Questo episodio accadde tanti, tanti anni fa ma naturalmente, ripensandoci, è ancora perfettamente stampato nella mia memoria; sicuramente mi ha cambiata o meglio, ha contribuito alla mia formazione di donna adulta. Questo in seguito, perché quando il fatto avvenne io ero molto ma molto giovane.
Era il tempo della scuola. Ero appena approdata alle superiori, che nella scuola scelta erano nello stesso, grande, edificio dove avevo frequentato la terza media.
Io ero in quell’età in cui non sei ancora formata perfettamente, con il fisico da donna; ero una ragazza alta e grossa, non grassa ma robusta, probabilmente il mio fisico si preparava a trasformarsi nella donna giunonica che sono poi diventata: 1 e 85 di altezza e tutto il resto in proporzione.
All’epoca i miei seni non erano ancora grossi, ma ovali, pronunciati, con i capezzolini piccoli e rosa, la mia vulva non era ancora gonfia me piatta, la carne tenera e i peli sottili e radi.
Ero molto timida e, pensandoci adesso, dovevo sembrare proprio una “patatona”: vestiti insignificanti, abiti e magliette spesso ereditate dalle sorelle maggiori o peggio, dalla mamma; gonne al ginocchio dalle tinte sbiadite e sotto le calze economiche, velate e pesanti, trattenute dalle molle, spesso ricavate da una fettuccia elastica cucita a casa.
Frequentavo “a rimorchio” una mia cugina di un anno più grande; lei aveva molte amicizie, poi i suoi lavoravano e quindi aveva molta più liberta, sia a casa che fuori. Quando i miei me lo permettevano, appena potevo, stavo con lei e mi godevo la caoticità delle sue giornata. Lei era fidanzata, diciamo che più che altro era invaghita di un ragazzo molto più grande; infatti lui la tradiva spesso, credo soprattutto perché non la considerava come una vera fidanzata… approfittava di lei, tutto qui.
A scuola, invece, io avevo notato il fratello, adesso mi rendo conto che era veramente un ragazzino, ma era un tipetto che si faceva notare, sembrava già un ometto, era riservato ma spigliato e alla fine, senza nessuna plausibile spiegazione, mi presi una cotta fulminante per lui. Quando lo vedevo non capivo più niente, solo il desiderio immenso di stargli vicino: un’attrazione insensata ovviamente, ma chi l’ha provata sa cosa voglio dire.
Adesso non ricordo di preciso come andarono le cose, probabilmente confessai il mio sentimento segreto a mia cugina, fatto sta che alla fine dell’autunno capitava sempre più spesso che il ragazzo frequentasse la casa dei miei zii. C’era una specie di comitiva eterogenea, poiché lì erano quattro sorelle di varie età e la loro casa era un po’ un porto di mare per gli amici del quartiere. Di certo dovettero esserci delle manovre ben mirate per fare in modo che io, la tontolona dagli occhiali spessi, vestita come un sacco di patate, restassi a volte da sola con “l’oggetto” dei miei desideri… probabilmente però quei momenti non erano coronati né da dialoghi profondi, né da formidabili avances. Ricordo invece che, in compagnia, quando si giocava a carte o si chiacchierava, intorno al grande tavolo della cucina, le nostre ginocchia si toccavano sempre più spesso, e lui spingeva cercando di ottenere un contatto sempre più intimo, e causando in me rossore e piacere. In seguitò iniziò a farsi coraggio: ricordo le sue mani che cercavano sotto il tavolo, s’infilavano sotto la gonna e alla fine raggiungevano la mia carne nuda, al si sopra della molla delle calze. E poi ancora più su fino all’orlo delle mutandine bianche, a fiorellini. Io non mi bagnavo… evaporavo letteralmente, talmente ribollivo di pudore e di piacere al tempo stesso.
Ricordo benissimo l’emozione intensa che provai la prima volta che lui tirò la mia mano verso l’inguine; non capii subito e feci forza, avevo paura, ma lui l’ebbe vinta.
