1
Cara Giovanna, vorrei raccontare un episodio molto speciale che ha segnato un po’ la mia giovinezza e il mio modo di vivere e sentire il desiderio sessuale. Oggi, che ho 35 anni, e sono persino mamma, dovrei guardare con disgusto a questo tipo di manifestazioni di “affetto”, quelle cui sono stata sottoposta nel mio passato, ma devo ammettere che, invece, ripensarci mi scalda il cuore, e persino tra le cosce mi torna un languorino e una sete di riprovare il gusto proibito.
Ma ecco come andò.
Quando la scuola finì, insieme con i miei, ci spostammo in un paesino vicino a Tortona. La c’era una grande casa di campagna, una vera fattoria, era dei miei nonni e ci vivevano anche le famiglie di zii e zie, che avevano continuato la tradizione contadina e abitavano nei dintorni.
La vita in campagna era bellissima e, per me, ragazzina di città, ogni giorno era un avventura. Purtroppo non c’erano cuginetti coetanei, o erano molto più piccoli, oppure talmente grandi da sembrare adulti, guardati dal mio punto di vista. Adesso, per come sono andate le cose, mi dico che forse non mi sarei neppure interessata troppo a loro e ai loro giochi infantili.
Infatti successe una cosa del tutto inattesa, che attrasse tutta la mia attenzione e rivoluzionò tutte le mie aspettative. Il mio corpo vibrava e tremava, aspettando che ciò che mi aveva tanto attratta, succedesse di nuovo!
Ero molto giovane ma avevo gambe tonite e sode, e un bel culetto prorompente.
Indossavo le mie gonnelline corte, senza malizia, per cercare refrigerio dal calore dell’estate. Non potevo immaginarlo che il mio fisico ancora tanto acerbo
potesse attrarre gli sguardi di un vero maschio.
Il cugino di mia madre era molto grande rispetto a me ed era sempre molto gentile, nonostante fosse un uomo grosso, dalle grandi mani callose e il viso cotto dal sole, un po’rubizzo la sera, dato che la, tutti non disdegnavano un corposo bicchiere di buon vino.
Aveva grande pazienza; appena possibile mi portava in giro e mi mostrava tutto della fattoria e dei lavori di campagna. Quando era possibile, poi, mi donava l’emozione più incredibile che potessi desiderare: mi aiutava a salire sull’alta cabina del trattore e poi giravamo per il podere. Lui doveva controllare un sacco di cose, la intorno… il sedile era molto scomodo, così, appena ci allontanavamo dalla casa, lui diceva:
– Lucilla, se stai troppo stretta, puoi sederti in braccio a me.
Io ne approfittavo subito, era bello stargli così vicino, mentre mi godevo i sussulti piacevoli e la veduta da una prospettiva del tutto diversa. E poi, sotto di me, tra le su gambe, c’era un qualcosa che, tra i morbidi cuscinetti della carne, s’induriva… era per me una sensazione del tutto nuova. Eppure, quel corpo calloso che sentivo, turgido, sotto il sederino, mi portava delle vampate di calore alle tempie, ma senza farmi arrossire.
La sera, sola nel mio lettino ci ripensavo, ero quasi certa di non sbagliare, quello che sentivo quando sedevo sullo zio era il suo pene. Ormai lo sapevo abbastanza bene; anche a scuola se ne parlava con le amiche e avevo visto i disegni del corpo, studiando Scienze. Non posso negarlo, tutta questa strana cosa mi faceva effetto dentro e mi turbava, anche se ancora non capivo perché. Le uniche cose di cui ero certa erano: quelle emozioni mi rendevano contenta e… per la prima volta sentii di non dover raccontare a mia madre, nessuna di quelle cose che provavo con lo zio. Dopotutto, lei doveva avere una grande fiducia in lui, visto che mi lasciava volentieri in sua compagnia.
2
Dopo la colazione, quando si poteva, lo zio mi portava a vedere i posti più caratteristici e più segreti dei boschi, la intorno.
Una mattina, era molto presto, come mi vide, disse:
– Oh,Lucilla, mi fa piacere che sei già sveglia… oggi ho una bella sorpresa per te… vuoi vedere?
