Un tragico equivoco
Non avrei mai saputo spiegare come ci ero arrivata; venticinque anni, ben fatta, con un paio di gambe scultoree, un fondoschiena a mandolino che catturava gli occhi e l’ammirazione di tutti i maschi che incrociavo, un seno prorompente di quarta taglia, il viso da madonna rinascimentale, una bocca perfetta per succhiare uccelli, sposata da due anni con Alfredo, impiegato di banca di buon livello, mi trovai di colpo ad accettare le avance di un collega amministrativo nel cantiere dove lavoravo.
Non avevo niente da rimproverare a mio marito; il matrimonio mi aveva scatenato le invidie di tutto l’entourage e delle amiche d’infanzia, perché, sposandomi, avevo raggiunto una condizione economica florida, se non da ricchi, grazie al suo impegno nel lavoro, in vista anche di un figlio che programmavamo di avere entro cinque anni; a letto era molto attivo, spesso finanche scatenato, con una mazza da esposizione che tutte quelle che ci conoscevano mi invidiavano.
Era difficile, se non impossibile, capire che un inspiegabile prurito di vulva mi aveva portato per uno strano caso a valutare con interesse le oscene allusioni, le richieste neppure velate e le proposte che il collega mi faceva frequentemente; forte di una determinazione atavica, dopo il matrimonio, a restare fedele all’amore e al matrimonio, gli opposi resistenza prima determinata poi via via più debole e incerta, per certi discorsi disarmanti.
Rinaldo infatti passava ore a spiegarmi che l’adulterio era solo sesso; qualche copula fuori dal matrimonio, vissuta con la gioia di esprimere libertà da legacci anacronistici, poteva solo conferire sale ad un rapporto che rischiava la monotonia, il sapore stantio della ‘minestra riscaldata’, consentendo invece di spaziare nel mondo del piacere seguendo l’istinto e la voglia di libidine proibita; mi accorsi che, progressivamente, le mie difese si allentavano e cominciavo a guardarlo con desiderio.
Dopo una giornata particolarmente pesante, in un cantiere nuovo, accettai quasi senza pensare di farmi accompagnare in macchina da lui evitando le corse con due autobus in coincidenza per tornare a casa; sapevo, inconsciamente, a cosa mirava; e, altrettanto inconsciamente, avevo deciso di starci; non mi meravigliò la sosta che fece nell’ampio parcheggio di un centro commerciale, decisamente deserto e poco illuminato a quell’ora di sera.
Andò a fermarsi nel punto più lontano e discreto; spense il motore e si girò a baciarmi; ricambiai senza esitazione la carezza delle labbra morbide sulle mie e, quando infilò la lingua, ingaggiai con la mia un duello a cui ero abituata da un decennio circa e che Alfredo aveva perfezionato con la passione e l’amore di cui mi riempiva ogni volta che ci si presentava l’occasione per stringerci in abbracci voluttuosi e lussuriosi.
Le sue mani, che si infilarono nella camicetta e mi artigliarono il seno, mi esaltarono e mi sentii bagnare tra le cosce con intensa libidine; quando la bocca si appoggiò su un capezzolo e lo succhiò, partii per la tangente e scattò il desiderio di averlo dentro; spostai la testa sull’altro capezzolo e glielo diedi da succhiare, sbavando nella sua bocca quando mi baciò; la mia destra era scivolata sotto la gonna e mi tormentavo il clitoride, spostando la fettuccia del perizoma.
Mi fece godere a lungo perdendosi tra la bocca e i capezzoli; una mano scivolò sotto la gonna, spostò la mia e si impossessò del grilletto che prese a tormentare con maestria; godetti molto, con gemiti che soffocavo nei baci che si susseguivano intensi e vogliosi; spostai il sedere in punta di sedile per favorire la manipolazione in vagina e sentii due dita che entravano e stimolavano tutto l’apparato; il primo grosso orgasmo scattò naturale e gli inondò la mano.