2
Sentii sotto le dita una protuberanza, una specie di bastoncino duro come il legno, gonfio sotto i suoi pantaloni. Mi girava la testa dal desiderio ma non sapevo nemmeno come era fatto veramente un cazzo, né come comportarmi… forse lo delusi…
Ci vedemmo ancora ogni tanto, ma sempre in comitiva, senza dirci nulla di speciale, solo che diventammo più intimi e più complici. Se si presentava l’occasione di appartarci ci stringevamo, ci baciavamo e, pure se in piedi, ci massaggiavamo i corpi, soprattutto nelle parti intime. Lui mi alzava la gonna e, in fretta, s’infilava sotto le mutandine per penetrarmi con una o due dita la figa bagnata. Quando poteva mi tirava la mano sul suo bastoncino di carne, non ancora troppo grande ma duro come un chiodo. Provò anche a spingermi giù per le spalle, credo che me lo volesse mettere in bocca, ma io non ero pratica e avevo troppa paura di essere scoperta.
Poi vennero le feste di Natale e, infine, il veglione di Capodanno. Naturalmente dove si poteva svolgere al meglio se non a casa delle mie cugine?
Convinsi i miei genitori, persone molto all’antica, e riuscii a strappare il loro permesso per restare fin dopo la mezzanotte. Uscii di casa dimessa, come al solito, ma a casa di mia cugina mi cambiai, indossai la mia prima minigonna e mi lasciai truccare dalle ragazze più esperte.
Ebbene, quella sera mi sentii come il brutto anatroccolo che diventa cigno. All’improvviso sentii per la prima volta le occhiate ammirate dei maschi, sorpresi dalle cosce tornite, dal seno turgido e dalla mia bellezza, celata troppo a lungo dagli occhiali spessi e dalla faccia cerea. Per fortuna, infine, non sono mai stata pelosa, quindi la mia carne e le mie guance erano perfette, con appena una traccia di delicata peluria chiara e tenera.
Anche il fidanzato della mia amica, che era un donnaiolo incallito, non perse l’occasione per farmi i complimenti, ma soprattutto mi interessava piacere a lui… a quello che ormai consideravo il mio ragazzo, e infatti intravidi sorpresa e orgoglio nei suoi giovani occhi. Evidentemente dovette sentirsi anche più uomo, visto che la sua “ragazza” era tanto “donna” da attrarre l’attenzione dei grandi; di certo molti lo invidiarono quella notte.
Poi tutti pensammo solo a divertirci… per molti di noi ragazzi quello era il primo veglione fuori casa. Allo scoccare della mezzanotte si scatenò il putiferio, come sempre nei quartieri della Napoli antica: botti, spumante, la testa girava e noi eravamo giovani e felici.
Quella notte avvenne qualcosa però, qualcosa che non ricordo bene… la cosa importante per la nostra storia è che, comunque sia andata, per un qualche motivo io mi ritrovai libera per qualche ora in più del previsto.
Alla fine dei bagordi ero crollata su un divano e avevo riposato solo un po’.
Non erano neppure le dieci del primo dell’anno che, non so come, mi ritrovai sul sedile posteriore di una Fiat dell’epoca. Alla guida c’era il fidanzato di mia cugina (che di sicuro dormiva e avrebbe dormito per ore… era la sua passione) e… e… il mio giovane amore, quello con cui non riuscivo mai a restare da sola!
Mi ricordo che entrammo nel cancello del Bosco della reggia di Capodimonte, un punto di riferimento tipico per le scampagnate delle domeniche d’estate, o per le coppiette che cercavano di appartarsi. Il custode ci guardò storto ma non disse niente e ci lasciò entrare con la macchina. Fuori era freddo, il fondo lontano dei lunghi viali era quasi nascosto dalla nebbiolina del mattino, però in macchina si stava bene e io ero troppo stanca per crearmi qualche preoccupazione.