Lo seguii nel fienile, che era a un centinaio di metri dalla casa, i lavoranti erano appena partiti per la campagna, o erano indaffarati nel Caseificio. Dentro si stava belli freschi, infatti mi ci rifugiavo spesso di pomeriggio.
Su di un lato, una vecchia scala di legno portava al deposito superiore, c’erano solo poche balle di foraggio, di quelle rettangolari, molto comode per sdraiarcisi sopra. Lui salì, abbastanza guardingo e io lo seguii, curiosa ed emozionata. Dietro una cassa, appena sopra, mi mostrò una cucciolata di micini. La gatta aveva avuto i piccoli: erano meravigliosi, e talmente piccoli che io non ne avevo mai visti così.
– Se non li spaventiamo, la madre non li sposta da qui per almeno due settimane… – disse mio zio con un sorriso, – puoi venire a vederli ogni tanto, ma sempre con me. La scala non è troppo sicura, meglio non fidarsi.
Piena di gioia, mi appoggiai comoda sulla cassa, affacciata per vedere i piccoli. Lo zio si mise al mio fianco nella stessa posizione; per farmi contenta aveva portato la pila, così li potei vedere benissimo. Stesi una mano ma lui mi bloccò.
– No, non devi farlo! Non li toccare, – sussurrò – se la mamma sente il tuo odore è possibile che non li riconosca più e non li allatti. Morirebbero di fame.
Ritirai immediatamente la mano, impaurita, e attenta a non fare danno.
Restammo fianco a fianco in quella posizione, mentre lui, a bassa voce, mi raccontava un sacco di cose che non sapevo sui cuccioli. Addirittura, una volta, in un casolare abbandonato, aveva trovato i cuccioli di una lupa.
Mentre parlava, mi poggiò la mano sulla spalla. Pochi istanti dopo, però, cominciò a carezzare la mia schiena, procurandomi un brivido inaspettato, mentre le dita premevano con un po’ più di forza, nel centro della schiena. M’inarcai, senza volerlo, rispondendo automaticamente a quella nuova sollecitazione.
Poi le sue carezze diventarono diverse, più intime, mettendomi addosso una grande paura… sentii quanto fossero grandi e virili quelle mani callose appena vennero a contatto della mia carne. Lo zio mi carezzò le cosce, fino alle ginocchia, e poi saliva, saliva… finché si fece spazio sotto la stoffa leggera della gonna, e arrivò all’orlo delle mutandine.
Restai immobile, terrorizzata non tanto da lui, quanto dalla mia totale impreparazione a quella situazione. Pensai addirittura (e sentendomi in colpa per la vergogna) che indossavo le mutande del giorno prima… ci avevo anche dormito e non mi ero ancora fatta il bidet. Quindi divenni rossa, di fuoco, temendo che lui avrebbe anche potuto infilarci la mano, toccandomi il culetto, e le mutandine non erano fresche e pulite!
Però, in quella ridda di emozioni, scattò pure una molla nuova nel mio cervello: il desiderio!
Ogni cosa di lui, in quel momento mi sembrava una calamita, una spinta a desiderarlo vicino, incollato… addosso.
Lui odorava di maschio, adulto e virile; puzzava di lavoro, di sudore nobile, e il suo respiro diventava sempre più contratto. Capii cosa vuol dire quando dicono che l’uomo si è eccitato!
E io desideravo qualcosa; o meglio, desideravo tutto! Desideravo il sesso senza sapere bene come fosse, fatto in due. I miei unici orgasmi me li donava già da qualche anno, ma da sola; avevo troppa paura delle folli storie che circolavano sui pericoli della deflorazione. Sapevo che alcune mie amiche ci infilavano dentro qualcosa e di altre, che avevano avuto rapporti completi, fin dentro la passera, oppure avevano provato il cazzo dei ragazzi, solo strusciato tra le gambe. La mia più grande perversione, invece, era stata infilarmi due dita anche dietro, mentre venivo.
