Dopo essermi lavata, cambiata e vestita in modo particolare ed elegante, Iside mi raggiunse e mi somministrò una bevanda energetica, estremamente potente, che lei stessa confessò contenere una sostanza naturale, ma molto simile alla cocaina.
Mi baciò teneramente, ma sentivo che si distaccava sempre di più da me, forse anche suo malgrado.
Ero vestita senza intimo né lingerie, indossavo un abito nero, da sera, fasciante ed elastico, con uno spacco laterale vertiginoso; una incastellatura nascosta e sorretta da bretelle larghe, di pizzo, mi sosteneva il seno in uno stretto “balconcino” che non conteneva completamente le mie grosse tette: ecosì risultavano erette verso il davanti, offerte allo sguardo altrui fin quasi al capezzolo.
Indossavo stivali neri di pelle morbida, senza calze, che superavano di due dita il ginocchio.
Alle dieci di sera scendemmo e raggiungemmo la hall dell’ Hotel Residence. Fuori piovigginava costantemente quella sera, anche se l’ aria era abbastanza calda.
Ero convinta di uscire ... invece ...
Il nostro anfitrione efficiente e gongolante, come sempre, ci salutò tutte e tutti in maniera abbastanza ufficiale, ci ricordò che stavamo per partecipare a una “festa” molto particolare, come molte sapevano ... mentre per pochi altri “giovani elementi”, sarebbe stata la prima volta.
Con orgoglio annunciò che l’ ospite d’ onore, il “signore” che mi aveva deflorata la sera prima, sarebbe arrivato presto e che “loro”, o meglio lui, aveva fatto del suo meglio per organizzare una festa indimenticabile.
Poi, invitandoci ufficialmente, chiamò Iside e me presso di lui e aggiunse:
La giovine, porta il suo stesso sanguw e ve la presento ufficialmente:
Giovanna, nonostante la procacità e l’ avvenenza – e fece una risatina idiota, ma poi aggiunse con solennità – è ancora vergine, cosa difficile al giorno d’ oggi – seconda risatina idiota – Lei è questa sera “la prescelta” per onorare la seconda parte della festa, dedicata al nostro importante ospite e, naturalmente, alla nostra Madre spirituale .....– e qui pronunziò un nome che non posso ripetere.
A quel punto tutti aggiunsero un saluto speciale alla “Dea Madre”, per me sconosciuta completamente; poi, con mia grande sorpresa, mi prese per mano e mi portò al centro della sala.
Le luci intorno si oscurarono e due valletti portarono in sala un piccolo tabernacolo argentato, al centro di esso, una porticina intarsiata.
In pochi istanti, altri accesero decine di candele e fiaccole, mentre le luci elettriche vennero spente tutte, completamente.
Io assistevo sbigottita a quei preparativi del tutto nuovi, non ero abituata a trovarmi al centro dell’ attenzione e ... senza sapere assolutamente cosa fare.
Contavo sulla zia Iside per non fare mosse false e magari, qualche brutta figura.
Ma Iside mi abbandonò ...
Mia zia, completamente trasfigurata, ora aveva appena indossato una veste bianca con delle balze, come quelle che indossavano le matrone romane, alcune ancelle l’ avevano vestita in pochi secondi: era bellissima, ma dimostrava una età diversa.
Il suo corpo non era più sottile da ragazza, ma opulento e sostanzioso, da donna adulta, il viso dimostrava una sessantina d’ anni, ma la pelle era bella, tesa, delicatissima.
Gli occhi brillanti e acuti avevano uno sguardo estasiato e senza tempo.
Si avvicinò regalmente al tabernacolo, si guardò intorno come ad abbracciare con lo sguardo quella comunità attonita, poi con un gesto deciso intimò a tutti di mettersi in ginocchio.
Fruscio di abiti e, in pochi momenti, tutti si abbassarono, io mi accinsi a fare lo stesso, ma Armando, il cerimoniere, mi fermò con la mano:
E mi accompagnò per mano, fino a posizionarmi a sinistra del tabernacolo, proprio di fronte.
Mi guardai intorno: il silenzio era totale, e la sensazione di “attesa” tangibile, intravvedevo le auree dei convenuti e, ai bordi della sala, paggi e valletti, alcuni non identificabili e con ben poco di umano ... per me erano figure tremolanti: il mio terzo occhio si stava appena sviluppando.
Iside si inginocchiò davanti alla porticina, Armando, si avvicinò e le porse una piccola chiave che teneva al collo, mi accorsi che, sotto un mantello di seta, era vestito da cavaliere, con corsetto e spadino.
Iside girò la chiave nella serratura e poi la restituì al Mastro di Chiavi.
Armando senza voltarsi, si allontanò deferente e torno in ginocchio, tra le prime file di adepti.
Capii di trovarmi al centro di un vero e proprio rito e mi sentii investita di dignità. Mi sentii importante, non tanto per me stessa, ma per la fede vera e incondizionata che mi perveniva, tangibile, da parte degli adepti.
Capii di essere responsabile del mio ruolo e che dovevo accettarlo con dignità.
Non provai più alcuna preoccupazione né pensai più a come atteggiarmi.
Mi fidavo dei miei amici e mi fidavo di me stessa.
