Oyama... – disse Mario – vedendoti, si capisce perchè quello strano appellativo: la Sacerdotessa! –
Ah ... quello! - recitò lei e si schernì con un gesto della mano, quasi a ricalcare che erano solo sciocchezze.
– No, no – aggiunse con un sorriso – adesso sono Erica, e basta! –
La vedeva fino al petto, indossava solo una maglietta bianca e già Mario ebbe conferma che alcune foto, che lei gli aveva inviato, erano veramente sue.
Da sotto la maglietta sottile, due grosse bocce, tonde e prorompenti, svettano in primo piano. Un seno da oscar.
Erica “Oyama” era la classica bellezza mediterranea, nonostante la su carnagione fosse chiara come la porcellana, i suoi capelli, e le ciglia, erano neri, di un nero corvino.
Il viso sembrava intagliato da uno scultore dell’antichità classica, tutti i lineamenti erano decisi e marcati, il naso, grande, regolare, preciso e volitivo; la bocce era sensuale e carnosa, naturalmente le labbra le aveva di colore rosso bruno.
La cosa che più colpiva erano gli occhi, grandi verdi, pieni di pagliuzze tutte d’oro.
In quegli occhi c’era il sole, il mare: erano molto belli.
Il suo sguardo ti passava oltre, stranamente: ti guardava ma sembrava guardasse lontano. Mario desiderò di averla vicino per continuare a guardarla, a scoprirla, all’infinito.
I capelli lunghissimi e sciolti sulle spalle, le incorniciavano il viso e il giovane ravvisò una certa somiglianza con un’attrice forse, non ne ricordava il nome, ma era sicuro si trattasse di una donna greca.
L’espressione di Oyama era indecifrabile, non si capiva se era intrigata o delusa da quella nuova opportunità.
In effetti lo aveva avvertito: lo avrebbe accontentato ma lei non amava i rapporti erotici virtuali.
Eppure,Mario ricordò, provando un certo languore, che quella donna fredda, poche sere prima, gli aveva fatto produrre un schizzo di sborra memorabile.
– Ricevo centinaia di mail, di una banalità avvilente. Tu, invece, hai dosato bene le parole: un po’ di rispetto e un po’ di penetrazione... e, alla fine, sei penetrato! – abbozzò un sorriso.
E’ tutto merito tuo, Oyama... ti spiace se ti chiamo così? – era certo che le facesse piacere e giocò bene la sua carta.
Se ti fa piacere... per me va bene! – sul suo viso si disegnò una invisibile traccia di soddisfazione.
Mi hai fatto provare sensazioni incredibili. – continuò lui - L’altra sera mi è sembrato di fare un sogno erotico... Sai, ci ho ripensato molto. Sullo schermo comparivano delle semplici parole ma, il mio cazzo, scusa il linguaggio franco, rispondeva come una bacchetta magica. –
Ah ah, che potere... – disse Oyama – E tua moglie? Non le dispiace che io attinga alla sua dose di sperma? – disse con malizia, certa di provocare una qualche elettricità nel suo nuovo “amico virtuale”.
Lui si fece più serio, fingendo una certa contrizione:
Oyama finse di credere alla sua sincerità ma non aggiunse nulla.
Se non ti offendi, vorreimostrarti che effetto mi fai... stavolta dal vivo, non potrei mentire. Te lo dissi anche la prima volta, mi fai rimescolare qualcosa dentro. – poi aggiunse con delicatezza: – Posso? –
Perchè no? - disse lei, stando al gioco – me lo hai raccontato molto il tuo “membro”, adesso sono curiosa di vederlo: è naturale, no?. –
Non è tanto per esibire il mio cazzo, credimi. – disse Mario, usando volutamente parole forti, per scaldare l’atmosfera - Tra l’altro mi imbarazza anche un po’: è che voglio dimostrarti quanto mi ecciti, specialmente adesso che ti vedo, tesoro. Adesso, che sento la tua voce. –
In realtà Mario era veramente infoiato; gli piaceva molto mostrarsi, esibire il suo pene duro alle troie che cascavano nella sua rete.
E con questa, provava ancor maggiore soddisfazione, perchè se la tirava un po’...
Parlava sempre di averlo accontentato; di averlo aiutato a sborrare; ma si fingeva fredda e disinteressata, come quelle maestre che accavallano le cosce distrattamente, giustificando la loro libidine, come fosse una buona azione a favore degli alunni segaioli.
Invece Mario la voleva eccitare, voleva vederla capitolare fino all’orgasmo e, se possibile, incontrarla davvero, per toglierle dal viso quell’atteggiamento di superiorità, di sentirla ragliare sotto i colpi del suo cazzo.
Desiderava vedersela sotto: quelle sue carni bianche e delicate, scosse dai colpi, mentre veniva montata come una vacca... finalmente consapevole di essere una troia, usata per il suo piacere, come tutte le altre.
Per un attimo il suo pensiero volò da Simona. Nella sua mente deformata dalla lussuria, per un attimo si sentì un paladino che compie una missione: svergognare le zoccole, per esaltare la purezza della sua amata moglie.
Peccato che, per adempiere il suo nobile destino, fosse costretto a cornificarla ripetutamente... ma questo era un piccolo dettaglio, che una donna non può comprendere.
Non era solo un luogo comune: una donna come Oyama, non era che una stronza, che dissimulava la sua costante voglia di farsi scopare.
Lui, invece, si sacrificava da buon chiavatore per tenere sotto scacco proprio le donne come lei.