Mio zio non poteva immaginare quanto desiderassi, in quel momento, che lui andasse più in su con la mano, che non si fermasse in quel gioco che mi rendeva pazza di desiderio. Ma lui non fece altro, né disse altro.
Uscimmo senza nemmeno guardarci negli occhi. Fuori l’aia si era un po’ ravvivata: c’erano le zie, con i piccoli e c’era mia madre. Corsi da lei, dimenticando il sesso e raffreddandomi mentre avanzavo. Avevo solo voglia di tornare piccola e di dimenticare quel fuoco che mi aveva invasa… capivo che mio zio aveva vent’anni più di me.
– Mamma, mamma, – le dissi con entusiasmo, – sono nati i gattini… sono troppo teneri. Uno è bianco col musetto… – e continuai a confidarle le meraviglie che avevo visto.
3
Ma la mia innocenza non resistette a lungo. Il pomeriggio del giorno dopo, quando tutti in casa riposavano un po’, dopo pranzo, raggiunsi lo zio che lavorava nella cantina e gli chiesi, se poteva, di riportarmi a vedere i mici. Avevo sotto le mutande nuove: bianche, immacolate.
Mi fece salire per prima sulla scala, e io lo feci, piano piano. Lui era subito dietro di me, sentivo il suo fiato sui polpacci.
Sopra, ci rimettemmo appoggiati alla cassa, come la mattina precedente… ma il mio cuore già batteva all’impazzata, al solo ricordo di quel che c’era stato.
Parlottavamo tra noi, quasi sussurrando, ma dopo un po’ lui rifece gli gesti del giorno prima, ma stavolta infilò la mano sotto la gonna e, alla fine, mi carezzò le chiappe da sopra gli slippini.
Poi scese con la mano e per me si aprì un firmamento di emozioni nella testa; aprii le gambe lentamente e lui riusciva a tenere il palmo aperto, sotto la mia natura, che sentivo già molto calda.
Restammo in silenzio, poi disse piano:
– Fammi vedere se sei sudata! – e ricominciò a toccarmi tutta, ma con più confidenza. Prima il collo, poi i fianchi, la schiena e infine tornò sotto la gonna. Tocco la mia mutandina di cotone, che adesso era evidentemente inzuppata, ma non disse nulla.
Sempre in silenzio si alzò, tenendo la testa bassa per non urtare il soffitto, mi prese la mano e mi portò, con lui, verso il fondo del fienile. C’era uno strato di balle accostate, sembrava fatto apposta per stendercisi sopra. Mi lasciò la mano, si chinò, e da una busta di plastica nascosta, prese un grosso lenzuolo chiaro, fresco di bucato.
– Ora possiamo stenderci un po’ per riposare al fresco… ti va?
La mia risposta fu tacita, non avrei opposto nessuna resistenza. Mi aiutò, con le sue mani forti, a stendermi mi si mise vicino e cominciò a carezzarmi di nuovo, ma con mano sicura. Quando scese sulle gambe, arrivato ai piedini, mi tolse i sandali.
– Torno tra un attimo, aspetta, – mi disse. Era un orario tranquillo, ma lui, in un balzo fu di sotto, e si accertò che non ci fosse nessuno, poi tornò da me, che fremevo nell’attesa, e mi tolse immediatamente il vestitino; dopo tutto avevo solo quello e le mutandine, non indossavo il reggipetto perché i miei seni erano ancora rigidi e acerbi, nonostante i capezzoli si fossero fatti di pietra, appuntiti come guglie. Ebbi solo un sussulto, quando sentii che con le dita trascinava gli slip verso il basso, e chiusi gli occhi… ma la gioia superò la vergogna. Ero quasi orgogliosa del mio ciuffo tenero di peli biondi, che spuntava dalle cosce strette, a salvaguardia della mia natura rosea.
Ma poi lo zio, mi venne sopra, e con la mano mi aprì le gambe. Mise la sua grossa faccia sui peli e iniziò a baciarmi la fighetta, fino a farmi schizzare come se avessi preso la corrente, quando mi infilò la lingua spessa, muovendola all’impazzata tra le grandi labbra.
