Che fosse alto lo sapevo, ma non avrei mai immaginato di trovarmi di fronte un uomo tanto possente; una possanza che, ai miei occhi, trapelava inconsciamente dal “ruolo” che avrebbe dovuto (e voluto) rivestire durante questo nostro primo incontro, e che credo facesse anche parte del suo modo di essere (a me piaceva pensare che fosse così).
45 anni splendidamente portati; un uomo estremamente attraente, che avevo avuto modo di apprezzare “virtualmente” in poche occasioni, ma che mi aveva subito rapita con il suo sguardo accattivante quando, per la prima volta, mi ero soffermata a leggere il suo annuncio erotico: un annuncio dal contenuto conciso, essenziale, ma dai toni decisi ed autoritari.
Avevo da poco scoperto di essere attratta da uomini anagraficamente più grandi di me, specie da quelli che avevano subito manifestato, come caratteristica peculiare del proprio carattere, una tendenza dominatrice; ma, a differenza di molti, il suo “ruolo di master” era stato immediatamente palesato anche dal suo aspetto fisico, dal suo volto in primo luogo, che esprimeva un fascino profondo, a tratti persino inquietante.
Mio marito non mi aveva accompagnata, i “giochi di ruolo” non lo avevano mai entusiasmato fino in fondo e, sapendo che invece a me incuriosivano moltissimo, mi aveva comunque invogliata nel provare questo tipo di esperienza, complice di un gioco che lo avrebbe reso in ogni caso partecipe (avevamo deciso, sentito il parere dell’interessato, di riprendere questo incontro con la videocamera).
Ci salutammo in maniera sbrigativa e formale, poi mi invitò a varcare la soglia del suo appartamento; non avevo mai avuto esperienze del genere, e, come spesso accade in situazioni mai affrontate, il mistero che aleggiava sulla natura docile e remissiva del comportamento che avrei dovuto (e voluto) tenere nei suoi confronti mi incuteva un certo timore riverenziale, il quale però era a sua volta indissolubilmente legato, come due facce di una stessa medaglia, ad una stato di estrema eccitazione che mi aveva accompagnata per tutto il tragitto.
Diedi una rapida occhiata al suo appartamento, e rimasi subito colpita dalla calda e stimolante atmosfera che avvolgeva gli spazi interni e che proveniva dalle luci accese delle appliques in stile afro-orientale che ne adornavano le pareti.
Mi sedetti al centro del divano scuro a due posti, sistemato nel salotto.
Mi squadrò dalla testa ai piedi, intenzionalmente, lentamente; il suo sguardo istrionico cercava di penetrare il mio cappotto di pelle nera che avevo abbottonato fino al collo, per tentare di sbirciare qualche particolare del mio abbigliamento sottostante; stava in silenzio, percepiva il mio imbarazzo e, consapevole del mio stato di evidente difficoltà aveva accennato un sorriso diabolico.
“Guardami negli occhi, non distogliere lo sguardo dal mio”…, mi sussurrò fermamente.
Ubbidii, annuendo con la testa; timidamente accavallai le gambe, in risposta maliziosa al suo gioco, in modo che le stesse potessero affacciarsi al suo sguardo avido ed affamato.
“Si mio Padrone…divorami con i tuoi occhi, possiedimi con il tuo sguardo, prendimi con le tue richieste, annulla la mia volontà con la tua splendida voce”, pensai tra me e me.
Sbottonai il cappotto e, con movimenti sinuosi del corpo lo feci scivolare all’indietro, lungo la mia schiena.
La temperatura esterna era gradevole, così avevo approfittato del tepore primaverile per indossare, sotto il cappotto di pelle, lungo fino alle caviglie, solamente della lingerie (una piccola fantasia che non avevo ancora realizzato).
Mentre lasciavo cadere il soprabito lungo il mio corpo percepivo il suo compiaciuto stupore, quel senso di desiderio profondo che riuscivo a leggere tra le righe delle sue impercettibili espressioni facciali.
Ero decisamente su di giri e provai ad osservare quella scena dall’esterno; le sfumature nere e lucenti del divano di pelle si fondevano con il colore nero della lingerie ed entrambi a loro volta contrastavano con la tonalità lunare della mia carnagione, messa dunque in evidenza dai giochi di chiaro/scuro che rendevano i contorni del mio corpo abbastanza distinguibili dal resto del divano, nonostante l’appartamento fosse stato, credo di proposito, mediamente illuminato.
