La mia Trans - formazione

  • Scritto da italsex il 09/10/2020 - 14:48
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– Allora? Proprio non vuoi? –

Estelle insiste ma il suo sguardo è già pronto a ricevere una delusione. Me ne dispiaccio un po’ ma preferisco non rendere troppo “intimo” il rapporto di lavoro: non mi sento pronto, non la voglio, inutile illuderla.

– Ti ringrazio davvero. Lo sai, non è che non voglio… mia madre non sta bene in questi giorni, non mi va di lasciarla sola nel week end. –

– Allora fai una capatina sabato sera… almeno per la festa, dai, non è lontano. –

– Non ti prometto niente, ci proverò, ok? – rispondo, un po’ evasivo.

Usciamo tutti dalla banca nel sole del pomeriggio estivo. Finalmente! Nel metrò mi slaccio la cravatta e mi sbottono la camicia. E’ più forte di me, controllo nel finestrino se ho un’immagine accettabile ma non mi attardo nello stimarmi, qualcuno che ti guarda c’è sempre.

Sono un bell’uomo, lo ammetto soddisfatto con me stesso e l’ammirazione che suscito nelle donne mi diverte segretamente. Nonostante la stanchezza di una noiosa settimana da bancario triste e senza prospettive , non posso non sorridere: è venerdì. L’altra cosa che mi rallegra, pensando a Estelle, è che lei non immagina, come d’altronde tutti gli altri, che il mio vero problema non è procurarmi un “appuntamento”, bensì: come sfuggirne senza dare nell’occhio.

Ancora due fermate e poi a casa, per fortuna.

Un messaggio sul cellulare. E’ Lei! Il cuore mi batte, preferisco calmarmi per non arrossire in mezzo alla calca. Scendo, leggo per poi cancellare subito tutto.

“Ti aspetto domani. Inutile che ti prepari, puttanella, ti devo vestire io. Viene anche lui, non farmi fare brutte figure. Ho parlato molto bene della mia cagnetta, ok?” Sono già su di giri, mi tremano le gambe: sarò all’altezza dei miei Padroni?

La fanciulla dentro, si risveglia dal suo torpore.

Il sabato mi ritiro in bagno. Mia madre non mi disturba, sa che mi piace leggere là dentro. Invece, con una voluttà che diventa sempre più eccitante, mi dedico a una feroce depilazione, dall’ombelico in giù. Nonostante il dolore, so che l’infiammazione passerà in poche ore: già dopo pranzo dovrei presentarmi con una pelle delicata e tenera: al pube, sulle gambe e persino tra le natiche, intorno all’ano.

Mi dedico sempre molto al mio culetto anche se non sono mai stato inculato per davvero.

Da ragazzino solo un po’, giusto nei giochi più spinti, dove ci si indaga e ci si fiuta.

La mia Padrona mi ci ha infilato le dita, anche tre e, raramente, qualche oggetto rimediato in casa. Non piaceva troppo né a me, né a lei.

In genere, il solo comandarmi, vedermi vestita, spogliarmi, la eccitava fino all’orgasmo che puntualmente pretendeva di lingua.

Alla fine dei giochi, la mia Padrona si calmava e sedeva sulla sua poltrona preferita. Ci aveva già steso una tovaglia (era un’igienista). Sedeva protendendo il bacino in avanti, metteva i piedi sui due braccioli e mi aspettava. Era un anfiteatro naturale, dove io sostavo a baciare e a leccare la sua natura, per lunghi minuti. Al contrario di me, la Padrona aveva un vagina ricoperta di folti peli, che si bagnavano e trasudavano sotto le leccate.

Mi sto eccitando, so che non devo toccarmi: non lo farò!

Apro la cesta dei panni e raccolgo un paio di mutande di mia madre, me le porto in faccia fino a quasi soffocare nell’odore di intimo e di orina asciutta, continuo fino a quando mi gira la testa. Alle undici sono pronto. Non devo fare altro, meglio così. Vado a prendere un caffè in piazza per far passare il tempo e calmarmi un po’.

E’ la prima volta che incontro un uomo. Non è più solo una fantasia.

Ho paura!

– Vieni, cara, tutto bene? – conosco Elsa, se mi chiama “cara” e mi accoglie con dolcezza, è più eccitata che mai. Sono certo che, come me, non sta nella pelle per la novità.