Lo zio mi succhiò il clitoride, con forza, mentre io avevo sempre pensato che li si dovesse solo premerci; invece, ora che me lo succhiavano: provai una sensazione indicibile e credevo di essere già pronta per venire…
Nel silenzio sentivo il suo lappare e il rumore del risucchio, sembrava il vitello quando prende il latte. Anche quando mi succhiò i piccoli seni, uno per volta, mentre con le mani li premeva, capii che il paradiso può esistere anche qui.
Fu proprio mentre si saziava dei miei piccoli seni che mi irrigidii: il suo medio, grosso e spesso, lento ma inesorabile era penetrato tutto dentro di me, oltrepassando con fatica l’imene ma senza incontrare eccessiva resistenza.
Non dovette che infilare e sfilare poche volte perchè io provassi il primo vero orgasmo con un uomo. Avrei voluto che non smettesse mai… ma invece, lontana, sentii la voce di mamma che mi chiamava.
Ci raggelammo…
Lui mi strinse e mi mise un dito sulle labbra, facendomi segno di tacere e, all’orecchio, sussurrò:
– Se questo ti piace, lo faremo ancora, va bene? – Assentii, – Ma non devi dirlo mai a nessuno, capito? È un segreto tra di noi, capisci?
Nonostante tutto lo vedevo molto preoccupato. Forse aveva paura che ne parlassi a mia mamma, non poteva immaginare che mi sarei ben guarda dal farlo, al contrario avrei tanto voluto che non ci interrompesse con quel suo richiamo.
Scendemmo rapidamente da sopra, quasi mi rivestii camminando. Lui guardò fuori e, al momento opportuno, mi fece sgattaiolare dal fienile, da sola.
4
Ci rivedemmo di nuovo il giorno dopo, sempre nel fienile. Ancora una volta mi volle completamente nuda e stesa sul fieno. Stavolta avevo gli occhi ben aperti, volevo capire, volevo godere…
Più o meno successero le stesse cose ma solo un po’ più in fretta, sembrava più eccitato che mai, finché, senza una parola, si mise in piedi di nuovo e si aprì la patta del pantalone da lavoro. Credo non avesse le mutande, perché di scatto, con un sol gesto tirò fuori tutti i genitali, dallo spacco nella stoffa. Era una massa scura, quasi paurosa: non avevo mai visto il cazzo di un adulto, in tiro per giunta.
E poi pressate e grosse, le palle facevano da corolla al pene. Era tutto molto gonfio, e il suo cazzo era doppio e nodoso; mi venne da pensare a un randello di legno.
Solo dopo scoprii quanto fosse morbido e setoso al tatto.
Mi si mise sopra.
Io avevo una certa ritrosia, lo zio si era tolto i calzoni e sentii immediatamente il contatto del suo “oggetto” sulla pancia.
– Cosa… cosa mi fai adesso?
– Niente, non devi avere paura, – mi rincuorò – faccio come facevo col dito, ieri. Lo metto dentro un poco, solo la parte che entra. Non ti svergino, non temere…
Io ero eccitata ma confusa e non sapevo come sarebbe andata veramente. Ma intanto iniziavo a smaniare e a desiderare di essere fatta, finalmente.
Mio zio fece come promesso, ficcò solo la testa ma senza forzare. Nonostante la mole agiva con grande gentilezza, il che non faceva che acuire il mio desiderio di essere posseduta, ma in maniera molto virile.
Desideravo che mi prendesse e mi fottesse sul serio, con vigore: volevo sentire le spinte dell’uomo e la sua bramosia di servirsi di me, come un fodero, come una puttana.
– Voltiamoci, voglio provare io… – dissi, prendendo confidenza con lui, vista l’intimità a cui eravamo arrivati. La mia iniziativa lo dovette sorprendere favorevolmente, perché si voltò subito, col bastone che diventò ancora più turgido. Gli salii a cavalcioni, lui ne fu felice, potè dedicarsi con le mani alle mie tettine, aguzze e rosee.
Il suo pene era rizzato, non feci altro che ficcarmelo con le dita in vagina; senza preoccuparmi della leggera pressione che sentivo al livello dell’imene, dopo alcuni tentativi scesi fino in fondo. Un lievissimo fastidio mi avvertì che ormai ero completamente femmina… e aperta!
