare le strutture e creare un’industria di trasformazione e di commercializzazione; avrei bisogno di un socio, no, di un compagno di viaggio che creda in questa follia e sia disposto a farla con me, alla peggio rimettendoci una barca di soldi se non riusciamo a farla diventare fonte di ricchezza.”
“Mi proponi una joint venture?”
“Chiamala come ti pare; prestito a lunga scadenza, contributo a fondo perduto, società per azioni, società in nome collettivo, quello che vuoi; io lo chiamo gesto di fiducia. Ce la fai a reggere una botta, non fisica, psicologica, ed avviarti con me su un percorso strano, dove io cammino spedita e tu stai a guardare?”
“Lidia, dieci anni d’amore possono senz’altro valere qualunque cifra tu mi chieda; ma qui siamo nel campo degli affari; ti dico, pregiudizialmente, che la cosa tu la farai, con il mio contributo; ma lascia che muova le mie pedine per stabilire modi e tempi. Se ti va, vorrei conoscere dentro di te cosa sogni; così l’imprenditore potrà fare i conti con l’ex marito ancora innamorato; e guai a te se lo ripeti fuori da quest’auto.”
“Ho bisogno di flagellarmi; devo capire fino a che punto avrei potuto essere l’imprenditrice che mio padre sognava, la compagna di vita e di lavoro dell’uomo che amavo e che mi adorava; insomma, voglio vedere con i miei occhi quanto sono stata imbecille; ma voglio che a fianco a me, in silenzio come hai sempre fatto, ci sia tu, non a rimproverarmi quando sbaglierò, ma a sostenermi quando sarò scoraggiata e sarò tentata di fare i capricci e tacitare i rimorsi con l’ottusità del sesso idiota.”
“Qualcosa è cambiato, in te; io ci sono; per te, ci sono anche in quest’avventura; quantifica le cose e parliamone con i miei amministratori; comunque, voglio informarmi su certi aspetti per decidere come staremo vicini o insieme; stavolta non ti sposo a pacco chiuso, sono con te ma senza impegni.”
“Beh, due cose te l’ho strappate; sono già felice; adesso la più dura. Ceni con me?”
“Se fosse solo una cena, non sarebbe così dura; quindi, devo dedurre che punti al dopocena … “
“No, non ci punto; diciamo che ci spero … “
“Anche su questo, ho bisogno di riflettere un momento; sei pericolosamente bella e ancora più pericolosamente la mia ex moglie; l’iter del divorzio si blocca se finisco a letto con te, tu proponi di accostare il fuoco al pagliaio … “
“Pensaci quanto ritieni; io vorrei cenare con te, anche con altre persone se questo ti rasserena; ma vorrei che lo facessimo da innamorati, da amanti, da coppia sposata, da divorziati, non da estranei totali, ecco.”
“Ti va di venire in ufficio con me e verificare la storia della frutta tropicale”
“Certo, con amore … per il lavoro naturalmente … “
“Comunque ti atteggi, sei perfidamente meravigliosa!”
Mi bastarono poche telefonate internazionali per approfondire il discorso, apparentemente strano, di Lidia; ci volle anche meno per convincersi che era una ipotesi di investimento affascinante e ricco di prospettive; ero strabiliato dal talento che l’ormai ex moglie dimostrava e che non aveva mai espresso quando era con me; le comunicai che sarebbe nata la società in cui io avrei messo, e avuto in cambio, il 70 per cento e lei avrebbe mantenuto solo il 30, impegnandosi a gestire l’impresa; accettò.
Quello che preferii tacere era che mi avevano informato che l’avvocato col quale viveva era fuori dell’attività, perché gay e troppo coinvolto nel suo essere ‘femminile’ per garantire qualità nel lavoro; Lidia sembrava avere adottato uno stile di vita diverso, impensabile e incomprensibile; le chiesi dove alloggiasse; mi indicò una pensione del centro; mi offrii di ospitarla nella casa che era stata nostra e che avevo rilevato a prezzo da strozzino.