Indossavo degli stivali neri di pelle ruvida, a punta e con i tacchi a spillo, molto aderenti sulle gambe, caratterizzati da ondeggianti cuciture in rilievo, tono su tono, che ne attraversavano tutta la superficie; una guepiere nera, costituita solamente da lunghe strisce trasversali di stoffa elasticizzata fasciava e costringeva il mio busto, le mie spalle, i miei seni ed i miei fianchi, dai quali si allungavano verso il basso i lacci che agganciavano le calze coordinate, sempre nere, a rete larga e spessa, terminanti con inserti lisci di stoffa opaca.
Avevo inoltre il collo evidenziato da una striscia aderente di fili di perline nere intrecciate tra di loro, di media altezza, che creavano una stimolante continuità visiva con la lingerie indossata; infine, un triangolo di peli pubici, dai contorni ben definiti e non troppo rado, vestiva la zona del mio basso ventre.
Una schiava remissiva, docile, ubbidiente…..ma maliziosamente provocante, ecco come mi sentivo in quel momento; una donna che desiderava ardentemente di essere si dominata nel corpo e nella mente, ma che avvertiva un impulso irrefrenabile nel tentare di varcare la soglia esistente tra il ruolo imposto dalla situazione e il voler in ogni caso prendere l’iniziativa, anche se ovviamente in maniera sottile, non esplicita; il mio intento era quello di lanciargli una sorta di piccole “sfide” per il fine consapevole di essere redarguita, ripresa….e perché no, anche punita.
Ero completamente trasportata dal pensiero che lo stessi eccitando, pronta a rappresentare il suo momentaneo oggetto del desiderio; volevo che il mio corpo gli appartenesse totalmente e che la mia volontà fosse diretta dalle sue voglie più inusuali, ma mi sentivo comunque parte “attiva” del gioco, consapevole che la sua eccitazione, provocata anche dai miei comportamenti maliziosi, sarebbe cresciuta di pari passo con la mia; ero pervasa dalla sensazione piacevole di voler essere pigramente privata del mio spirito d’iniziativa per lasciare spazio alle sue richieste, per le quali però, nel corso delle nostre precedenti conversazioni virtuali, avevamo stabilito un tacito limite oltre il quale non avrebbe dovuto spingersi.
Si allontanò da me, ordinandomi categoricamente di non voltarmi; l’adrenalina prese a scorrere lungo il mio corpo come un fiume in piena, ed il motivo principale risiedeva nel fatto che ignorassi completamente le sue imminenti intenzioni.
Cercai di aguzzare l’udito, ma riuscii a percepire solamente il rumore dell’acqua che scorreva e che credo provenisse dalla stanza da bagno.
I suoi passi si diressero nuovamente nella mia direzione…eccolo, stava tornando.
“Da questo momento tu mi appartieni”, mi disse fermamente.
Mi bendò gli occhi con una striscia di stoffa liscia e morbida, avendo cura di legare saldamente le estremità dietro la mia nuca, lasciando scoperte le orecchie.
Si avvicinò lateralmente ed appoggiò delicatamente le sue labbra sul lobo sinistro: “la vista non ti serve più….metti da parte questo senso, e cerca di aguzzare gli altri quattro”, mi sussurrò sottovoce.
“Un’ultima cosa….non voglio assolutamente che tu parli”, mi ordinò prontamente.
Provai un estremo piacere nell’annuire senza remore alle sue richieste iniziali.
Mi fece alzare e mi sfilò completamente il cappotto; mentre lo stesso scivolava giù, le dita delle sue mani sfioravano la pelle del mio collo, delle spalle, delle braccia e della schiena;
con la sua mano sinistra afferrò con fermezza il mio braccio destro; mi guidò per qualche metro, poi mi avvisò della scalinata che avremmo dovuto scendere per raggiungere il piano inferiore, fino a condurmi nella stanza prescelta.
“Ti sei divertita…..a provocarmi, vero….?”, sussurrò con voce intervallata da sospiri di profonda eccitazione.
Accennai un sorriso birichino con la speranza che fosse colto dal suo sguardo.