Non capivo niente della situazione che si stava creando, ero troppo felice che lui fosse con me per agitarmi…
L’uomo alla guida raggiunse un posto appartato e tranquillo; comunque tutto il bosco era deserto quella mattina. Fu quando ci fermammo che iniziai ad essere inquieta. A motore spento, nel silenzio del sottobosco oscuro, la mia razionalità ebbe il sopravvento sull’avventura, cominciai a pensare che forse mi ero cacciata in una situazione pericolosa. Dopotutto, col mio amore, ci eravamo scambiati più baci in bocca che parole, in realtà era solo un ragazzino che, tra l’altro, nemmeno conoscevo bene. Il fratello poi era un adulto e sapevo bene quanto era scaltro con le donne, mia cugina ci piangeva spesso per i suoi tradimenti.
Mi bloccai impaurita in attesa degli eventi, anche io ero una ragazzina e non mi ero mai allontanata tanto da casa, da sola e con due sconosciuti, per giunta.
L’uomo si voltò e mi guardò, soffermandosi ammirato sulle mie cosce nude, che la minigonna copriva molto poco. Ricordo che avevo la carne bianchissima che spiccava sotto la mini scura, avevo tolto le calze nel bagno di casa, perché si erano sfilate in vari punti. I suoi occhi eccitati mi diedero i brividi, ma poi disse candidamente:
«Ok, ragazzi, io vado a fare un giro, torno tra un’oretta.» poi rivolto al fratello « Mi raccomando se arriva qualcuno o qualcosa non va, suona il clacson e io arrivo!»
3
Quelle parole mi rincuorarono, ma quando il fratello del mio ‘amato’ si allontanò in pochi istanti la paura lasciò il posto all’imbarazzo. Lui doveva essere vergine, proprio come me, e poi, tranne i nostri ripetuti strusciamenti dietro gli stipiti delle porte, avevamo combinato ben poco… invece adesso eravamo soli. Una macchina, all’epoca, era paragonabile a una stanza d’albergo per le coppiette di fidanzati e di amanti… quindi eravamo in una tipica situazione da adulti.
Che fare?
Per fortuna l’attrazione era potente. Dopo i primi attimi di smarrimento, lui si voltò e iniziò a baciarmi: bastò per cominciare a sciogliermi e per lasciarmi andare.
Lui cercava di capire cosa fare e come farlo al meglio. Mi fece passare sul sediolino davanti, mentre lui si spostava sul lato guida. Abbassammo i ribaltabili…
Con tutti quegli spostamenti la mia gonna era ormai salita al punto che mi si vedevano tutte le mutande, anche la maglia si era avvoltolata verso l’alto, liberando del tutto la mia pancia morbida e chiara.
Il mio giovane amante era impacciato quanto me ma era evidente che cercava di fare del suo meglio, per procurarmi piacere; si chinò sulla pancia baciandomi tutta, poi si avventurò tra i seni liberi, stringendoli, baciandoli; leccando e succhiando i capezzoli con foga.
Quei suoi modi maldestri mi mettevano comunque il fuoco in corpo e il desiderio di non essere da meno… Non avrei saputo dir di no a qualsiasi sua richiesta, nonostante avessi un’idea piuttosto vaga del punto a cui saremmo potuti arrivare.
Lui si abbassò, mi scostò la mutandina, poi si fece coraggio e più per istinto che per calcolo, mi calò con le labbra sulla vulva. I suoi baci, il calore del suo alito tra i peli mi resero pazza di piacere, automaticamente allargai le gambe per fargli comprendere i miei desideri. Il mio amante non si tirò indietro, spinse la bocca tra le cosce e mi ficcò la lingua in figa, come quando mi baciava in bocca con passione. Per me fu come conoscere il paradiso; mi ero masturbata tante volte e anche lui ci aveva messo dentro le dita, ma con la lingua languida e veloce sul clitoride non esisteva paragone.