Elsa è una donna matura e vive sola, ci siamo conosciuti alla banca. Lei ha intuito il mio lato oscuro.

La prima volta che fece in modo di portarmi a casa sua, ricordo che ero molto risentito. Aveva adoperato la sua influenza sul direttore e m’aveva quasi costretto ad andare da lei. Ricordo: la vedevo come una vecchia signora capricciosa, la odiavo. Un pomeriggio, mi fece vedere delle foto dell’ex marito, criticandone i vizi. I “vizi” erano là, sul piccolo tavolo del salotto, su delle vecchie fotografie: un uomo in carne indossava calze nere e reggipetto, assumendo posture tipicamente femminili. Rabbrividii e lei, continuando a criticare tutto quel “malcostume” mi cercò il cazzo con la mano e me lo strinse, come se volesse strapparmelo.

– Lo sapevo – rise – avevo capito che sei una troietta, sai? –

Scappai via immediatamente, con una scusa, ma lei mi gridò dietro:

– Corri pure bambolina, tanto qui torni! – Non si sbagliava.

Ogni volta che pensavo a lei, alle foto, a come mi aveva chiamato “troia”, molto sicura di sé… diventavo di fuoco.

Passò più di un mese, poi cedetti e iniziammo la nostra meravigliosa storia. Ero felice con Elsa perché sapevo di essere suo, senza concorrenze, senza scaramucce. Lei era adulta e seria.

In seguito confessò, che se non m’avesse incontrato, forse non avrebbe mai avuto il coraggio di andare oltre con nessuno. Il marito l’aveva convinta ad accettare quelle sue tendenze particolari e lei, dopo la sua morte, si era resa conto di averci provato gusto, conservandone il desiderio. Poi ero arrivato io e lei mi aveva adottato, da buona ed onesta Padrona.

Quando raggiungiamo la grande camera da letto, la fanciulla “dentro” esplode, prende il posto del pedante bancario ed inizia a godersi gli odori di quell’ambiente familiare e tanto squisitamente femminile. Davanti alla toeletta ci sono le nostre sedie. – Abbiamo tempo, Giada, faremo tutto con calma – aveva deciso per quel nome a causa dei miei occhi verdi, diceva.

Mi spoglio rapidamente, lei si attarda a scegliere le combinazioni di intimo, per confrontarle. Quando si volta mi trova nuda, in piedi, con le gambe strette. Non ho più il pene, l’ho spinto tutto dietro e adesso lo tengo a stento, mentre si gonfia.

Lei mi guarda e l’asta si “intosta” contro la mia stessa volontà. Sudo freddo.

Elsa mi si avvicina, mi carezza le gambe, l’inguine: è soddisfatta.

– Brava, tesoro, ti sei depilata proprio come una puttana di classe! –

Brividi, per tutta la schiena!


– Vieni Giada, iniziamo dallo smalto. – Quando le passo davanti, mi prende il cazzo tra le dita…

– Ehi, – dice – sei già eccitata? Mica vuoi venire e stemperare la tensione? – E’ presto! Vorrei resistere ma so che “le danze” inizieranno solo tra un paio d’ore, mentre io mi trattengo già da alcuni giorni.

– Amore mio, non devi fare così. – dice premurosa – Vieni in bagno, ti faccio una seghina, su… – mi lascio portare di là, lei usa il mio pene come un guinzaglio. So che anche lei è su di giri ma si finge distaccata.

– Vieni, piccola, facciamo sfogare questo “maschiaccio” che hai dentro. –

Vedo il suo sorriso dallo specchio, gli occhi sono catalizzati dal mio membro; fianco a fianco, sembriamo due sorelle, solo che lei, con cura e sollecitudine, comincia un su e giù con la mano, velocemente. In poco più di un minuto il lavandino è costellato di goccioloni di sborra.

– Brava, la mia piccina! – dice Elsa pulendosi le dita ed il lavabo con un fazzolettino.

– Grazie, Padrona, perdonami! – e lei: – Non fa nulla, c’è tempo: sia per il castigo che per il perdono! –

Il cuore mi batte forte; vorrei quasi fuggire ma non mi muovo.

Sono Giada completamente, ora. Truccata con delicatezza, calze di nylon carnicino, col bordo trattenuto dal reggicalze semplice, a sei nastri, nero. Anche il top che porto è nero, ha sottili bretelle. Ho un perizoma e il mio culo chiaro è completamente esposto. Elsa mi ha messo uno smalto rosso scuro ma solo alle mani. I piedi sono costretti nelle semplicissime Chanel di lacca nera, col tacco 10.