Mi fece sdraiare sopra un tavolo di legno largo e robusto; intuii subito che non fosse un tavolo “normale”, poiché avevo notato, tastandone il perimetro con le mani, dei particolari insoliti; contestualmente avevo immaginato che mi avesse lasciato sondare di proposito questa superficie, con lo scopo diabolico e perverso di gustarsi le mie reazioni.
Il tavolo era circondato da quattro paletti che si innalzavano dagli angoli in direzione del soffitto, dai quali pendevano delle corde spesse e robuste; era rettangolare e da uno dei suoi lati più lunghi si allungava perpendicolarmente un panchetto reclinabile di pelle imbottita (al tatto pareva essere una panca per uso ginnico).
Non so cosa si aspettasse lui, ma la mia reazione fu sì stupita, ma di compiacimento totale.
Iniziò a trafficare lateralmente, ma i rumori avvertiti erano frenetici e troppo mischiati affinché potessi riuscire a distinguerli esattamente.
“Vieni più in avanti”, mi ordinò e contemporaneamente afferrò le mie gambe chiuse e piegate all’altezza dei polpacci e mi guidò verso di lui, frontalmente,
Il tavolo era freddo, duro. Sapevo di non poter avanzare alcuna richiesta, ma il malessere fisico che avvertivo era fastidioso, dovuto soprattutto all’imbarazzo di trovarmi semi nuda di fronte allo sguardo indagatore.
“Vedo che stai tremando…..accendo il climatizzatore; desidero che tu sia rilassata, voglio che tu apra la tua mente verso il mio piacere, verso il tuo piacere….e per questo cercheremo di creare le condizioni ottimali per fare in modo che ciò accada”, mi disse in tono pacato e sereno.
Quale migliore frase sarebbe potuta uscire dalla sua bocca in quel momento!
Aveva intuito il mio disagio e ne aveva subito posto rimedio, sia per quanto concerne il malessere fisico che per il sopraggiunto “blocco psicologico” che stava offuscando la mia disponibilità mentale.
Decisi di fargli capire che ora la mia mente era pronta per esaudire le sue fantasie; allargai le gambe, consapevole che lui fosse di fronte a me; non potevo vedere nulla, non potevo utilizzare nemmeno il tatto, ma sapevo di essere già visibilmente eccitata, avvertivo perfettamente sulla mia pelle lo strato umido che rivestiva la zona esterna della mia vagina, e volevo che i miei umori fuoriusciti gli dessero la conferma di quanto ora fossi disposta ad accettare ogni sua possibile intenzione nei miei confronti; contestualmente alzai le braccia e sovrapposi i polsi sul mio petto per simulare lo stato di immobilità al quale sapevo mi avrebbe sottoposto di lì a poco; di seguito aprii nuovamente le braccia e le appoggiai sopra la testa lungo il tavolo, come gesto di totale abbandono.
Legò saldamente i miei polsi ai due paletti posteriori del tavolo; poi fece lo stesso con le caviglie, assicurandole ai paletti anteriori, lasciando le corde lente per darmi la possibilità di piegare le gambe ma per negarmi al tempo stesso la facoltà di poterle serrare completamente.
“Ho sete”, mi disse inaspettatamente.
Ma, anziché soddisfare quel suo bisogno fisiologico nella maniera più ovvia, divaricò le mie gambe all’inverosimile e affondò la sua faccia nella mia fica bagnata, per dissetarsi di tutto io mio succo tiepido e salato; la sua lingua scivolava dal perineo lungo tutta l’apertura della mia vagina aperta fino quasi ad arrivare al clitoride, e viceversa; sentivo le grandi labbra dentro la sua calda bocca, risucchiate dal suo respiro contrario, mordicchiate dai suoi denti che parevano voler affondare nelle mie carni vogliose di lui.
Sempre con la lingua inumidiva il mio sesso varcandone la soglia in modo blando e volutamente sbrigativo; con le dita indice e medio di una stessa mano aveva nel frattempo allargato le grandi labbra per aprirmi completamente al suo sguardo.
Mi raccontava del colore acceso che aveva assunto la pelle della mia vagina in seguito alle insistenti sollecitazioni apportate dalle sue dita e dalla sua bocca; mi descriveva minuziosamente l’odore della mio sesso che entrava soavemente nelle sue narici, mentre i sospiri di entrambi creavano un sottofondo altalenante di crescente eccitazione.
“Che fica che hai…lo sai cosa potrei farti con una fica del genere?!?!....no, tu non lo immagini nemmeno”, concluse distrattamente.
