Umido. Bagnato. Sporco. Unto. Disumano. Doloroso.
Le mie lacrime non cessavano di scendere, il mio viso salato si contraeva in un’espressione bagnata
e dolorante. Il mio corpo candido e fragile era un brivido unico e continuo, un fremito di vita e di
morte. Sentivo il sangue scorrere dentro le vene, come un esercito di fiumi in piena, che stanno per
strabordare.
Avevo caldo, sentivo un’unica fascia di sudore che mi avvolgeva il corpo. Le mie grida mute erano
state soppresse, con un caldo lembo di stoffa con cui mi avevate serrato la bocca. Voi eravate tutti
attorno a me, voi in piedi e io distesa.
Così soffrivo in silenzio mentre tu, gridando, spingevi. Tu mi sfondavi con il tuo corpo, e lo facevi
con rabbia.
Tu davanti a me, dentro me, con tutti gli altri attorno che ridevano, osservano il mio sangue uscire.
Le mie cosce spalancate, colme di sangue e sudore, erano quelle di una donna giovane e fresca, un
po’ troppo maliziosa, che sta subendo le pene che si è meritata. Sapevo di meritarmelo, perché fino
ad allora avevo giocato col fuoco.
Ma un fuoco ardente, umano ma disumano, il fuoco dell’amore dentro noi, il fuoco del sesso che ci
brucia come animali. Tutti sorridevano, tranne te; e me.
Ma tu eri già lì, tra loro, vedevo la tua immagine sdoppiata e riflessa, e tu eri lì a ridere, come loro,
a guardare il mio sangue che usciva, le mie labbra serrate, eri lì come un fantasma del futuro troppo
vicino per essere invisibile.
Guardavo meglio, appena riuscivo a riaprire gli occhi. Volevo vedere cosa succedeva attorno a me.
La scena mi appariva sfocata a causa delle le lacrime, eppure riuscivo a vedervi, tutti in fila, nella
stanza opaca e un po’ soffocante; forse c’ero anche io, da qualche parte, tra voi. Non ero solo al
centro della scena ma facevo anche da spettatrice. Il mio delirio aumentava sempre di più, e la mia
mente si riempiva di immagini surreali.
Poi eccoti, quando finalmente uscisti dalla mia ferita d’amore, trassi un respiro di sollievo, e,
improvvisamente, dopo pochi secondi, sentii di nuovo lui, l’altro, che spingeva, e mi faceva più
male di te.
Il mio ventre era come un sacco, gloriosamente svuotato, la mia testa dolorante, il mio respiro
affannoso, che improvvisamente cessò. Bianco fu tutto ciò che vidi, come una luce abbagliante
senza tempo, e poi….il vuoto.
Mi risvegliai, ma gli occhi rimanevano chiusi, a ventosa, come non mi era mai successo. Era come
se tutto il mio timore passato si fosse trasformato in gioia, e come se la forte emozione che mi sarebbe aspettata fosse stata un ostacolo per me. Stavo ferma, ma mi pareva di fremere per l’eccitazione. Volevo vedere la luce, non più le ombre; vedere la realtà, non più l’apparenza; vedere la vita, non la morte; eppure qualcosa mi disse di starmene ancora un po’ distesa ad occhi chiusi, a riflettere ed ascoltare. Volevo ascoltare. Sentii una voce maschile, che sussurrava parole dolci, tra un sorriso e l’altro. Sentii una mano che mi accarezzava. “Fermati e ascolta”, mi disse, o forse lo immaginai soltanto.
Così ascoltai le parole di quell’uomo, il sospiro stupito e allegro di mia madre, l’abbraccio di mio padre di fianco e lei, e poi, le risentii, ascoltai le tue grida, il vostro pianto.
Erano più calme e più lontane, ma mi parve di tornare indietro nel tempo, per un attimo, in quel lago sanguinolento di dolore che mi avevate fatto patire. Decisi allora che era quello il momento di fermarsi; dovevo aprire gli occhi.
E così feci, e tutto mi apparve più chiaro. Voi due eravate davanti a me, belli come il sole del mattino che illumina la rugiada.
Tutta la famiglia intorno a me mi sorrideva e mi abbracciava. Mi destai con la schiena, il letto non era certo dei più comodi; la camera era bianca, opaca e un poco triste. Ma ero felice. Avevo partorito due splendidi gemelli, e tutto ciò che desideravo era starmene sola con voi, i miei due figli, grazie ai quali non solo avevo provato le più forti e belle emozioni della mia vita, ma avevo imparato a fermarmi ed ascoltare, anche le cose che sembrano le più spiacevoli.
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