Senza volerlo gli presi la testa tra le mani e me lo tirai contro l’inguine. Per fortuna lui era instancabile e felice, dopo pochi minuti con le sue dita affondate dentro e la sua bocca che mi succhiava l’anima, venni in maniera liquida, abbondante e scomposta… e lui non si fermò! Fu una lunga, fantastica goduria.
Quando mi calmai fu lui a mettersi con la pancia fuori e io non me la sentii di non ricambiare. Ma ero nel panico: con le ragazze si era parlato spesso del fatto che il pene si può prendere anche in bocca, però io non l’avevo mai fatto. Veramente il cazzo non l’avevo nemmeno mai visto bene, da vicino. L’avevo toccato e a volte masturbato ma sempre nel segreto della penombra e con la paura in corpo di essere scoperta.
Ricambiai le sue stesse effusioni, baciandogli la pancia tesa e arrivando poi fino ai suoi peli, allora si abbassò tutto e mi ritrovai davanti il sottile cazzo puntuto e invitante. Mi ci accostai, odorava di caldo con un leggero sentore di orina, ma non era una vera e propria puzza, al contrario era un odore che mi rizzava i peli della nuca e mi caricava di desiderio. Ci poggiai sopra le labbra e iniziai a dargli dei bacetti. La carne era tenera e succosa, morbidissima al contatto delle labbra… mi chiedevo se dovevo fermarmi, oppure se il cazzo andasse per davvero introdotto in bocca.
Il ragazzo se lo prese tra le dita e abbassando la pelle tirò fuori la capocchia (di cui non sapevo neppure l’esistenza). Il glande era teso e rubizzo; chissà perché ma adesso che il suo cazzo aveva la testa di fuori mi sembrava più aggressivo e pericoloso. Ma quella forza sprigionata dall’asta era un’attrazione immensa per la mia libido. Mi ci accostai di più e dopo i baci provai a leccare. Ebbene, come potete immaginare, dopo averlo leccato e inumidito la voglia di succhiarlo prendendolo in bocca era inarrestabile. Lo feci, prima piano e delicatamente, solo la testa, poi mi ci accanii sopra, con decisione, introducendolo tutto, fino alla gola, fino a quando con le labbra gli potevo sentire le palline.
Mai provato, mai sentito tanto piacere: lo stringevo in bocca e ci giocavo intorno con la lingua. Inconsciamente desideravo solo spomparlo e succhiarlo, fino a farlo godere.
Lui aveva già eiaculato a volte con me, ma al finale si segava da solo e si arrivava nel fazzoletto per non sporcare per terra.
Il mio amore mugolava, pazzo per il piacere, e s’inarcava sulla schiena, incapace di trattenersi, mentre io in quei pochi minuti mi trasformavo, diventavo sempre più “femmina”, più padrona di me stessa e del mio corpo, più decisa e più docile al sesso, al tempo stesso.
Nell’amplesso dimenticai le amiche, la vergogna, i luoghi comuni, gli ammaestramenti di mia madre. Ora eravamo una cosa sola, uno nella bocca dell’altro, e ci stringevamo forte, come se tentassimo di soffocare nei genitali dell’amante.
Anche lui non era più un ragazzino, ormai. Quando ci districammo dal nostro abbraccio mi venne sopra, col cazzo teso come un nerbo, se lo teneva con le dita e cercava, smaniosamente la mia vulva.
Aprii le cosce meccanicamente, senza pensarci su; fu più lui ad avere un attimo di ripensamento, di lucidità:
«Posso ficcare?» mi disse roco «Te lo metto dentro…?»
Riuscii a tornare padrona di me:
«Amore, io sono ancora vergine… decidi tu.»
4
«No, io non posso decidere per te… se te la senti… se mi ami abbastanza…» intanto il piccolo glande si era fatto già spazio tra le grandi labbra, assai umide.
«Io ti amo, ti amo tantissimo… ma ho paura…» Era vero, grazie a quel momento di esitazione tutte le paure, gli avvertimenti, i divieti imposti in famiglia ripresero possesso di me e mi aiutarono a rinunciare.