Ora un oggetto gelido e metallico aveva preso il posto delle sue parole, e, come continuazione pratica delle stesse, stava disegnando attraverso la sua mano i contorni dei miei organi sessuali; il gioco consisteva nello strusciare sul mio corpo vari oggetti con i quali avrebbe voluto penetrarmi, in modo da farmi indovinare il nome degli stessi;ma mi avvisava che, alla fine di questa “prima fase” avrebbe utilizzato solamente quelli non indovinati e, da bravo padrone, aveva naturalmente fatto in modo che potessi indovinare solamente quelli a lui meno congeniali , che sapeva fossero per me, al contrario, maggiormente graditi.
Riuscii ad indovinare tre oggetti: un collare in cuoio, un fallo di gomma e ed un paio di guanti in lattice.
Eravamo in silenzio…lui stava nuovamente “godendo” del mio stato d’animo, caratterizzato in quel momento dall’adrenalinica consapevolezza degli oggetti che avrebbe utilizzato su di me: il cuore batteva all’impazzata, la mia eccitazione era accompagnata da un piacevole senso di rassegnazione in vista delle sue intenzioni nei miei confronti.
Si avvicinò a me lateralmente e con le mani liberò i miei capezzoli dagli intrecci di stoffa creati dalla guepiere, allontanando dalle mie areole le strisce elastiche della stessa senza quindi sfilare la lingerie superiore, ma facendoli affacciare all’interno degli spazi creati con le dita.
Afferrò due mollette da bucato e cercò di costringere i miei capezzoli nella loro dolorosa presa; la sollecitazione a cui furono insistentemente sottoposti, senza l’ausilio di lubrificanti, li fece inturgidire, così strinse bene le mollette chiudendone la presa parallelamente al mio seno, con la punta delle stesse rivolte in direzione della mia testa, per renderle più stabili possibili.
Mamma mia….il sopportabile dolore contrastava con la sensazione fluida e piacevole donatami dalle sue dita, ora bagnate di saliva, che stavano rivendicando la punta estrema dei miei capezzoli; la sua voce disarmante scandiva i suoi istinti, il suo desiderio di dominazione: l’immagine del suo sguardo era di fronte a me, nitida, reale, nonostante i miei occhi fossero chiusi ed immersi nel buio più profondo; mi stava possedendo, ma non lo stava facendo attraverso il suo pene; eppure mi sentivo penetrare nella mente, stava scopando la mia volontà e la stava pilotando per poter soddisfare i suoi “particolari” appetiti sessuali.
Nel frattempo la sua attenzione si era spostata sull’interno delle mie cosce che stava sfiorando con i polpastrelli delle dita: il mio corpo si riempì si brividi, andando a sottolineare lo stato di abbandono totale nel quale versavo, reso ancora più piacevole dal calore emanato dalla sua pelle e recepito dalla mia; non potevo nemmeno immaginare che lo scopo perverso di quelle carezze fosse molto diverso dalle mie aspettative….
Il suo tocco si fece più incisivo, ora mi tastava con tutto il palmo delle mani, e, più le sue dita si avvicinavano al mio sesso, più le sue membra scivolavano sulla mia pelle esercitando una pressione sempre crescente. Sfiorò il mio clitoride….
“Finalmente”, pensai….
Lo accarezzò, lo leccò, lo succhiò, lo mordicchiò…poi lo scappucciò totalmente, e, con le dita di una stessa mano ne strinse la base , nel punto in cui aveva abbassato la pelle circostante, per assicurarsi che lo stesso rimanesse senza rivestimento esterno.
Passò qualche secondo, quando fui pervasa dall’aroma inconfondibile di candela accesa; in quello stesso istante gocce di cera bollente colpirono il mio clitoride nudo….
Bastardo…
Dalla mia bocca uscirono gemiti di infinito piacere e dolore che si fusero insieme senza che mai nessuno avesse potuto individuare i confini dell’uno e dell’altro: il piacere era leggero dolore, il dolore infinito piacere…..
Con la candela sollevata ed allontanata dal clitoride spaziò sul mio corpo disteso; la cera colava e si solidificava a contatto con lo strato di pelle sottile che riveste tutti le parti più delicate: il collo, il seno, i capezzoli, l’inguine, l’interno delle cosce…nulla era sfuggito al suo gioco perverso; le gocce aromatiche passavano repentinamente dallo stato liquido a quello solido, così come il suo desiderio di prevaricazione nei miei confronti era passato dallo stato intenzionale a quello concreto, tangibile, visibilmente soddisfacente.