Spinta quasi da un desiderio di gareggiare e dimostrare che non ero da meno, nella copula, allungai la mano sulla patta ed accarezzai il sesso che sentii duro e grosso, come quello di mio marito all’incirca; la condizione di trasgressione, di precarietà, di novità assoluta della situazione mi galvanizzò e lo strinsi con enorme godimento; aprii il bottone che fermava il pantalone, feci scivolare in basso la cerniera e infilai la mano nel boxer fino a sentire la mazza viva e calda nella mano.
Spinse in giù pantaloni e mutande, insieme, e il fallo esplose in tutta la sua bellezza e possanza; mi tornarono in mente le fellazioni fatte da ragazza, specialmente al mare, e brividi di lussuria mi presero la mente e il corpo; masturbai per qualche minuto la mazza e godetti a sentirla indurirsi al limite e ingrossarsi al massimo tra le dita; dopo averlo rimirato per qualche tempo, accostai la bocca alla cappella; spinsi fuori la lingua e leccai le gocce di precum sul meato.
Mi poggiò le mani sulla nuca e premette la testa sull’asta; ingoiai la mazza per quello che potevo; ormai bene avvezza alle copule orali, presi in mano il batacchio, per la parte che rimase fuori della bocca, e guidai il movimento su e giù per farlo godere; non potevo ritardare troppo il rientro, dopo avere comunicato con un messaggio, che mi trattenevo per straordinari; cominciai la mia fellazione con l’intento di portarlo a godere nella bocca.
Non fu un esercizio difficile, considerato anche che lui era troppo pieno di voglia e di desiderio per riuscire a resistere a lungo alla mia copula; dopo una decine di risucchi violenti, di leccate profonde e di immersioni fino al velopendulo, la mazza vibrò a lungo ed esplose in una eiaculazione assai notevole che riuscii a stento a contenere nella bocca, per non sporcare dappertutto; mi piacque il gusto del suo sperma e, tra me, pensai che meritava qualche assaggio da realizzare con più comodo.
Il suo orgasmo aveva scatenato il mio contemporaneo; per qualche minuto, ce ne stemmo fermi, io a sentire in bocca che il fallo diventava barzotto e scivolava via naturalmente, e lui che gli passasse l’ansia che lo faceva ancora respirare a stento, dopo un orgasmo di quella portata; ci ricomponemmo alla meno peggio e lo pregai di portarmi a casa; mi chiese se mi era piaciuto; gli risi in faccia e lo pregai di non fare domande stupide; mi chiese se l’avremmo rifatto; gli lasciai intuire di sì.
A casa, riuscii ad evitare l’incontro diretto con mio marito; il timore che sentisse nella mia bocca il sapore dello sperma ingoiato mi frenò da qualunque forma di effusione; corsi in bagno, anche per cambiare il perizoma ormai madido e lavarmi la vulva rorida; mi misi a tavola e cenai dichiarando che la giornata pesante mi obbligava ad andare a letto presto; ebbi la sensazione che avesse intuito tutto e che tacesse per un rispetto eccessivo o perché, forse, non gli dispiaceva.
Questo tarlo accompagnò tutte le vicende che quel primo incontro scatenò; quasi che mi fossi messa su un piano inclinato coperto di sapone, scivolai lentamente e inesorabilmente verso l’adulterio più smaccato e triviale possibile; cominciò proprio con Rinaldo che si organizzò perché talvolta, alla chiusura dell’ufficio, potessimo rifugiarci in un albergo ad ore dove ben presto divenni, tristemente per me, nota come l’amante clandestina del giovane fusto.
Non mi sentivo gran che in colpa, perché mi ero convinta che un paio di sedute di sesso al mese non recavano lesioni o offese al regime matrimoniale; naturalmente, mi sentii in dovere di celare a mio marito tutte le mie ‘bravate’ e non mi rendevo conto di calcare la mano sulle ‘corna’ che sapevo perfettamente di fargli; quando, dopo un’estate di grande amore con mio marito, comunicai a Rinaldo che ne avevo abbastanza, credetti di avere chiuso uno strano capitolo della nostra vita.