“Hai per caso deciso di suicidarti con un dopocena che hai respinto poco fa? Lo sai che, se dormiamo insieme, il tuo ambito divorzio salta? Io ci sto, anche se non credo che farei ancora l’amore per te, non perché non lo desidero, oh se lo desidero!, ma perché ti farei male se ti proponessi di fare sesso con me; ma tu sei folle a rischiare così.”
“Amore mio, ti risulta che io sia folle? … Non lo sono. Prendi le tue cose e portale a casa nostra, non ho paura ad usare quest’aggettivo; mi sa che ti farai più male tu.”
“Fosse anche per prepararti solo il caffè, ci vengo di corsa a casa nostra … “
“ … e dormi nella stanza degli ospiti, come ho fatto io per mesi!”
“E’ il minimo; mi basta risentire i nostri odori, credimi!”
L’accompagnai a ritirare la valigia poi a casa; la lasciai sulla porta affidandola alla donna che vi badava e che lei ricordava benissimo; quando uscì, andammo a cena in un famoso ristorante, sollevando anche qualche brusio di commento; fu elegante, dolce, garbata come da tempo non ricordavo; fui quasi felice di girare con lei tra i tavoli mentre prendevamo posto; la cena fu un dialogo tra due innamorati molto dolci ma senza nessun gesto affettuoso.
Dopo cena, andammo a casa e Lidia era visibilmente emozionata mentre varcavamo insieme la soglia, dopo un anno di dolori e di lotte che ci avevano visto scontrare fino a farci male; notai che osservava le cose con un senso di dolcezza e di rimpianto che mi commuoveva; le indicai la stanza degli ospiti dove aveva sistemato la sua valigia e andai in bagno a prepararmi per la notte; mi recai nella camera e chiusi la porta ma non a chiave.
Come sapevo bene, Ornella era già nel nostro letto, completamente nuda, ed aspettava solo me; mi allungai sopra di lei e le feci sentire il sesso duro da farmi male; non fece nessun commento; sapeva perché ero così eccitato e si limitò a prendere in mano l’asta, mentre la baciavo con un’intensità da soffocarla; da due anni e più, da quando cioè mia moglie era diventata la troia che mi aveva lasciato, ci incontravamo spesso in una garconnière che mi ero costruito in città e sapeva di me tutto.
Mentre lei mi sdraiava sul letto e si fiondava sul mio sesso per ingoiarlo fino ai testicoli, vidi che si apriva la porta e Lidia sgattaiolava dentro; in silenzio, si andò a sedere sulla poltrona dove mi aveva martirizzato per mesi; era stupendamente nuda e si teneva la vulva; il movimento della mano suggeriva che si stava masturbando; quando si accorse della sua presenza, Ornella tirò fuori tutta la sua dedizione a me e diventò perfetta; la sua fellazione si fece degna di un’enciclopedia.
Le bloccai la testa perché mi stava portando all’orgasmo, con la bocca meravigliosa che ben conoscevo; ma non volevo affrettare i tempi; la rovesciai supina e mi abbassai sulla vulva a leccarla; spalancò le cosce oscenamente e mi prese la testa; urlò due volte, in preda ad orgasmi straordinari, e mi spruzzò il suo squirt sul volto in entrambe le occasioni; la ruotai prona e le leccai a lungo il forellino, in cui infilai progressivamente uno, poi due, poi tre e infine quattro dita, dilatandola al massimo.
“Cavoli, questo è amore vero! Si soffre a guardarvi!”
“Colpa della gabbia e della poltrona; ci vuole un grande spirito masochistico per accettare di stare là.”
“Siete innamorati?”
“Sono infelicemente sposata a un imbecille; siamo solo due persone che hanno unito le loro infelicità; non si può chiamare amore, se lui da mesi non fa che operare un transfert e copulare con me avendo in testa e nel cuore una megera che lo fa soffrire seduto su quella poltrona … “
“Ti prego, non dirmi che ho fatto male anche a te … !”