Il mio corpo era ricoperto di rigagnoli biancastri che disegnavano la mia pelle come schizzi monocromatici e disordinati.
“Sembri ricoperta di sperma….sei uno spettacolo”, mi confessò in tono compiaciuto.
Non fece in tempo a terminare la frase, che subito avvertii le sue dita farsi strada all’interno della mia vagina, un movimento frenetico e ritmico scandito dal rumore acquatico dei miei abbondanti umori che allagavano la mia fica….la sua fica.
Con la mano libera aprì la cerniera del mio stivale e lo sfilò in fretta e furia; afferrò il mio piede e lo strusciò sui suoi boxer, contro i quali premeva il suo cazzo duro, il suo cazzo tanto desiderato, tanto sospirato….
“Lo vuoi vero, brutta cagna?”
Ma, anziché sfilare le dita dal mio sesso e penetrarmi con il suo pene, continuò a manovrare il suo dito indice ed il suo medio lungo le pareti della mia virtù, allargando e ruotando le dita stesse nell’intento di creare ulteriore spazio; avevo il cuore in gola, il mio respiro si fece, se possibile, ancora più rumoroso, profondo, lungo.
Avevo la sensibilità tattile aguzzata fino all’inverosimile e sentivo una ad una le dita della sua mano destra che valicavano l’entrata della mia vagina e si muovevano nel suo interno, come se avessi avuto cinque piccoli peni che stessero contemporaneamente scopando punto diversi del mio sesso.
Il mio orgasmo irruppe con un’intensità devastante e volutamente incontrollata….urlai di piacere tanto che mi dovette chiudere la bocca con il palmo della mano libera, in quanto il tono della mia voce avrebbe potuto turbare e/o…. sturbare i vicini.
“Abbassa il tono della voce, troia….godi in silenzio”, mi ordinò.
La forte pressione esercitata dalla sua mano dentro la mia fica rispecchiava la sua irrefrenabile voglia di penetrarla e di riempire tutto lo spazio disponibile al suo interno, anzi, di crearne sempre ulteriormente di nuovo; le dita ora si muovevano all’unisono scivolando fluidamente sotto il ritmo veloce e costante delle sue spinte lunghe e centrali.
“Prendimi la fica, mio Padrone….ora ti appartengo, approfitta della situazione , goditi questo momento di sopraffazione, e fammi godere delle sensazioni che stai per provare…”.
”Sei stata ubbidiente finora…”
Le sue parole mi distolsero dai miei pensieri.
Bloccò i movimenti della sua mano nel mio corpo, e vi fece scivolare del lubrificante, gelido e profumato.
Ricominciò a muovere le dita, che ora scivolavano ancora più piacevolmente lungo le pareti della mia vagina; la sua mano era proporzionale ai suoi 190 cm di altezza, e per un istante fui colta dal panico….
Mi passò immediatamente.
Le sue dita ora avanzavano e affondavano nelle mie carni , scivolavano e spingevano per espugnare la mia volontà nuda.
Godevo di un piacere immenso, intenso, indescrivibile, che si tramutò in ulteriore orgasmo nell’attimo in cui la parte più larga della sua mano valicò completamente la mia vagina.
Solamente il suo polso era visibile dall’esterno; l’estremità del suo braccio destro era stato totalmente fagocitato dalla mia fica affamata che ne stava assaporando il tocco, il tepore della pelle, la pienezza degli spazi riempiti dalla sua carne.
Chiuse il pugno.
Iniziò a scoparmi ancora più decisamente, esternando frasi oscene e prevaricatrici che incendiarono i miei sensi.
Venni ancora, ed ancora, ed ancora, orgasmi ripetuti e sovrapposti l’uno all’altro.
Sfilò la mano, lentamente.
“Non ho finito con te”, mi sussurrò.
Mi fece spostare sul fianco e, prima che avessi modo di intuire cosa stesse accadendo, affondò nel mio ano, questa volta senza l’ausilio di lubrificanti, un oggetto liscio, freddo e di forma irregolare (al tatto avevo capito si trattasse di quei dildi , generalmente in vetro, che si allargano nella loro parte centrale , in modo da risultare difficilmente estraibili - se non in seguito ad un’operazione manuale -, terminanti con una base di forma circolare dello stesso materiale).
