Non ho mai fatto nulla del genere. Né in seguito.
Non so ancora esattamente perché l’ho fatto, ma non c’è dubbio che l’abbia cercato. È che certe volte ti ritrovi nella tua vita a chiederti se stai effettivamente vivendo o meno. E se poi ti restano solo i rimpianti? Sono meglio dei rimorsi? È davvero possibile, farsi prendere dalla voglia di fare qualcosa di sbagliato?
Mi sento sola. Vuota. In metropolitana, di rientro da lavoro di primo pomeriggio.
Che diritto ho io di sentirmi sola? ho un ottimo lavoro, un marito perfetto, ed un bimbo di due anni buono e bello che stravede per la sua mamma. Eppure, la solitudine che mi ghermisce non vuole andarsene. In quel vagone vuoto sono sola anche con un uomo sconosciuto seduto di fronte a me. Sono così alienata dalla mia vita che, in uno spazio chiuso con un altro essere umano, mi sento sperduta.
Fisso l’uomo di fronte a me. Siamo sullo stesso vagone, ma è come se non ci fossimo realmente; è come se ci guardassimo attraverso. Almeno io. Lui mi ha occhieggiato il seno, alcune volte, ma in maniera fugace, discreta, oserei dire gentile. Qualcosa in me inizia a dirmi che è tutto sbagliato...ma cosa poi? Devo essere una brava impiegata, una brava mamma e una brava moglie, insomma… una brava persona. Il problema è che io non voglio essere brava. Non in quel momento.
No. Voglio essere donna. Femmina.
Mi alzo spinta un qualcosa che tutt’ora non riesco a definire a parole. Mi siedo di fianco quell’uomo.
Sussurro, sapendo che può sentirmi: “Mi chiamo Anna. Non le dirò altro di me. Non voglio sapere nulla di lei. Voglio solamente essere chiavata. Da un uomo che non conosco, che non sia mio marito. Uno senza nome, che potrebbe essere un prete od un assassino non m’importa. Voglio solamente un cazzo dentro di me, per provare a me stessa che non sono solo una brava persona. Vuole aiutarmi?”
Col senno di poi, non posso credere di aver pronunciato quelle parole. Le ho dette senza pensare, sono fuoriuscite dalle mie labbra di getto. Sul momento invece, il silenzio dell’uomo fa sì che il panico inizi ad afferrarmi; La prossima fermata è lontana, cambio vagone?
“D’accordo.”
Con una sola parola spegne ogni incertezza. In questi anni di matrimonio, non ho mai tradito i voti coniugali. Ma quale diritto ho di negarmi i miei desideri?
Prendo la mano di quello sconosciuto e me la metto sul seno. Mi palpeggia, lo spreme fuori dal mio reggiseno, gioca con i miei capezzoli facendomi gemere. Non resto ferma, ma vado a slacciargli i pantaloni, non porta altro. Il suo uccello mezzo duro è a mia disposizione. Lo afferro.
Inizio a masturbarlo. C’è un che di liberatorio nel segare un cazzo che non appartiene a mio marito, in un vagone della metropolitana vuoto, mentre il proprietario ora mi succhia un seno, massaggiando l’altro. In breve, è completamente eretto. Un piolo duro e tozzo. Largo, pieno di vene, la cappella violacea è congestionata e tesa. Proprio quello di cui ho bisogno.
Lo lascio andare, lo sconosciuto alza il volto dalle mie tette arrossate e mi fissa. Non c’è bisogno di parlare. Mi metto a cavalcioni su di lui, mi tiro su la gonna con una mano, scanso le mutandine umide e mi calo su quel cazzo a mia disposizione. La mia fica è già dischiusa e gonfia di umori. Scivolo sull’uccello infilandomelo dentro.
Finalmente sto prendendo quello che mi merito. Quello che voglio.
Vorrei che qualcuno che mi conosce salisse ora sulla metropolitana. Vedrebbe quella che è considerata da tutti come una brava donnina di famiglia, cavalcare un uomo che non è quello che ha sposato.
Vorrei che a salire fosse mio marito, per poter sentire sua moglie gemere, vederla impegnata in un lento saliscendi, impalata su un cazzo, il cui proprietario la lecca sul collo, fra i seni. Vorrei sentisse i bacini che si scontrano ad un ritmo cadenzato, e capisse che l’ho preso tutto. Vorrei che guardasse fra le mie gambe per scoprire che quel membro sconosciuto penetra in me nudo, senza barriere.
Vorrei che fossi qui ad osservare come vengo senza renderne conto, di botto. Stringo quel cazzo dentro di me, gemendo, godendo.
Udirmi, accasciata su quest’uomo la testa sulla sua spalla, boccheggiargli nell’orecchio:
“Sono una troia...fammi male...Lo voglio.”
Vedere questo tizio che mi asseconda ancora una volta, afferrandomi per i fianchi. Iniziare a spingere con forza. Colpi secchi e rudi, cattivi. Me che respiro il suo odore: sudore, fumo, uomo. i miei umori che colano. Come con una mano mi tiene per una natica ora, mentre sgroppa sotto di me. L’altra va a slacciarmi il maglioncino ed il reggiseno. Le mie tette completamente libere ora che ondeggiano al ritmo con cui mi pistona dabbasso, contro il suo petto.
Sentirmi urlare ancora, quando un dito viene conficcato a secco nel mio culo.
Vorrei che venisse registrato il momento in cui afferro il passamano e facendomi forza mi tiro su, iniziando a dimenarmi come un’invasata raggiungendo un secondo orgasmo, scopata a sangue da un maschio che mi morde brutalmente un capezzolo, quasi a marchiarmi, privilegio finora solo del mio bambino.
Vorrei essere chiamata troia, zoccola, femmina, dea, intanto che lo sento esplodere in caldi getti dentro di me, riempiendomi come ho permesso finora solo al mio consorte.
Ma più di tutto, ad ore di distanza da questa mia liberazione, al sicuro nella mia bella casa e dopo aver messo a dormire il mio angioletto, vorrei che mio marito si accorgesse che qualcun altro mi ha scopata. Che la fica che ora lo stringe mentre mi monta da dietro come una cagna, è aperta e fradicia per i due orgasmi che mi ha dato un tizio a caso. Che lo strizzarmi i capezzoli mi fa piagnucolare perché qualcuno altro mi ha toccata. Che la sborra che sparge nel mio ventre, va a mischiarsi a quella che ho ricevuto in un sudicio vagone di una metropolitana.
Stefano
Post New Comment