“Non avresti potuto! Neppure io amo tuo marito; anch’io vivo con lui una passione intensa perché amo mio marito che non sa né capirlo né accettarlo; diciamo che sono due corpi che amano, attraverso dell’altro, il fantasma di un altro amore; spero che la presenza in camera del tuo fantasma non cambi le cose tra noi … “
“Ornella, Lidia andrà via tra poche ore; tu sarai ancora qui a cercare di cancellarla, senza riuscirci … “
“Allora mi ami ancora?”
“Non ho mai smesso; ti amavo anche quando ero seduto dove ora sei tu, con una gabbia intorno … “
“Posso toccarti? Solo toccarti; non ce la farei a proporti di fare sesso; ucciderei tutto tra noi; ti lasci toccare?”
“Tu me lo avresti negato; io te lo posso anche concedere; ma a che ti serve?”
“Tu dai amore; Ornella lo sa, perché si prende il tuo amore, non dal sesso che la penetra ma dai tuoi gesti più semplici; tu mi hai amato cenando con me; se ti lasci toccare, avrò l’orgasmo più pieno della mia vita … “
“Ho sentito che James non può darti quello che chiedevi … Non ti chiedo perché … Il tuo avvocato domani presenterà al giudice la dichiarazione che hai dormito sotto lo stesso mio tetto e Ornella da mesi non dice a nessuno che dorme con me, solo tu lo sai; da domani tornerai ad essere mia moglie; ma te ne andrai ai Caraibi e ti costruirai la vita che non hai mai avuto; se davvero lo vuoi, puoi fare quello che vuoi; io sono diverso da te.”
Si avvicinò al letto quasi timorosa, salì sopra e si inginocchiò al mio fianco; ero steso sopra Ornella e stavo copulando; Lidia mi accarezzò la schiena e mi procurava intensi brividi; si abbassò a baciarmi la spina dorsale, la seguì fino alle natiche, le palpò, le baciò, le leccò; una sua mano era sulla vulva e si stava masturbando, la mia amante era coinvolta ed eccitata; esplodemmo tutti e tre, contemporaneamente, io nella vagina, lei sul mio sesso e Lidia nella sua mano; gememmo all’unisono.
Lidia si allontanò in silenzio; si udivano leggeri i gemiti mentre se ne andava piangendo nella camera degli ospiti; non sapevo più se era l’ultimo atto della nostra storia o l’inizio di un capitolo, la nascita di una nuova fase dell’amore; ma neppure sapevo che cosa volevo adesso, se fermarla e riprenderla o lasciarla andare e aspettare che maturassero i tempi e le persone; ripresi a fare l’amore con l’altra e la penetrai dappertutto, esplosi altre due volte, prima di addormentarmi con Lidia nella testa.
La mattina seguente sembrava che niente fosse successo; la particolarità fu che Lidia ci portò il caffè a letto e che io la baciai delicatamente sulle labbra, quasi a ringraziarla; mi avvertì che il volo, a scadenza settimanale, era previsto due giorni dopo; le proposi di andare a trovare i suoi, insieme, e di raccontare la favola che preferisse; aveva ancora paura di se stessa e lo disse serenamente, ma sapevo che avrebbe accettato; l’avvertii che non avremmo dormito insieme; abbassò la testa e tacque.
Stavo male, quando la lasciai al check-in all’aeroporto; lei dovette trattenere le lacrime; ma era una scelta inevitabile; per qualche mese, mi informai assiduamente degli sviluppi del suo progetto; poi lo consegnai ad un fidato collaboratore e quasi me ne dimenticai; non potei fare a meno di meravigliarmi quando, a chiusura del bilancio che mi veniva sottoposto per legge, scoprii che il progetto non solo era decollato, ma aveva avuto sviluppi enormi, che avevo autorizzato quasi ignorandoli.
Insomma, la società decisa con la rinata ex moglie, di cui ero azionista di maggioranza assoluta, aveva dato vita ad una signora impresa di produzione e trasformazione di frutta esotica che aveva conquistato i mercati del mondo, era quotata in borsa e faceva di Lidia una donna ricca e potente; decisi di andare a vedere di persona e mi organizzai il viaggio, senza fare trapelare niente con lei; dopo una trasvolata non facile, il trasferimento in aereo e l’ultima tratta in autobus, raggiunsi l’azienda.