I lamenti da me esternati a seguito di quel gesto tanto fulmineo quanto inaspettato, lo fecero eccitare ulteriormente.
“Questo lo terrai dentro per me”, mi fece notare sadicamente.
Mi slegò completamente, mi fece alzare e mi sistemò seduta sulla panca inclinata, con la faccia rivolta verso il lato più basso, di fronte a lui.
Udii il suono metallico della fibbia dei suoi pantaloni, presumendo, con mio tacito entusiasmo, che li stesse abbassando.
Afferrò la mia testa e schiacciò la mia faccia sulla lunghezza del suo cazzo di ferro coperto dai boxer attillati.
Non resistetti e gli diedi un morso.
“Non ti ho detto di poter usare la bocca, brutta cagna”, mi disse afferrandomi i capelli, tirandoli e stringendoli tra le sue dita serrate.
“Immaginalo, desideralo, sognalo, annusane l’odore autoritario, aguzza il tatto della tua faccia e avvertine la durezza…..ma tieni chiuse quelle cazzo di labbra, brutta zoccola”
Mi allontanò dal suo sesso; pochi istanti dopo sentii un liquido caldo, abbondante, leggero e continuo colpire il mio volto.
“Bevimi, troia…..”
Beh non ci volle molto a capire che non si trattasse del suo liquido seminale, bensì di una repentina e meritata punizione.
La sua pioggia dorata aveva allagato completamente il mio volto, il mio corpo, persino la mia lingerie; in parte aveva anche riempito la mia bocca, su insindacabile richiesta del mio bel padrone, che sapeva di poter contare anche sul suo innato fascino come efficace mezzo di persuasione.
Mi afferrò nuovamente per un braccio e mi fece sistemare a quattro zampe sul panchetto, assicurandosi con le mani che il mio ano fosse ancora pieno.
Mi scopò la fica con l’ausilio di vari oggetti di diversa forma e dimensione, rimediati al momento.
Ero in estasi…le spinte erano profonde e la posizione nella quale mi trovavo sottolineava divinamente la sensazione di estremo piacere che mi stava concedendo; Il turbinio dei sensi era inoltre sollecitato dal pensiero della ripresa cinematografica e dalla possibilità di poterne godere insieme al mio uomo e di assaporare le sue reazioni fisiche e mentali.
“Voglio il tuo culo, zoccola”, mi ordinò senza mezzi termini.
Estrasse il fallo di vetro e inserì nel mio ano due palline vaginali (generalmente più larghe di quelle anali), sistemandole in profondità.
Con l’ausilio delle dita spostò lateralmente l’estremità del filo che le teneva unite, e lo appoggiò lungo le pareti esterne del mio orifizio posteriore….
“Lo volevi il mio cazzo….eccoti accontentata, schiava”.
Mi penetrò completamente alla prima spinta, andando a scontrarsi con le palline precedentemente inserite; ogni spinta le faceva vibrare nel loro interno, creando in me una sensazione di benessere estesa, totale, prolungata.
Il mio orgasmo arrivò diretto al suo cervello.
Si ritrasse dal mio corpo e, inaspettatamente, con una mano allargò l’ entrata del mio ano, mentre con l’altra diresse il suo seme caldo e vischioso nel suo interno.
Dalla sua bocca non uscì alcun gemito, ma la quantità di liquido seminale fuoriuscito tradì il suo tentativo di contegno.
Lentamente sfilò le palline, che ora erano impregnate del suo godimento.
Liberò i miei occhi e, con lo sguardo fisso sul mio afferrò l’estremità del filo delle palline e le avvicinò alla mia bocca, facendomele pulire senza l’ausilio delle mani: la sua presa era ferma, fissa di fronte alla mia faccia, a differenza della mia testa che cercava di inclinarsi e ruotare per assaporare tutte le gocce del suo piacere.
Mi abbandonai alla sensazione di profondo appagamento provato.
La mia fantasia volava, e proiettava la mia mente verso un probabile successivo incontro, unitamente al desiderio profondo di vedere coinvolto in questo gioco anche mio marito, questa volta però in maniera concreta….
Due padroni per una schiava…che intrigante aspettativa…..
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