Purtroppo, il ‘piano inclinato’ su cui mi ero avventurata mi catturò e mi spinse a rincarare la dose; un giovane impiegato, di una ditta con sede in un edificio vicino al cantiere, mi affascinò con il suo portamento elegante e affascinante, il suo eloquio mi travolse e ci misi poco ad accettarne la corte decisamente aperta; quando mi propose una serata di sesso, non mi tirai indietro; organizzandomi i tempi con mio marito, lo portai all’hotel che conoscevo e ci sollazzammo fino a notte.
Quando rientrai quasi clandestinamente, ebbi la sensazione che Alfredo fosse sveglio e mi aspettasse; poiché non mi disse niente e non accennò a un chiarimento nemmeno il mattino, al risveglio, mi confermai nella convinzione che godesse a sapersi tradito; il dubbio che dovessi obbligarlo ad ammetterlo e a lasciarsi dominare dalla mia lussuria si fece assillo spasmodico e mi bruciava la mente ogni volta che andavo a fare sesso col nuovo amante.
Non fu il giovane impiegato, col quale la mia relazione durò solo un trimestre con una mezza dozzina di copule in tutto, il protagonista della presa di posizione che avevo inconsciamente deciso; capitò invece con un bull assai buzzurro che avevo incontrato nel bar, che frequentavo di solito con le amiche, e che mi era apparso, e poi risultò davvero, fornito di una bella dotazione capace di scuotermi fibre mai provocate in piaceri al limite dell’umano.
Decisi che me lo sarei portato a casa e ci avrei fatto sesso sul talamo nuziale alla presenza di mio marito; gli diedi appuntamento un venerdì sera dopo cena, tornai a casa all’ora solita, cenai velocemente con Alfredo; poi la trascinai dolcemente in camera e, di soppiatto, imprigionai le mani al termosifone, con manette che mi ero procurato apposta, e lo imbavagliai; mi guardava incredulo, allibito e spaventato.
“Senti, caro, è inutile che ti nascondi ancora; sei un cuckold e stai cercando di nasconderlo, sai perfettamente che ti tradisco da un anno ormai e non hai mai fatto un cenno, perché sono certa che ti piace saperlo; ho deciso che stasera lo devi anche vedere; ora verrà un mio amante occasionale e ci farò sesso come tu non hai mai saputo fare; se mi sono sbagliata, te ne vai e vivo la mia vita da single; se non mi sono sbagliata, sarai il mio slave e passerò il tempo allegramente, per me e per te.”
Avrei potuto leggere negli occhi la derisone e il disprezzo, se fossi stata serena; ma, poiché ero agitatissima, lessi invece indifferenza e, quindi, accettazione della mia logica perversa; andai in bagno e mi misi in tiro per ricevere l’amante, che si presentò puntualissimo all’appuntamento; aperta la porta di casa, lo accolsi con un abbraccio e un bacio al fulmicotone, portando immediatamente la mano sulla mazza che gonfiava la patta; mi ricambiò infilando una mano nella vestaglia.
Ci trattenemmo un certo tempo fermi dietro la porta; lui mi copriva di baci su tutto il corpo, mi succhiava i capezzoli facendomi sballare e, soprattutto, mi titillava il clitoride provocandomi intensi brividi di piacere e piccoli orgasmi in successione; io avevo tirato fuori la mazza e, mentre lo baciavo con intensa passione, lo masturbavo con grande maestria godendo moltissimo del piacere di sentire in mano il sesso duro e gonfio; pregustavo già il piacere di riceverlo in vagina.
Tenendolo per il sesso, lo guidai come un cagnolino alla camera; guardò con meraviglia mio marito legato al termosifone e mi portò verso il letto; in piedi ai bordi del materasso, fece cadere a terra la vestaglia, sotto la quale ero completamente nuda, e mi spinse supina con le spalle sul letto; sollevò i piedi e li appoggiò ai lati dei fianchi; divaricò le ginocchia e fui completamente scosciata e disponibile davanti a lui.
