La mia compagna di università Sofia un giorno di tanti anni fa, mi fece conoscere Alessia e Lucia, due lesbiche che vivevano insieme. La mia compagna mi diceva che bisognava aiutarle, perché si sentivano emarginate visto che erano state sorprese a baciarsi in un luogo pubblico. Per farle sentire meno sole cominciammo a cenare insieme scambiandoci inviti.
Era il tempo in cui si era riscoperto il piacere di mangiare, e ognuno cercava di imparare a cucinare piatti difficili e sorprendenti, accompagnandoli con i vini migliori che si riuscivano a rimediare nei supermercati, scambiando le etichette dei prezzi. Alessia suonava meravigliosamente la chitarra classica e, siccome anch’io mi arrangiavo, resi più audaci dalle abbondanti libagioni, decidemmo di provare a suonare in duetto. Quando, imparate le parti che ci eravamo assegnate, provammo ad eseguirle insieme, fu un successo che ci commosse. Procedemmo perfettamente a tempo e finimmo insieme: fatto da me ritenuto impossibile e, comunque, sorprendente. La nostra gioia e la fierezza per il risultato non avevano però coinvolto Lucia che, anzi, sembrava un po’ irritata.
Personalmente sono piuttosto rozzo e faccio fatica a capire i particolari, ma Sofia ebbe in seguito a dirmi che Lucia era irritata perché lei suonava il flauto e non riusciva ad intendersi con Alessia. Anzi, ogni volta che provavano a suonare insieme, finivano per litigare. Io chiesi a Sofia se sarebbe stato un bel gesto sbagliare qualche battuta per compiacere Lucia e lei mi rispose, ma senza acrimonia, anzi con un vago sorriso che le aleggiava sul bel viso, che ero sempre il solito stronzo.
Da quel giorno i rapporti tra me e Lucia cominciarono a farsi più difficili. Ci beccavamo su tutto e le cose peggiori succedevano quando giocavamo a Monopoli. Una volta ero arrivato a cacciarla di casa. Sofia e Alessia decisero allora di intervenire. A loro la nostra amicizia piaceva e non capivano perché avrebbero dovuto interromperla per le litigate tra me e Lucia. L’occasione fu data dal fatto che io mi vantavo di non essere più andato dal parrucchiere dal ‘68, preferendo tagliarmi i capelli da solo. Le tre donne quando le avevo informate della mia abitudine avevano detto che si vedeva benissimo, ma poi, siccome Lucia diceva di saper tagliare i capelli, Alessia e Sofia decisero che me li avrebbe tagliati loro.
Andai allora a casa di Alessia e Lucia, deciso a fare quel piccolo sacrificio in favore della distensione. Alessia non c’era. Lucia era vestita con un camice bianco e mi fece sedere su una sedia con un telo addosso. Cominciò a tagliarmi i capelli mentre parlavamo del più e del meno. Ad un certo punto, forse era inevitabile, mi sfiorò la spalla con la punta di un capezzolo che mi sembrò rigidissimo e mi fece l’effetto della punta di una spada incandescente. Cadde il silenzio ed io sentivo soltanto il rumore delle forbici e, ogni tanto, il petto consistente di Lucia che mi sfiorava, ad intervalli sempre più ravvicinati, le spalle.
Quando ebbe finito, mi mostrò la mia nuca allo specchio; poi mi alzai e me la trovai davanti. Le mie gambe erano deboli e quando provai a balbettare un saluto, mi accorsi di avere la bocca legata. La abbracciai per baciarla sulle guance e restammo attaccati. Essendo lei una ragazzona, alta e robusta, non osai provare a prenderla in braccio, ma, solidali e toccandoci in ogni dove, ci dirigemmo in camera da letto. Sotto il camice Lucia non aveva niente ed io cominciai a leccarla dappertutto, ma, quando arrivai alla fica, lei mi spinse a cambiare posizione e ci avvinghiammo in un sessantanove succulento e lussurioso. Lei mi succhiava l’uccello e mi toccava l’ano, io, mi vergognavo un po’ per l’intrusione sfacciata, ma la lasciavo fare; io le succhiavo il clitoride e le leccavo la fica e, con le dita umide dei suoi umori, le penetravo il buco del sedere carnoso e increspato.
Ad un certo punto, forse distratto da un leggero rumore, alzai la testa e vidi Alessia nel vano della porta. Pensai che avrebbe fatto una scenata o si sarebbe buttata nella mischia, senza che me ne importasse molto, dato lo stato estatico in cui mi trovavo, ma lei, silenziosamente e, mi parve o sperai, sorridendo, riaccostò la porta e scomparve. Fu una scopata appassionata, perché io desideravo la sua fica, lei il mio uccello; lei era tettona e culona e non si sottrasse neanche quando, giratala, glielo misi nel buco del sedere. Avevo pensato che l’inserimento avrebbe richiesto pazienza e tempo, invece lo sfintere si allargò automaticamente a dismisura non appena avvertì la presenza della cappella, permettendomi un’entrata rapida e, ma forse mi illusi, anche indolore.
Dopo la sarabanda, mentre eravamo sdraiati sul letto a farci le coccole post amatorie, mi spiegò che era la seconda volta che veniva inculata da un cazzo vero, ma con quelli finti giocava spesso con Alessia. Alessia tornò che eravamo in cucina, dopo preso un caffè, a fumarci una sigaretta, apparentemente tanto contenta di vederci così affiatati che per un attimo dubitai di avere avuto un’allucinazione. Ma la Alessia del vano della porta era vera anche se non so se abbia mai parlato con Lucia della sua intrusione silenziosa.
Con Lucia continuammo ad avere incontri erotici, ma piuttosto raramente. Lucia mi disse che lei era lesbica per scelta ideologica, non come Alessia alla quale piacevano soltanto le donne, e che fare all’amore ogni tanto con gli uomini lei lo gradiva, ma solo ogni tanto. Quanto al fatto di aver scelto me, mi disse che io con lei non ero stato né autoritario né paternalista. Sofia non mostrò mai di sapere niente, ma io non ero convinto che in qualcuna delle loro sedute di autocoscienza non si fossero raccontate tutto: d’altra parte uno dei cardini del mondo nuovo che quelle femmine stavano costruendo era la sincerità fra compagne. Comunque quando ci riunivamo, sempre con molto piacere, io ed Lucia, tra la compiacenza e il divertimento delle altre due, continuavamo a litigare, ma come vecchi commilitoni che lo fanno in modo rituale e senza lasciare lo strascico di nessun rancore.
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