«Meglio di no,» mi sentii dire «magari in un altra occasione… ho paura di perdere la verginità… io, sai, io…»
Fu solo un attimo eppure ebbi la netta sensazione che qualcosa si fosse rotto tra di noi. Io stessa mi resi conto di aver dato un valore sentimentale troppo estremo a quel nostro rapporto infantile; lo vidi per quello che era: un ragazzino. “Perdere la verginità… con lui? Beh, che male c’era? E se poi ci restavo incinta… e se lui non si sapeva trattenere?”
Mentre mi arrovellavo tra le mie paure e la mia eccitazione lasciava il posto al calcolo, il mio ragazzo era diventato diverso, anche lui si era raffreddato.
«Ok, va bene, ma io adesso devo arrivare… girati!»
Ora era più freddo e determinato ma io non me la sentii di dargli una nuova delusione, con la morte nel cuore mi voltai, sperando non mi facesse troppo male.
Avevo capito benissimo cosa aveva in mente, voleva ficcarlo nel di dietro. Conoscevo bene quella pratica perché era molto diffusa tra le ragazze: per evitare di perdere la verginità ma per non scontentare il ragazzo, preferivano prenderlo in culo. Anzi, quelle che lo avevano già fatto dicevano che era un’esperienza molto piacevole, una volta superato il momento più doloroso, quello della penetrazione.
Adesso il mio amore era infoiato. La forza della virilità aveva preso il posto delle languide carezze, voleva entrarmi dentro, voleva fottere, e io lo sentivo. Più volte mi scosse le grandi natiche corpose, alla ricerca dell’angolatura giusta per infilarmi; io sotto di lui mi sentivo indifesa, ma ero disponibile… speravo solo facesse in fretta. Speravo anche di non avere problemi personali, la mattina non avevo fatto la cacca e non si sa mai cosa mi poteva succedere. Praticamente ero vergine anche di dietro, quindi…
Quando si sentì pronto, dopo avermi carezzata con voluttà, si abbassò e mi baciò l’ano, poi lo leccò, infine sentii che ci sputava dentro la sua saliva, per lubrificarlo alla meglio.
Immediatamente dopo mi fu tutto sopra; sentivo le sue dita inesperte che mi cercavano il buchetto per infilarci il coso. Poi riuscì, spinse, e mi sentii spaccare in due.
«Ahi, ma che cazzo…» strillai sorpresa. Non mi aveva fatto troppo male, ma era pur sempre un coso duro che mi era entrato tutto dietro.
«Scusami» disse, riprendendo il controllo di sè «Ti faccio più piano, perdonami…»
Lo tirò fuori, mi accarezzo di nuovo il sedere, mi bagno di nuovo con lo sputo, poi ritornò alla carica. Questa volta il cazzo mi entrò dentro senza nessun disturbo, anzi era caldo e piacevole.
«Va bene così?» chiese. Gli dissi di sì ma di continuare comunque a far pianino.
Poi non parlammo più, ma mugolammo. Io scoprii che mi piaceva da matti quella sensazione di penetrazione anale. Lui si sollevava e mi ricadeva dentro: i nostri corpi si incollavano, il suo cazzo, duro e sottile, ci univa. Lo toccai con la mano da sotto, poi mi feci il ditalino, per godermi di più quel momento stupendo.
Dalla voce e dai colpi mi accorsi che stava venendo. Peccato, era durato veramente poco ma non mi lamentai. Speravo solo che lo sperma dentro il culo non avesse potere riguardo alla fecondazione: le mie amiche mi avevano assicurato di no; a mia madre non avevo mai avuto il coraggio di chiedere questo.
Pochi minuti dopo venne fuori dal culetto con un “plop” si sistemò alla meglio, poi mi aiutò a rivestirmi.
Non parlammo. Tra noi tutto era diverso adesso; probabilmente era ora di chiarire anche il nostro rapporto, che non era più una cotta infantile ma qualcosa di più.
