Prime esperienze adolescenziali parte 1

Erano i primi anni ’90 e andavo alle  superiori.

Non ero sicuramente un gran figo: moro, occhiali, cicciottello.

Spesso vedevo dalla finestra della mia camera, attraverso quella di un appartamento nel palazzo dirimpetto al mio, un signore sulla cinquantina / sessantina, che si aggirava per le stanze della propria casa vestito solo della canottiera: flaccido, pene grinzoso, ventre gonfio e molle, orecchie leggermente a sventola, naso a punta e grosso, occhialuto e con un gran riporto di capelli grigi sulla fronte.

Un giorno di ottobre mentre lo guardavo, lui alzò lo sguardo e mi vide. Rimase fermo al suo posto e, fissandomi, con un sorriso laido, protese in avanti i fianchi, stringendo il suo pene alla base tra il pollice l’indice.

Imbarazzatissimo, tirai le tende della mia finestra.

Tutto sembrava essere morto lì. Smisi di guardare verso il suo appartamento.

Dopo qualche giorno, finite le lezioni a scuola, mentre aspettavo il bus per tornare a casa, con la mia cartella a tracolla, me lo trovai alla fermata.

Mi sorrise e io finsi di non vederlo.

Arrivò l’autobus, pienissimo come al solito: era di quelli vecchi, senza posti a sedere in coda.

La folla di studenti, entrando a forza, mi spinse in uno degli angoli della porta posteriore: era talmente affollato che rimasi quasi schiacciato col naso sul finestrino.

Ad un certo punto sentii una mano sul mio sedere, che cominciò a palparmi.

Non riuscendomi a muovere, cercai di passare la cartella dietro ma era inutile.

La mano continuava a muoversi sulle mie chiappe risalendo i miei pantaloni per cercare di entrare.

Il cuore mi batteva fortissimo a causa dell’imbarazzo e della paura.

Riuscii a muovere la testa e  lo vidi dietro di me: il mio dirimpettaio, sorridente con la lingua tra le labbra per la concentrazione di trovare l’entrata per mettermi la mano dentro i pantaloni.

Cercai di strattonarlo ma fu inutile. Allora con la destra cercai di farlo smettere ma me la afferrò e se la mise sul pacco.

Cominciò a guidarmi la mano su e giù. Sentivo il suo cazzo duro attraverso la patta.

Il cuore a 1000 per la vergogna, la mia mano che accarezzava quel gonfiore sempre più grosso, non sapevo cosa fare e il tempo sembrava non finire mai.

“Vedo che ti piace…- Mi sussurrò – Sei un porcellino. Stai facendo tutto tu… So che ti piace il mio cazzo: ho visto come lo guardavi dalla finestra…”

Spalancai gli occhi per la sorpresa: era vero.

Aveva smesso di guidarmi la mano: la sua era dentro i miei pantaloni  a palparmi il culo. Stavo facendo davvero tutto da solo. Continuavo a segarlo da sopra le braghe e quella sensazione aveva smesso di farmi paura, anzi ero eccitato da morire.

Finalmente il bus arrivò in centro storico e lui mi disse con tono autoritario “Adesso scendi con me.”

Mi spinse violentemente verso le porte e, una volta arrivati alla fermata, scendemmo nella piazza del teatro cittadino.

“Vieni.” Mi ordinò.

Mi prese per un polso e, tirandomi, mi fece attraversare la strada verso uno dei portici laterali del teatro.

Non protestai, non mi divincolai, non mi preoccupai: nessuno mi avrebbe cercato, i miei erano a lavorare e sarebbero tornati tardi.

Ero preda dell’eccitazione col mio piccolo cazzetto duro, duro, che si sfregava sulle mie mutande.

Mi fece entrare attraverso una porta sgangherata nei cessi pubblici.

Un odore di urina e di feci mi investì.

Varcato l’antibagno, entrammo nella stanza dei gabinetti: da una parte gli orinatoi con un barbone intento a pisciarci dentro, dall’altra i bagni con le porte.

Il senzatetto ci guardò, ghignando.

Il mio molestatore mi spinse in uno dei bagni e accostò la porticina rotta, senza chiavistello.

Si abbassò la lampo e tirò fuori il cazzo: duro, dritto, osceno, con la cappella lucida di voglia.

Prendendomi per le spalle, mi spinse verso il basso: “In ginocchio!” Mentre lui si sedeva sulla tavoletta del water.

Incapace di reagire, appoggiata la cartella sulla cassetta della cartaigienica, mi inginocchiai tra le pozze di piscio, che spandevano un odore fortissimo, in mezzo alle sue gambe.

“Ora comincia a leccarlo.”

Gli afferrai il cazzo in mano e con la lingua cominciai a percorrere tutta l’asta, su e giù, su e giù. Lui mi guidava la testa con le mani e quando arrivai per l’ennesima volta sul filetto della cappella, mi cacciò il pene in bocca fino in gola.