Il cazzo dello zio adesso era tutto in pancia, il mio fisico esile lo sentiva come un paletto, che mi violava e mi teneva infilzata a sé.
Persi la testa andando su e giù, e venni rumorosamente dopo poco, singhiozzando di piacere.
Mi adagiai sul suo petto, tanto il suo pene era ancora duro, non era venuto neppure una volta.
– È stato facile hai visto, tesoro? – poi, a voce più bassa, – ma tu lo hai già fatto?
– No, – confessai, – però l’anno scorso, con un piccolo vibratore mi sono fatta male mentre me lo mettevo dentro… mi uscì pure il sangue.
– Oh, piccina… mi spiace. Ma lo hai portato anche qui?
Confessai che lo avevo nascosto nel mio borsone. Lui rise e fece una battutina sulla mia precocità.
– Uffa, – risposi, – adesso vuoi farmi il processo?
Sorrise e poi mi iniziò a baciare in bocca, era la prima volta che lo faceva. Con le mani forti mi sfilò dalla mia posizione e mi indirizzò, fino a mettermi “a pecorina”. L’eccitazione, sorda e calda, mi riprese come una vampata di fuoco. Per la prima volta sentii che lui aveva smesso i modi da zietto premuroso, ma voleva possedermi con tutta la forza di un desiderio trattenuto.
Dalla tasca della camiciola prese un fazzolettino e me lo passò nella vagina…
– Niente sangue, – disse, – ti va di continuare, piccola?
Temevo proprio che finisse, infatti glielo dissi subito:
– No, no, zio, ti prego fammi ancora e fammi forte!
Non penetrò subito, prima mi leccò e mi bagno a lungo e mi fece tornare il desiderio di avere l’orgasmo. Subito dopo si accostò e, finalmente, mi ficcò di nuovo il suo manico dentro. Quella posizione era favolosa; anche a mio zio doveva piacere molti, infatti dopo poche botte già respirava affannosamente, soffiando dal naso.
Mentre scopava velocemente, con le sue mani mi toccava dappertutto: mi strizzava le zinne; mi tirava per i fianchi; mi stringeva le chiappe tra le dita, adoperandole come due cuscini di carne, adatti a guidarmi avanti indietro, sottoposta al suo piacere.
E durata tanto; mi aspettavo che lui venisse. Ero molto giovane, avevo comunque la preoccupazione che perdesse la testa e mi lasciasse lo sperma dentro il corpo, ma le cose andarono molto diversamente.
Fui io a venire per l’ennesima volta, e lui si sfilò per abbassarsi e leccarmela. Succhiava tanto forte che faceva rumore. Beveva e aspirava, secondo me il mio gusto doveva farlo impazzire.
Quando si staccò, io stavo per girarmi, ma lui mi premette sulle spalle per lasciarmi in ginocchio. Si mise in piedi alla meglio, mi girò intorno e mi mise il pene a pochi centimetri dal volto.
– L’hai mai preso nella bocca? – disse, con voce sorda.
– No, mai… però lo so che si fa!
– Lo vuoi? – Naturalmente feci cenno di sì…
Lui non mi diede nessuna indicazione, così feci del mio meglio, raccogliendo, con la memoria, tutto ciò che sapevo riguardo ai pompini ai ragazzi. Non potevo credere che fosse così meraviglioso e appagante prenderlo in bocca. Credo che allo zio sia piaciuto.
Dopo poco, lui lo allontanò un poco, e si fece una sega davanti ai miei occhi ammirati.
Li chiusi appena in tempo, ma tenni dischiuse le labbra. Lo zio schizzò fiotti di sborra bollente: sulle gote, sui seni; lo sperma mi arrivò anche sulle labbra, e non mi fece schifo. Fu un bene, perchè lo zio non finiva più, e me lo mise di nuovo in bocca, tutto sporco di crema bianca.
Con la bocca piena del cazzo e avvilita da tanto succo, lo inghiottii in parte, sperando solo non mi facesse male o che, addirittura, non mi mettesse incinta!
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