Si chinò in avanti e sentii il caldo della sua bocca sulle grandi labbra che lambì su tutta la superficie; la lingua guizzò all’improvviso e titillò le piccole labbra che si aprirono; mi sentivo sbocciare sotto le sue leccate e colavo umori di orgasmo che lui leccava con gioia; quando le labbra avvolsero dolcemente il clitoride, mi sentii esplodere il ventre; luci stranissime mi esplosero negli occhi chiusi e suoni celestiali mi risuonarono nelle orecchie; un volo di farfalle mi agitò lo stomaco.
Godevo, gemevo e mi contorcevo sotto i colpi di lingua, le succhiate e i piccolissimi, dolci morsi che aggredivano il clitoride, lo gonfiavano e lo facevano esplodere; al culmine del titillamento, un orgasmo violento mi fece squirtare inondandogli il viso e mi svuotò totalmente; mi lasciai andare ad un dolce languore, mentre lui si liberava dei vestiti e si sdraiava accanto a me; ripresami dal languore, mi girai verso di lui, appoggiai la testa sullo stomaco, presi in mano la mazza.
La titillai per un poco, la diressi alla bocca e con la punta della lingua percorsi la cappella che aveva la consistenza di seta morbida; dal meato raccolsi le tracce del precum che cominciava a comparire; tra le labbra strette a cuoricino feci penetrare lentamente l’asta che in breve occupò quasi completamente la cavità orale, carezzata dalla lingua, guidata lungo il palato e spinta dal movimento su e giù della mia testa; mentre lo imboccavo, aprii la mano al segno delle corna per il mo prigioniero.
Lo succhiai a lungo e lo leccai, per tutta la superficie, dalla punta ai testicoli e all’ano; mi accorsi che gustava molto la fellazione e mi mossi a praticarla in tutte le forme possibili, facendomi arrivare la cappella fin oltre il velopendulo, a rischio di conati di vomito e di soffoconi; mi interrompevo spesso, quando sentivo vibrazioni della mazza che preludevano a un possibile orgasmo; desideravo tirare in lungo la copula, fino al giorno seguente, libero dal lavoro.
Lo succhiai in tutti i modi, sdraiato col sesso contro il cielo; in piedi davanti a me seduta, facendo arrivare le labbra fino al pelo pubico; da dietro, tirando indietro sesso e testicoli per leccare anche l’ano; a sessantanove, mentre lui si dedicava alla vulva con lingua sapiente; mentre succhiavo, mi titillava con libidine i capezzoli e il clitoride cercando sempre la posizione corretta per arrivarci; dopo una lunghissima pratica orale, mi fece stendere sul letto e mi venne tra le ginocchia.
Mi preparai a riceverlo in vagina e sentii immediatamente la punta del sesso cercare l’accesso al canale vaginale, trovarlo al primo colpo e penetrarmi con una sola botta fino all’utero; ebbi un sussulto quando la cappella colpì con forza la cervice; poi il piacere mi inondò vagina, ventre, cuore e cervello; gemetti di piacere ed urlai ad ogni colpo che infieriva sul pube, in poco tempo dolorante per la violenta pratica copulatoria.
In un momento in cui fece una sosta, forse per evitare un orgasmo rapido, vidi mi marito intento ai suoi pensieri, estraneo totalmente a quello che avveniva sotto i suoi occhi sul sacro talamo matrimoniale.
“E’ inutile che ti fingi distratto; vedi bene come fa uno che sa sbattere come si deve una donna degna di molto più entusiasmo di quello che tu dai; ammetti che sei cuckold e falla finita con questa pantomima.”
“Scusa, ma sarebbe lui il cornuto contento, cuckold e forse omosessuale?”
“Sì; non si vede?”
“Sai, io sono un professionista nel genere; ho fatto da terzo con molte coppie cuckold; ho paura che tu non sappia che il cuckold è un uomo tanto innamorato della sua donna da godere del piacere di lei anche quando si fa montare da un bull; tuo marito, più che amore, sembra esprimere indifferenza o forse schifo; stai attenta perché, se hai sbagliato diagnosi, la vendetta può essere terribile!”