“Brava la mia troietta… Succhia! Ciuccialo tutto… Così! Da bravo…”

Ormai con la mente ero andato: mentre mi stantuffava la gola, scopandomi la testa mi accarezzavo il cazzetto e neanche mi ero accorto del barbone, che, aperta la porta, si stava segando mentre ci guardava.

Andavo su e giù preso dal parossismo gustandomi quel cazzo gonfio e pulsante nella mia bocca, ciucciando avidamente ogni goccia di siero.

Ad un tratto mi afferrò più forte la testa e mi spinse la sua nerchia profondamente in gola: schizzò tanto. Stavo soffocando, il suo sperma mi andava di traverso. In parte ingoiavo e in parte mi veniva da sputarlo.

Mi lasciò andare e, tossendo come un disperato, sputavo il suo seme, che mi colava sul mento e sui vestiti.

“Non sputare! Ingoia!” Mi ordinò.

Mentre ancora ero preda dei colpi di tosse, sentii degli altri schizzi caldi e appiccicosi arrivarmi sui capelli e la guancia.

Mi voltai di scatto alla mia destra per vedere da dove arrivassero: il barbone mi spruzzò un altro fiotto di sborra maleodorante in piena faccia, continuandosi a segare forsennatamente.

“Adesso puliscimelo!” Esclamò il mio dirimpettaio.

Non curante di tutto lo sperma che mi colava da ogni parte, ripresi il suo cazzo tra le mani e cominciai a leccare ogni grumo di sborra dal suo cazzo, sulla cappella e sull’asta.

Dopo poco, improvvisamente, mi riprese la testa tra le mani e, ricacciandomi il pene in bocca mi disse: “Bevi, puttana!”.

Io, convinto, che dovesse venire di nuovo, non opposi resistenza, già pronto a bere ogni sua goccia ma rimasi di stucco quando invece di sborrare cominciò a pisciarmi in bocca.

Mi divincolai e riuscii a liberarmi dalla sua presa.

Nonostante ciò, continuò a pisciarmi addosso.

“Fi’! Che troia schifosa!” Esclamò il barbone, che mi sputò in faccia, centrandomi su parte degli occhiali e la guancia.

Quest’ultimo si rimise il cazzo nei pantaloni e, presi i suoi quattro stracci, se ne andò.

Il mio molestatore, mi guardò compiaciuto, si alzò, si ricompose e spingendomi di lato, uscì dal bagno e, dicendomi solo un “Alla prossima!”, mi lasciò solo.

Rimasi per un po’ in ginocchio in mezzo alle pozze di piscio, come stordito. Poi mi alzai, presi la mia cartella e andai verso i lavandini per pulirmi dal più grosso.

Mi guardai nello specchio lercio: gli occhiali sbilenchi, ero spettinato e il mio viso era una maschera di bava, sperma e urina.

Lo spettacolo della mia abiezione mi accese ancora più di eccitazione: mi tirai fuori il cazzetto e, non preoccupandomi neppure di eventuali fruitori del cesso pubblico, iniziai a segarmi, sborrando quasi subito.

Mi pulii alla bell’e meglio: prendere un altro autobus in quello stato era fuori discussione.

Mi incamminai e tornai a casa a piedi, tranquillo del fatto che i miei sarebbero tornati a sera.

Arrivato cercai di lavare i miei vestiti e io mi misi sotto la doccia.

Il pensiero di quello che mi era capitato continuava a occuparmi la mente e ad eccitarmi da morire.

Chiusi gli occhi e, ripercorrendo tutto ciò che avevo fatto, mi masturbai di nuovo.

Per qualche giorno, ogni volta che i miei genitori dovevano lavorare fino a tardi, scrutavo assiduamente la finestra del mio dirimpettaio con un misto di paura e voglia fottuta di essere nuovamente usato come la peggiore delle troie. Alla fermata non lo trovai più.

Passò così quasi una settimana, poi, finalmente, lo vidi alla finestra: mi stava aspettando. Mi sorrise e scostandosi appena dal davanzale mi fece vedere il suo pene eretto. Lo indicò col dito e poi mi fece cenno con la mano di raggiungerlo.

Accennai di sì col capo e in un batter d’occhio ero già fuori casa…

CONTINUA

Ciao e benvenuto, grazie per il tuo racconto, molto gradito!. Ti preghiamo solo di arricchire, la prossima volta la tua storia con una immagine di copertina a tuo piacere. E' brutto vedere in prima pagina una storia identificata da uno scialbo quadrato grigio, non trovi?
I racconti a episodi o a puntate devono essere caricati con un intervallo minimo tra le parti di 48 ore. Alla fine, per i racconti ritenuti idonei dallo Staff redazionale, si può richiedere la pubblicazione del racconto COMPLESSIVO nella sezione: Libri e Raccolte del Menu RACCONTI. Ciao e grazie.

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