Io comunque non volevo pensare. Mi ero molto “riscaldata” e adesso ero pentita di non aver scopato anche davanti… chissà quando sarebbe ricapitata l’occasione e adesso, eccitatissima, lo volevo più che mai. Anche pensare allo sperma del mio ragazzo, che ancora mi riempiva il culo, mi mandava in estasi. Appena a casa mi sarei lavata e probabilmente masturbata in santa pace…
«Chiamo mio fratello» disse e suonò il clacson dell’utilitaria. Poi scese dalla macchina e girò intorno a un albero per cercare dove far pipì.
Pochi minuti dopo arrivò suo fratello, probabilmente un po’ infreddolito ma non si lamentò, anzi sorrideva.
Poi disse qualcosa al mio lui che lo guardò sorpreso ma poi girò i tacchi e si allontanò.
5
L’uomo si avvicinò all’auto e aprì lo sportello:
«L’ho mandato a cercare delle sigarette… ci metterà un po’.» mi guardò allegro «Tutto bene? Vi siete divertiti?» Io diventai rossa come un peperone, nella foga del piacere non avevo proprio pensato a quanto equivoca fosse la mia situazione. Quell’uomo sapeva perfettamente che ero rimasta lì per essere scopata, una confidenza veramente eccessiva ci legava.
«Hai fatto la pipì? Qui ti puoi liberare, non c’è proprio nessuno stamattina.»
Effettivamente, sia per il freddo che per il sesso sentivo il bisogno di farla una bella pipì, per liberarmi la vescica.
«Scendi,» disse «dai non fare la schizzinosa… non ti guardo, non ti preoccupare…» e intano sorrideva beato e sicuro di sè. Scesi per cercare a mia volta un posticino appartato ma non pericoloso; in realtà ero anche assai costipata per la notevole quantità di liquido che il fratello mi aveva riversato in corpo, appena pochi istanti prima.
Era quasi mezzogiorno, ma era il primo di gennaio, quindi faceva un bel freschino e io ero a gambe nude, solo col golfino e la mini. Cercai di fare in fretta, stando attenta di non essere seguita. Mentre spingevo per orinare, sentii dei rumorini dal culetto: lo sperma traslucido veniva fuori copioso insieme ai mie umori lubrificanti… in pratica: ero inzuppata proprio per bene!
Da dietro l’albero più vicino spuntò una ma mano tesa, stringeva un rotolo di carta igienica, e sentii la voce del nostro “autista” improvvisato:
«Ti serve?»
Che domande, era provvidenziale; mi mossi come una rana zoppa per non sporcarmi, riuscii con un guizzo a prendere la carta, ma non feci in tempo a gridargli di non guardarmi, che quello già sbirciava, canzonandomi col suo sorriso sicuro.
«Dai, non te la prendere… mica sei la prima ragazza a cui vedo la passerina.» Ormai ero sputtanata su tutti i fronti con quell’uomo, che significato poteva a vere mostrarsi ipocritamente pudica? Sbuffai e fregandomene di lui, mi coprii alla meglio con la gonna e mi pulii, gettando poi la carta dietro un cespuglio.
«Fine dello spettacolo… contento?» dissi senza rabbia.
«Ma dai, non fare la difficile, dopotutto è naturale, è tutto naturale: fare la pipì, fare l’amore… tu sei una bella ragazza, molto “bona” nonostante l’età, vuoi che un maschio non ti guardi? Non ti desideri?»
Camminavo davanti a lui e ne sentivo lo sguardo sulla nuca e sulle chiappe, e in quell’istante imparai un altra cosa sulla mia femminilità che non sapevo… una donna è diversa dall’uomo solo a chiacchiere e solo fino a un certo punto, quando la vicinanza del maschio superava certi “limiti” di sicurezza, quando l’eccitazione era tanta, anche una donna può desiderare semplicemente il sesso. Un piacere nudo e crudo. Tutt’altro che l’amore, le cotte e i sentimenti sublimi… in certi momenti una donna a voglia di cazzo, voglia di essere sbattuta con forza, voglia di godere e di gridare mentre sta godendo!