“Tu copula e non tranciare diagnosi gratuite; è un anno che gli faccio le corna; ho capito benissimo che lui sa e sta zitto perché ne gode; ora gli ho concesso il privilegio di guardare; sono certa che alla fine chiederà anche di essere posseduto analmente.”
“Se dovesse succedere, non fare affidamento su di me; sono convintamente etero e tu non mi hai mai parlato di rapporti omosessuali … “
“Va bene; se confesserà di essere una checca, chiamerò un altro; adesso, fammi godere!”
Il dubbio però era entrato e agiva dentro; specialmente il riferimento alla vendetta mi preoccupava; nel lavoro,quando decideva di colpire, mio marito era spietato; avevo visto molti finire sul lastrico perché l’avevano offeso; il rischio di trovarmi da sola, in mezzo a una strada, mi attanagliò per un attimo; poi decisi che era come pensavo io, che si sarebbe arreso e sarei diventata padrona anche dei suoi pensieri; e mi dedicai totalmente alla copula, dimenticandomi persino di lui.
Il mio amante occasionale, di cui conoscevo solo il nome, Diego, riprese a copulare in vagina alla missionaria ed io mi concentrai tutta sulle emozioni che la mazza mi procurava con gioia infinita; con una straordinaria sapienza, mi martellava quasi con metodo, alternando passaggi veloci e superficiali, in cui il pube picchiava con forza tra le mie cosce, ad altri più lenti, quasi meditati, per godere fino in fondo la penetrazione in tutti i gangli del sesso; godevo e colavo come una fontana.
Picchiò a lungo sulla vagina e non smettevo di sentire distintamente la mazza che scivolava nel canale vaginale; per fermarsi un momento a riprendersi, si stese supino sul letto e con le mani guidò la mia testa a prenderlo di nuovo in bocca; ripresi a succhiare lentamente, per stimolare il godimento senza cercare l’orgasmo; ancora una volta, cercai di provocare la reazione di Alfredo, facendo il gesto delle corna e passando lentamente la lingua sull’asta.
Lo vedevo concentrato, quasi stesse per prendere una decisione grave; solo in momenti delicati gli avevo visto in fronte una ruga profonda come quella che apparve; il buonsenso avrebbe dovuto suggerirmi che, con la sua intelligenza e capacità di iniziativa, mi preparava forse un ‘piattino’ particolarmente indigesto; ma l’arrogante presunzione che avevo ragione e che tutto si sarebbe svolto secondo i miei voleri, mi spinse a ignorare i segnali di pericolo.
Mi dedicai di nuovo alla copula e, stavolta, feci stendere Diego supino sul letto, gli montai seduta sul ventre col viso rivolto a mio marito, appoggiai la mazza alla vagina e mi impalai fino a che i testicoli furono sulla vulva; praticamente, lo avevo infitto nel corpo totalmente; muovendomi avanti e indietro su lui disteso, mi facevo possedere impalata, alla cavallerizza, e rivolgevo all’ammanettato smorfie ed epiteti sanguinosi; vedevo gli occhi cercare intorno qualcosa e un guizzo che indicò che aveva trovato.
Dopo che ebbi cavalcato lungamente il mio caprone, mi disarcionai e mi stesi supina accanto a lui; gli chiesi se se la sentiva di eiaculare una prima volta; mi chiese dove volessi lo sperma; ‘in bocca’ risposi; fu lui a salirmi sul petto, appoggiando il fallo tra i seni; avviò una saporosa copula alla spagnola fra le mie mammelle e, sfruttando la lunghezza della mazza, portava la punta fino alla bocca, aggiungendo alla spagnola una fellazione anomala.
Dovette provare molto gusto nella pratica perché lo vidi eccitarsi sempre di più, mentre mi esaltavo per la particolarità della situazione; guardavo con occhio lubrico la mazza che si tendeva nel piacere e aspettavo che dal meato esplodesse lo spruzzo di sperma che era il massimo obiettivo, in quel momento; sentii il suo urlo e vidi la crema bianca sparata sulla lingua che avevo tirato fuori apposta; sentii la vagina esplodere per gli spruzzi che si susseguivano con mio immenso piacere.