Sapevo che avrei fatto o detto le cose giuste e ... mi lasciai andare a quella atmosfera mistica.
La zia Iside aprì il tabernacolo: una statuetta alta poco più di mezzo metro era al suo interno: era di fattura grossolana, quasi preistorica.
Una figura femminile, stilizzata.
Forme essenziali, il volto era appena abbozzato, naso sottile, occhi accennati che fissavano l’ infinito ... eppure, nella sua semplicità, era bellissima.
La figura della Dea era ritratta ferma, in piedi, con una mano abbandonata sul corpo che arrivava al pube e l’ altra, sempre abbozzata nella roccia, che posava sullo sterno.
Incredibile quanto “comunicasse” quella piccola statua di pietra, le cui sembianze erano scolpite in maniera tanto grossolana da dover essere intuite, eppure ...
Si capiva che era una Madre, e che con le mani proteggeva la sua femminilità, principio attivo, e probabilmente, un figlio che aveva in grembo, pur non mostrandosi incinta.
La sensazione che dava era, nonostante l’ immobilità, quella di un principio dinamico, un moto in avanti, la statua stessa nonostante non vi fosse niente che lo accennasse, sembrava incedere, come una persona fotografata nell’ attimo in cui inizia a camminare.
Ero ipnotizzata da quella misteriosa bellezza, che trasmetteva informazioni come una radio ad alto volume.
Tutti all’ unisono alzarono la testa e sussurrarono ripetutamente, in preda all’ eccitazione: - Madre! -, -Madre ... nostra! –
Iside, aiutata da una giovane, fece scorrere la statuetta in avanti: non mi ero sbagliata, quella statua era qualcosa di speciale che non aveva uguali. Mai avrei potuto vederla altrimenti, in vita mia.
Era chiaro che la somiglianza con un essere umano era relativa, la creatura ritratta, la Dea, non so dire perché, non era umana.
Alle spalle, come un piccolo serpente adagiato tra le natiche che scendeva a metà gambe, aveva una coda.
La pietra era di un bianco che tendeva lievemente al verde acqua ed era, evidentemente ... luminescente.
Più che una luce era una fonte di irradiazioni, ondate, lievemente luminose, si spargevano intorno, come una energia, potente, sopita.
I presenti erano in estasi.
Due ancelle si dedicarono a me per spogliarmi nuda, io non mi rifiutai.
Intanto Iside e gli altri intonarono una antichissima preghiere:
*Oh risplendente, Prima Dea,
a mezzanotte entro nel campo
entro e con me reco: acqua, vino e sale
e reco il mio Talismano.*
Glia altri ripeterono: Il Talismano, il Talismano!
Io ero nuda illuminata dalla luce della statua, mi sentivo importante ed eccitata.
Avevo un piede su uno sgabello alto, la figa in bella mostra davanti a tutti quegli estranei, e invece di provare vergogna mi sentivo trionfante.
Sul mio piedino a cui tutti lanciavano sguardi, si stagliavano netti i piccoli punti, uniti dalla stella, il Pentacolo, più rosso che mai.
Iside mi chiese il Talismano ed io capii che si riferiva al mio pendaglio, l’ unica cosa che ancora avevo indosso.
Poi continuò la preghiera tenendo il Talismano in alto con la mano sinistra.
*Ecco il mio Talismano che in memoria di Te
terrò sempre con me, perche esso io indosso,
ma è Tuo.
Con l’ acqua ed il vino mi benedico,
e il salo cospargo dietro di me
per combattere i nostri nemici.*
Due ancelle passarono per la stanza con delle larghe coppe piene d’ acqua, di vino, e una coppa di sale scuro.
Tutti presenti si bagnarono attingendo un dito della mano destra e della sinistra, portandolo poi alla fronte, e gettandosi un pizzico di sale alle spalle.
Il Mastro di Chiavi si avvicinò: su un cuscino rosso portava un sottile, elegantissimo diadema. Al centro sorretto da brillanti, uno spezzone di pietra luminescente, dello stesso materiale misterioso con sui era forgiata l’ effige della Dea.
Iside lo prese con sussiego tra le mani lo poggiò sulla mia fronte: calzava perfettamente, ma lo sentii pesante e penoso da portare, durò un attimo ... poi, io e il diadema diventammo tutt’ uno.
La Dea era in me.
Non posso spiegare cosa provai, non ci sono parole: d’ improvviso ero là ma nello stesso tempo sentivo tutto l’ universo in me, ne sentivo la presenza, il peso e partecipavo del suo respiro cosmico.
Mi irrigidii e fui sostenuta prontamente dal Mastro e da un ancella.
Iside non si curò di me, anche ella era di certo posseduta, in quei momenti.
Intorno gli altri osservavano la scena con partecipazione e commozione.
La zia – Sacerdotessa, concluse il rito adagiando come un dono ai piedi della Dea di pietra il mio pendaglio dal doppio corno.
Si inginocchiò ai miei piedi e baciò il segno, che rosso come il fuoco, luccicava di luce propria con la sua forma arcana di Pentacolo.
Tutti si inginocchiarono, il tabernacolo venne chiuso, le luci si riaccesero.
Ora il Sabba poteva iniziare.
Continua...
Giovanna Esse, 2020 - Tutti i diritti riservati.
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