Mi avevano impressionato gli innumerevoli cartelli che, negli ultimi chilometri, segnavano i possedimenti di piantagioni enormi; ancor più notevole era l’impianto di conservazione e di trasformazione con la palazzina della direzione; mi bloccarono ai cancelli d’ingresso; mi bastò identificarmi e, come se si srotolassero tappeti, mi accompagnarono dalla ‘padrona’; la trovai dietro una monumentale scrivania; balzò in piedi e mi volò incontro, si frenò dall’abbracciarmi; la strinsi e la baciai con veemenza.
“Ciao, amore!”
“Come hai detto? Sono ancora il tuo amore? Dopo questi anni?”
“Credi davvero che avrei fatto questo viaggio tremendo solo per guardare le tue piantagioni?”
“Bada, che sono anche e forse soprattutto le tue piantagioni … “
“Ma non valgono niente, a confronto col mio amore … “
“Davvero riesci a vedermi ancora con questi occhi?”
“La vuoi smettere? Ho bisogno di rinfrescarmi. Dove posso alloggiare?”
“Non vuoi venire a casa nostra’”
“Anche qui c’è qualcosa che ci accomuna?”
“Caro, tu hai bloccato il processo del divorzio; io sono felice di essere ancora tua moglie, anche da lontano … “
“Allora, possiamo andare a casa?”
Pochi comandi impartiti in una lingua che appena intuivo e una lussuosa auto con autista ci condusse alla villa che possedeva; lei diceva che possedevamo ma ancora non avevo il senso delle cose; dopo un quarto d’ora ero sotto la doccia più benefica che potessi immaginare; stranamente, lei era scomparsa; uscii in accappatoio e, orientandomi a caso, riuscii a trovare la camera; al centro del letto mi aspettava una mulatta di straordinaria bellezza, poco vestita, come in attesa di me.
Restai quasi abbagliato dalle sue forme e impiegai un poco di tempo, prima di rendermi conto che, seduta in una poltrona ai piedi del letto, c’era mia moglie, s-vestita allo stesso modo e bella anche lei, nonostante gli anni; mi fermai perplesso.
“La situazione è ribaltata; ora io starò in poltrona senza neanche masturbarmi e tu avrai tutte le bellezze che incontrerai; non sono professioniste, ma tutte sono felici di farmi contenta … “
Capii che voleva ricambiarmi le ‘cortesie’; feci segno alla ragazza di venirmi vicino, la baciai sulla fronte e la spedii via con un affettuoso sculaccione.
“Moglie, quel posto sul letto è tuo; non voglio altre donne; non mi interessa se sei sfondata come il Frejus; rivoglio mia moglie e non mi interessa se non è la ragazzina che ho sverginato ma l’imprenditrice che sei diventata; voglio Lidia, voglio te; alla nostra età, le apparenze contano poco; ti amo. Sei ancora certa di amarmi? Allora devi venire con me su quel letto e fare tutto l’amore che possiamo ancora fare.”
Stava piangendo, dolcemente, mentre l’abbracciavo e la baciavo come molti anni fa; ricambiò il mio bacio, con tantissimo amore e con poca eccitazione.
“Lasciami piangere un poco, sulla ragazzina che sverginasti, sulla stupida che ti tradiva, sulla donna che scopre la sua vera natura, sugli errori, sui dubbi, sulle certezze, sulla voglia di ricominciare; ti amo, tantissimo; voglio dimenticare con te tutto quello che è stato; voglio ricominciare, con te, per te, per noi, per una vecchiaia serena.”
“Qui al sole o in Italia nelle nebbie?”
“Il viaggio è duro e lo sarà sempre di più, con l’età; ma io voglio tornare nella realtà in cui devo ancora curare ferite e, ogni volta che sarà possibile, tornare qui a fare ‘la padrona con suo marito’, tutto il tempo che vorremo. Voglio stare con te, voglio che tu stia con me, dovunque staremo bene.”
giuseppe
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