Dopo l’inculata, la prima della mia vita, ero rimasta su di giri, sessualmente parlando ma cosa significasse questo per i miei ormoni ancora non potevo saperlo.
Il fratellone del mio ragazzo, invece, doveva essere un vero esperto: agiva con calma, senza incalzarmi né darmi fretta, ma con determinazione e sicurezza.
Mi accompagnò fino alla macchina e mi fece sedere.
«Ecco, in macchina stai più calda.» disse, mentre con la manovella faceva scorrere in basso tutto il finestrino. Si guardò prima intorno per controllare, poi senza aggiungere altro, si appoggiò allo sportello e con disinvoltura si aprì la patta e tirò fuori il suo cazzo.
La mia mente era scioccata da tanta sfacciataggine ma il mio corpo di femmina eccitata la pensava diversamente; come se avessi dovuto portare a termine un dovere, un incombenza, accettai la situazione… e allungai la mano verso quel cilindro di carne, barzotto e bollente. Il pene del fratello era di tutt’altra misura, era lungo e spesso, la pelle intorno era scura, lo scroto gonfio e grosso: meraviglioso e possente nella sua oscenità. Quando lo toccai aveva la consistenza della seta, le grosse vene che gli giravano intorno si gonfiarono, mentre il membro cresceva. La sua punta ora tesa, gonfia e rubizza sembrava una piccola mongolfiera, mentre s’innalzava irrigidendosi al tocco delle mie dita.
Mi sollevai il giusto per assaggiarlo, prima timidamente, poi con decisione. A pochi minuti di distanza facevo il mio secondo bocchino e per giunta a un uomo diverso: non c’è che dire, per essere timida e imbranata avevo cominciato alla grande!
Questo pompino fu diverso, però… non era accennato ma convinto e deciso. Lo volevo, lo desideravo in bocca e me ne saziavo, esagerando nell’ingoiarlo fino a sentire allargarsi la gola, fino a provocarmi, senza ritegno, conati di vomito e rigurgiti di saliva. Sembravo assatanata di cazzo… e lo prendevo senza reticenze, quasi con gioia.
L’uomo mugolava e si inarcava in avanti, sollevandosi sulla punta dei piedi dal piacere.
Me lo trasse di bocca quasi con forza, poi aprì lo sportello e mi fece scendere. Mi prese per mano e mi tirò verso il cofano della vettura. Con modi spicci mi spinse in avanti, facendomi chinare sul metallo freddo.
Adesso era assai arrapato, aveva fretta e si guardava intorno come una spia; forse lui stesso non pensava di spingersi tanto oltre con me, forse si preoccupava davvero che il fratello tornando ci vedesse insieme. In effetti sarebbe dispiaciuto anche a me, ma chi ci riusciva a sottrarsi a quel cazzo enorme e teso? Come lo scettro di un re aveva potere sul mio sesso.
Non parlai, non mi ribellai, nonostante avessi la figa che sbrodolava, ebbi timore per il mio povero culetto, il cazzo dell’uomo era più del doppio di quello del “fratellino”.
Ma avevo sbagliato i conti di brutto, l’uomo alle mie spalle non era interessato al culo. Mi ficcò la capocchia tra le grandi labbra e poi spinse, trovandomi tutta bagnata, perfettamente lubrificata. Capii troppo tardi come stavano andando le cose, non riuscii a parlare, a fermarlo, nemmeno con le mani, che cercai di tendere all’indietro per bloccargli i fianchi.