Quella prima eiaculazione e l’orgasmo mio che la accompagnò segnarono in qualche modo la fine del primo round di umiliazioni che avevo voluto imporre a mio marito; ci rilassammo a lungo per riprendere energie e fiato; comunicai al mio amante che andavo a rinfrescarmi sotto la doccia; mi propose di andare insieme e di continuare i giochini sotto l’acqua; accettai e lo guidai per mano al bagno grande dove ci si poteva muovere meglio.
Ci ficcammo sotto il getto tiepido e lui mi prese per le spalle, appoggiò tra le natiche il sesso ridiventato duro, e mi stimolò copulando tra le cosce fino a sfiorare il clitoride con la punta; mi girai tra le braccia che mi circondavano, sistemai l’asta contro la vulva e mimai una copula per titillami; mi pose una mano sulla testa e mi obbligò ad abbassarmi fino a accosciarmi davanti a lui; la mazza era davanti alla mia bocca e non feci che aprire le labbra per lasciarla entrare.
La fellazione sotto l’acqua corrente della doccia durò molti minuti; lui resisteva meglio di prima ed io spingevo la mazza fino all’esofago; considerando che mi privavo dell’umiliazione a mio marito e che la stessa pratica sarebbe risultata migliore a letto, presi due accappatoi, li indossammo e tornammo con quelli; Diego mi spinse carponi sul letto, mi si piazzò alle spalle e cominciò a leccare vagina e perineo infilando la lingua nell’ano.
L’idea di farmi possedere a pecorina mi allettava molto; quella mazza, nella penetrazione da dietro, poteva raggiungere punti intatti dell’utero; provai gioia quando sentii la cappella accostarsi alle grandi labbra e sospirai al pensiero di sentirla penetrare nel ventre; diedi il via ad una serie di smorfie e di epiteti a dileggio di mio marito e mi godetti l’asta che perlustrava canale ed utero mentre cercavo di far soffrire la mia vittima.
Il suono ripetuto e imperativo del campanello di casa mi gelò il sangue e il sesso; non capivo chi potesse arrivare a quell’ora impossibile; indossai l’accappatoio sbagliando spesso per frenesia, mentre colpi durissimi venivano battuti sulla porta di casa e una voce stentorea urlava ‘aprite, Polizia’; tremavo mentre andavo all’uscio; diedi uno sguardo a mio marito, lo vidi quasi sorridere e temetti il peggio.
Appena aprii il battente, me lo vidi sbattuto in faccia da una spinta vigorosa.
“Chi è lei? Dov’è il signor Alfredo?”
Cercavo di balbettare una risposta, ma due poliziotti entrarono come furie e si diressero alla camera; quando videro mio marito ammanettato, uno dei due parlò in una radio portatile e disse a qualcuno che la denuncia era vera, intervenissero col magistrato; cercavo di parlare, ma mi accorsi che balbettavo soltanto; con modi rozzi e bruschi chiesero chi fossi; ‘la moglie’ risposi; chi era l’estraneo; seppi dire solo il nome e questo li inferocì.
“Allora per adesso abbiamo una violazione di domicilio in complicità e un sequestro di persona in complicità; siete in stato di fermo entrambi, per flagranza di reato … “
“Stavamo solo giocando … “
Cercai di mormorare.
“Se suo marito stava giocando con voi, perché ha denunciato il sequestro di persona?”
La verità mi si aprì all’improvviso; mio marito aveva avviato la sua vendetta; non era a conoscenza delle corna che gli avevo fatto per un anno; aveva saputo tutto da me quella sera e, pazientemente, aveva sopportato le umiliazioni; giunto al punto di rottura, aveva approfittato della nostra assenza e della mia stupidità perché gli avevo lasciato il telefonino nella tasca dei pantaloni; aveva denunciato il sequestro di persona e la polizia era intervenuta.
“Che posso fare adesso?”
La domanda accorata era stata rivolta all’ultima persona a cui rivolgermi, mio marito; ancora una volta misurai la capacità di umiliarmi apparendo salvatore.