Nonostante i “blà blà blà” del femminismo “à la page”, i veri valori del maschio non si perdevano e le donne, magari di nascosto, volevano solo essere dominate, appena vedevano davanti l’uomo, quello vero.
“Per fortuna siamo rimasti in pochi!” pensò tronfio Mario nel suo garage, mentre si cercava la nerchia nei boxer, come se fosse uno scettro da impugnare.
Voleva sentirla mugolare, gemere e pregare ... altro che sacerdotessa: la sacerdotessa del cazzo, l’avrebbe fatta diventare!
2
I pensieri gli rinvigorirono la mazza e, con studiata, lentezza si alzò in piedi davanti al tavolino col PC, controllando l’inquadratura.
Perfetto. La camera riprendeva il suo bacino. Aveva addosso solo i boxer di cotone. Da un lato, imbrigliato nella stoffa, un grosso bozzo cercava la via per esprimersi.
Lui lo liberò, cercandoselo con le dita, e lo fece sgusciare attraverso la patta senza bottoni.
Si attardò nell’operazione per renderla più sensuale e, anche, per tirare fuori, dal piccolo spacco, anche la sacca scura con i [***].
Sapeva che alle donne piaceva molto ammirare anche le palle.
Lasciò libero il suo cazzo di svettargli davanti, come una mazza di legno, affinché Oyama lo valutasse perfettamente.
Il solo pensiero che lei gli stesse osservando il membro nudo, gli faceva sobbalzare l’asta, piena di voglia e di calore.
Eccolo, tesoro – disse Mario – ecco, lo vedi? E sappi che vorrei infilarlo tutto dentro di te ... adesso. Ti farei impazzire. -
Hai un bel cazzo – disse lei senza scomporsi troppo, e stuzzicando, così, l’eccitazione, a lungo sopita, di Mario.
Non ti dispiace se mi tocco vero? – Ora anche lei si lasciava andare.
Al contrario, mi fai solo piacere, solo che non credo di essere così ... eccitante! No? –
Questa situazione mi piace molto, dico davvero, non faccio quasi mai cose di questo tipo ... – incalzò Oyama.
Ti prego – spinse lui – lascia che ti veda anch’io, è da tanto che cerco di immaginarti dal vivo! -
Oyama si alzò e indietreggiò un poco. Quando la sua figura si poté vedere agevolmente fino al ginocchio, risultò vestita con una semplice maglietta da casa e di sotto, un molto poco sensuale pigiama rosa.
“Meglio che niente” pensò Mario, anche se era un po’ deluso.
Invece la donna vedeva il suo petto e il basso ventre col pene in costante erezione, carezzato dalla mano languida di lui.
Era un sipario che si apriva al contrario: dall’alto verso il basso.
La prima cosa che Mario vide fu il bordo di una ingombrante guepiere nera, sotto comparvero delle grosse mutande, forse di raso, viola cupo, niente tanga né slippini: mutande da matrona.
Eccitanti in maniera sconvolgente... la donna sembrava bardata, come un santa medioevale.
Il contrasto tra l’abbigliamento “medioevale” e le provocanti azioni da puttana che compiva, fecero schizzare alle stelle il coinvolgimento del ragazzo.
Tre cinghiette nere, passavano sotto i bordi delle sue mutande e ne fuoriuscivano, mostrando, poco più sotto, delle fibiette argentee. Trattenevano le calze ... niente autoreggenti, calze nere, pesanti, dalla doppia bordatura.
La carne bianca, delle gambe di Oyama, esuberava con leggero gonfiore, in quelle zone che non erano trattenute dalla seta.
Pochi istanti dopo, il profilo della sua pancia, lievemente sporgente, estremamente femminile, faceva da contrappeso al suo esasperante culo tornito, che coperto dalle mutande, faceva una spettacolare mostra di se.
Col cuore che gli batteva al solo pregustarne la conquista, Mario pensò sinceramente: “Questa è una donna da scopare senza tregua... magari in due!” tanto era abbondante e arrapante il corpo della “sacerdotessa”!
Inaspettatamente lei, oltre a mostrarsi lentamente, gli chiese, mettendolo ancor più in subbuglio:
Vuoi venire per me? -
Non vedevo l’ora che me lo chiedessi ... – disse Mario con onestà.
Spero di non sbagliare... lo sai, non sono pratica! – intanto si sfilava la maglietta. La guepiere sosteneva appena i grossi seni, di cui già si vedeva la parte superiore delle deliziose aureole brune.
Già sei ... “troppa”, così, credimi tesoro. Sii spontanea, non pensare ad altro. – la consigliò Mario, per farsi sentire presente, in quel momento ad alata tensione.
Lo sarò ... – continuò Oyama con voce leggermente roca - non sarò certo io a dirti come toccarti il pene, come farti la sega ... non saprei consigliarti!
Tu ti masturberai davanti a me come più ti eccita e si confà al tuo grande cazzo.
Invece io ti dirò che adesso vorrei un bacio, si.
Vorrei chiudere gli occhi e distendermi supina, come una principessa delle fiabe e vorrei aspettare, trepidante, il tocco caldo delle tue labbra sulle mie. -
Che femmina, che diavolo, pensava Mario, col membro duro nella mano destra.
Oyama continuò, carezzandosi delicatamente il grande corpo da matrona romana.
Il contrasto era notevole, quel suo fisico prorompente stimolava una penetrazione violenta, selvaggia: era un corpo da conquistare per abusarne ma, intanto, con la sua voce pacata, raccontava i suoi desideri, come si intesse una poesia d’amore.
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