Con un solo colpo, preciso e sicuro, lui mi sfondò completamente, distruggendo il mio prezioso imene come fosse un foglio di carta velina. Più che da un dolore venni invasa da un calore tremendo, che mi attraversò dentro, dall’inguine fino alla testa. Non saprei dire se lui capì che ero vergine ma ormai la frittata era fatta e non si sarebbe più fermato. Io iniziai a provare un piacere che nemmeno conoscevo, mi accasciai addolorata e felice sotto il cazzone che mi viaggiava in corpo.
Cominciai a venire; l’orgasmo a lungo trattenuto mi esplose dentro e iniziai a mugolare di piacere senza riuscire a controllarmi più. Lui era bravo, bravissimo. Mi fece arrivare a lungo, poi, non avendo alcun preservativo, al momento giusto lo tirò fuori e mi fece girare. Riuscii a malapena a salvare la maglietta, calandomela sotto i seni. Accovacciata davanti al suo cazzo venni irrorata da fiotti di sperma bollenti, che mi flagellavano i seni, le labbra, il volto; goccioloni biancastri mi arrivarono persino tra i capelli arruffati dal sesso.
6
Tornai in macchina sconvolta e sfinita. Ancora una volta la carta igienica risultò provvidenziale.
Non parlammo. Non dicemmo una parola… eravamo più estranei che mai, adesso. Dopo il fattaccio.
Ora che ero tornata in me mi pentii di quanto ero stata disponibile, di quanto ero stata zoccola. Mi sentii sporca nei confronti del mio “amore”: quello che doveva essere il coronamento erotico del nostro giovane amore platonico si era trasformato in una vera porcata… e non potevo certo incolpare solo il fratello maggiore, per quanto si fosse comportato come una merda. Io ero complice… e me l’ero goduta tutta, dovevo ammetterlo. Persino peccare in quel modo insano mi aveva provocato scosse di piacere.
Qualche istante dopo il mio lui tornò. Era silenzioso; non sapevo se avesse visto qualcosa; magari aveva solo capito.
Passai dietro, sul sedile. In silenzio l’altro mise in moto e andammo via lentamente dal Bosco.
Ero spossata, dispiaciuta e confusa. Il rollio della macchina sull’acciottolato e il tepore del riscaldamento mi fecero assopire per qualche istante, sul comodo sedile posteriore.
Arrivati nel nostro quartiere aprii immediatamente gli occhi, non avevo veramente dormito. Adesso non desideravo altro che correre a casa e chiudermi in camera mia.
Il fratello discese e si allontanò in fretta, Gianni, invece era girato verso di me e mi fissava in maniera strana. Non sembrava più il ragazzino per il quale avevo perso letteralmente la testa; ora mi fissava con sguardo adulto, quasi cattivo.
Poi, con freddezza, mi disse:
«Guarda che sei sporca… lì!» lo disse con chiarezza, senza emozione… ma io arrossii pur non comprendendo subito, infatti mi passai la mano nei capelli e sulla maglietta, istintivamente.
Non trovai tracce di bagnato… poi intuii e abbassai lo sguardo.
Da sgualdrina quale ero diventata in quelle poche ore, ora non stavo più nemmeno attenta a chiudere le cosce. Mentre sonnecchiavo la mini era salita su, molto su, lasciando esposta la mutandina… sulla parte centrale, quella tra le cosce, c’era una grossa macchia rossa di sangue fresco. Saltai indietro per aggiustarmi, per coprire il misfatto… ma inutilmente: Gianni era già andato via e, da quella mattinata assurda, non lo rividi mai più.
*****
«Signurì, bentornata!» mi gridò dietro il portiere, che mi conosceva da bambina «Mado’ e come site cresciuta, comme ve site fatta bella…» nonostante fosse vecchio guardò con bramosia le mie cosce troppo scoperte per quell’ora del mattino. «E o’ Veglione? Com’è andato? Ve site diverita? Avete sparato?»
Sorrisi impacciata per cortesia, mi allontanai mentre dicevo, più che altro a me stessa:
«Si.. solo due “botte” ma molto forti… per cominciare bene l’anno nuovo!»
© - Giovanna Esse 2019 -2020
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