Quando lui ha bussato, Elsa, con furia, mi ha fatta entrare in salotto, anzi, adesso sono in veranda, dietro una spessa tenda che divide i due ambienti. Non devo muovermi, non devo fiatare.

Ora loro, a pochi metri, stanno chiacchierando, ridono… bevono qualcosa.

La voce di lui mi è familiare e questo mi turba ma ormai sono solo una schiava e devo dare piacere, come una troia. Tremo da quando lei, con malizia, mi ha cosparso le natiche depilate d’olio, attardandosi e spingendo nella zona dell’ano. Non posso ribellarmi ma lo vorrei. Le voci si allontanano, poi Elsa torna da sola, dietro il paravento.

– Vieni qua, puttanella! Ora spengo la luce, sta qui, dietro la tenda; ti cercherà con le mani, tu non fiatare e non tirarti indietro, capito? – faccio segno di sì, rassegnata e pavida. Mi da un ultimo sguardo. Anche lei sta benissimo: ha scarpe come le mie, calze e gonna di pelle nera, sopra una camicetta bianca di seta.

Mi tira con decisione appena dietro lo spacco tra i due drappi, poi blocca le tende con delle spille da balia, lascia solo uno spazio, per passarci le mani, all’altezza del mio inguine.

Dopo qualche minuto, le grosse mani di quel signore mi tastano attraverso lo spacco, senza alcun rispetto. Mi cerca il culo, mi tocca le cosce, fa come se fossi sua. Poi dalla tenda spunta il suo coso, scuro e grosso, sotto lo scroto è gonfio e pesante: si tratta di un vecchio.

C’è silenzio ora nella stanza, i rumori del pomeriggio di provincia arrivano ovattati nella penombra.

Osservo il pene che sbuca, reale e vivo, dal damasco pesante.

Ritorno per un attimo al passato remoto: da ragazzini l’avevo già visto un coso così ma adesso non era un gioco.

Un braccio femminile spunta tra le pieghe: è lei. Cattura la mia mano ritrosa e la tira perché prenda quel goffo cilindro caldo. Sento come una scossa alla nuca. Mi piace, tanto, troppo: solo una vera femmina può sentirlo così.

La paura diventa gioia, devo averlo; devo giocarci; devo dominarlo! Il contatto eccita pure lui, il coso diventa turgido e la testa svetta, sanguigna.

Adesso Elsa mi tira per le orecchie, verso giù: tasta, trova ciò che cerca e opera, alla cieca. Sembra un gioco di società, ha fatto in modo da infilarmi il grosso membro tra le labbra e non molla. Mi prende per la nuca e strattona, per farmi ingozzare. Mi bagno di saliva in eccesso sollecitata dalla penetrazione, violenta, nella gola.

Tossisco, soffoco: ne godo! Elsa sa cosa sono, lo sa meglio di me.

Il tempo passa ed io tendo a migliorare il mio servizio: sto facendo un pompino, uno vero. Come i ragazzi dei sobborghi pericolosi, nei cinema bui. Lo sto prendendo in bocca ad un vecchio che gode di me. Nemmeno so chi sia. Sembra così naturale, dopo. E’ il mio destino e lo accetto con voluttà femminile.

Senza volontà, vengo fatta alzare, piegare in avanti e poi, in modo spiccio e doloroso: sodomizzata.

Loro se la godono, io lo prendo dietro, sola con me stessa, usata come una battona. Ne godo anche se sento male.

Quando comincia a esagerare nello spingere, mugola, capisco che lui si sta scaricando dentro di me, finalmente.

Poi le luci si accendono, sono anchilosata ma Elsa mi tira nel salotto per mostrare la sua schiava al satiro.

Cazzo! E’ il capoarea della mia Banca: perché mi hanno fatto questo?

Poi lui dice: – Sei in gamba, ragazzo, sono sicuro che farai carriera! –

Oh, Elsa! Che padrona eccezionale che ho.

Giovanna Esse, 2020

Racconto bellissimo, scorrevole, dettagliato e molto, molto eccitante. Complimenti ?
Grazie di cuore, anche io amo molto questo racconto, ispirato a un amico dolce e molto sensibile.

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