“Visto che aspettano il magistrato, chiama tuo padre, confessagli le colpe e chiedigli di salvarti … “
Naturalmente mio padre era l’ultima persona a cui avrei voluto rivolgermi; ma, in quelle condizioni, il magistrato mi avrebbe fatto fermare e arrestare; solo un avvocato di successo come lui poteva soccorrermi; lo chiamai; l’ora impossibile, il tono accorato della mia voce e qualche accenno che gli feci rinviando a dopo la confessione fecero sì che nel giro di venti minuti erano a casa mia lui, mia madre e mia sorella.
Era arrivato anche il magistrato, che mio padre conosceva; sintetizzò la situazione in un reato flagrante di sequestro di persona, uno ipotizzabile di violazione di domicilio perché la casa era di proprietà unica di mio marito e io ci avevo portato un tale sconosciuto, perfino a me stessa; se Alfredo presentava denuncia, l’arresto era conseguente immediatamente; se rinunciava, potevo essere affidata ai miei in attesa del processo inevitabile; mio marito non denunciò a patto che andassi via e divorziassimo.
Dovetti raccontare, almeno per sommi capi, le mie malefatte a mio padre che divenne livido, mi tolse il saluto e per molti mesi mi guardò come una pubblica latrina sporca; vissi alcuni anni in casa con loro, guardata a vista, costretta a scegliere una sorta di clausura per non trovarmi abbandonata a me stessa e ad affrontare il carcere; la pugnalata più dolorosa me la inferse mia sorella Elena, più piccola di me di due anni.
In una serata di sincerità, per troppo alcool bevuto e qualche canna, mi confidò che Alfredo aveva saputo immediatamente dei miei tradimenti; ne aveva parlato, per consigliarsi, con mia madre che lo aveva pregato di non infierire, sperando mi ravvedessi; poiché lei aveva grossi problemi col marito, un bamboccio con un pisello da quattordicenne, lo aveva istigato a prendersi lei al posto mio; mentre io gli facevo qualche corno, una trentina di copule in un anno, lui viveva con Elena una storia d’amore.
Mi sentii ribollire il sangue, ma soprattutto perché avevo dimostrato ancora una volta la stupidità dell’eccitazione contro l’intelligenza del buonsenso; quando accennai la cosa velatamente a mia madre, si limitò a osservare che ci sono i cretini che rovinano i buoni matrimoni e le persone di buonsenso che salvano quelli rovinati; capii che forse anche nell’annunciata maternità di Elena c’era lo zampino del mio ex marito che però non era più ben accetto, dopo il divorzio, in casa dei miei e da Elena.
Incuriosita dalle nuove rivelazioni, decisi di scoprire cosa avesse fatto Alfredo della sua vita; un sabato mattina, uscita con mia sorella per il mercato settimanale, la pregai di coprirmi per un’ora e andai alla casa che era stata la nostra; al suono del campanello, mi aprì una bellissima ragazza, nella quale stentai a ritrovare Nella, una delle più care amiche dell’adolescenza; mi riconobbe e chiese meravigliata come mai fossi lì; le dissi lealmente che avevo voluto vedere come avesse risolto il mio ex marito.
“Semplice; forse persino banale; da ragazze, ne ero innamorata quanto te ma lui ti preferì; lavorando nello stesso istituto, seppi che era di nuovo libero e disponibile; non esitai a concupirlo; ci siamo sposati ed abbiamo un meraviglioso bambino. Tu, invece, hai risolto?”
“No; è l’ultima verifica della differenza tra una velleitaria impreparata e stupida e invece un autoritario cosciente e di buonsenso; anche il figlio è un discrimine che gioca contro di me; se non supero la ’sindrome di Peter Pan’, non crescerò mai e non mi realizzerò. Salutalo e fagli gli auguri da parte mia; se non ti offendi, digli pure che sono stata una troia imbecille, ma che ho dato e preso solo sesso brutale e inutile; l’amore, quello che ti fece sconfiggere, è ancora intatto e del tutto inutile. Ciao.”
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