Prefazione
Questa è una storia vera. Per quanto sensuale e peccaminosa, angelica o infernale possa sembrare, è vera.
Mi sono dovuto spogliare dei miei pregiudizi e della mia educazione per poterla accettare... in parte capire e, infine, amare.
La forza di questo racconto proviene anche dalla "Fonte", la mia amica A. La ragazza pi delicata, fine e sensibile che abbia mai avuto l'onore di incrociare. La stessa che, qualche anno fa, mi ha donato il racconto della sua giovinezza, da me condensata ne: La fata di ferro.
A lei va il mio ringraziamento e il mio affetto incondizionato.
Grazie A, dolcissima creatura, dovunque tu sia. Forse non posso capire ma sono certa che dal vostro "esecrabile" senso dell'Amore nasce cultura, bene e rispetto, mentre dalla "morale", tanto decantata, del "mio mondo civile" nasce avidità, menzogna, brama di potere e guerra.
Spesso, chi strilla per ergersi a censore cerca solo di nascondere la propria incapacità di imparare, di cambiare, l'intolleranza e la mancanza di rispetto per gli altri.
"Tra le donne l'amore è contemplativo, non v'é lotta né vittoria, né sconfitta, ognuna è soggetto e oggetto, schiava e padrona." La signora Thorn era in ritardo, un ritardo notevole, e se ne rammaricò.
Il suo "angioletto" oramai avrebbe pensato che, per quel giorno, non sarebbe andata da lei. Invece, una serie infinita di beghe e di contrattempi le aveva del tutto sfasato la tabella di marcia, ma lei era fermamente decisa a passare da sua figlia, almeno per il bacio della buonanotte.
Il taxi raggiunse in fretta l'ospedale; pagò rapidamente e scese. Aveva ancora un ostacolo da superare: il controllo severo degli orari di visita. Per quello puntava tutto sul suo fascino che, nonostante fosse vicina ai cinquanta, sembrava avere ancora un ascendente sul Professor Claim, capo del reparto di Pneumologia, quello dove il suo angioletto era in degenza da venti giorni.
La caposala del turno serale era Wanda, la conosceva e sapeva di poter contare sulla sua complicità; aveva adottato la sua bambina e la coccolava con delicatezza, nonostante la sua stazza da lottatore di Sumo.
Un brivido maligno attraversò la schiena della signora Thorn, era sempre lo stesso, quello che provava tutte le volte in cui, come un flash fotografico, vedeva comparire nella mente l'immagine di Thess abbarbicata a un'altra donna.
La sua piccola, perversa bambina che riusciva sempre a fustigare il suo cuore di mamma... S'é fatto tardi... mamma non verrà più , pensò Thess guardando fuori la sera incombente. Lontano, sulla tangenziale, le automobili scorrevano tranquille, riportando a casa le persone.
Le era sempre piaciuta la sera; la strada si tingeva dello stesso colore umido di uno specchio d'argento. Le luci lontane dei palazzi e i fari delle macchine intarsiavano, sul pavé, immagini distorte e affascinanti.
Forse quei riflessi erano una delle rappresentazioni più romantiche della modernità.
Thess si sentiva meglio, molto meglio. Una bronchite trascurata aveva invaso i suoi delicati polmoni; adesso il peggio era passato e il giorno dopo sarebbe uscita, finalmente. Non era più una ragazzina ma ancora abbastanza giovane da desiderare la gioia, il divertimento e l'aria aperta. Malgrado la malattia, aveva apprezzato quella pausa forzata; aveva avuto l'opportunità di rinsaldare il rapporto con la mamma.
Niente di grave... solite tensioni: a lei non piaceva troppo il compagno di sua madre e sua madre non era raggiante per la sua amicizia, assai intima, con Layla.
Con Layla condivideva l'appartamento; si amavano da tre anni ma senza impegno, senza paletti; lei amava sentirsi libera e Thess aveva imparato a non soffrirne.
La sua compagna era venuta in ospedale solo due volte, poi, appena le sue condizioni erano migliorate, con grande tatto, aveva lasciato campo libero alla madre. Che dolce; non l'aveva mai fatta sentire sola, le mandava di continuo messaggi per dirle quanto le mancassero le sue labbra.
Il corridoio dell'ospedale era silenzioso e tranquillo.
Thess diede uno sguardo al cellulare per controllare l'ora; avevano appena lasciato il vassoio con la cena, alla visita successiva, probabilmente della Caposala, mancava ancora un'ora. Con le dita affusolate e rapide cercò l'ultimo messaggio della sua amante.
Sentì caldo al cuore e scrisse, quasi automaticamente:
"Non ce la faccio più, amore, adesso mi frugo tra le cosce per cercarti..."
Invio.
Scrivere quelle parole ebbe un effetto dirompente sulla sua libidine a lungo trattenuta.
Thess aveva appena ripreso le forze e, dopo un mese di astinenza forzata, l'inguine le bruciava, alla ricerca di un solido refrigerio.
Aprì la cartella segreta del cellulare e sfogliò con incalzante eccitazione le immagini che ritraevano Layla, semisvestita o del tutto nuda: in certe pose, dolce come un'educanda, in altre sguaiata come una prostituta.
Thess si guardò le mani, quel giorno si era dedicata al suo corpo e alla fine si era concessa un'approfondita manicure. Lo smalto rosso fuoco era l'omaggio, il richiamo per dire alla sua donna:
"Amore, sono tutta tua..."
Le manine dalla pelle deliziosa e le dita curate affondarono sotto le lenzuola, mentre Thess si cercava i seni sodi e proporzionati e la natura, calda e umida.
Sua madre non sarebbe venuta... non le dispiaceva più adesso. O meglio, da porcellina, sperava che venisse e la vedesse mentre si dava piacere, come accadeva spesso nei suoi sogni segreti.
Il calore intimo di Thess non chiedeva di meglio che essere imbrigliato in un desiderio; come un fiume incandescente che cerca uno sfogo adeguato e consolatore.
Thess non si toccava da tanto.
Iniziò con delicatezza estrema: ogni volta che si masturbava, le sembrava di incontrare il suo corpo per la prima volta. Socchiuse gli occhi, iniziò a distaccarsi dal mondo; l'elettricità che si sviluppava quando il suo palmo passava con finta indifferenza sul clitoride sensibile, si trasformava in piccole esplosioni colorate che le avviluppavano la mente e le davano la sensazione di sprofondare.
Col filo dei pensieri provò a raggiungere Layla, il suo amore distante, ma poi, a mano a mano che l'eccitazione saliva, i suoi ricordi e le sue fantasie divennero più oscene e intrise di voglia.
La sua piccola figa era già densa di umori, ma alle grandi labbra, gonfie e socchiuse, arrivava solo un sottile velo di umidità calda. Thess sapeva che l'asciutto sarebbe diventato umido e l'umido bagnato, ma non volle forzare la mano. Avrebbe potuto "imburrare" subito le dita, affondandole nella saliva, per poi spingerle, voraci, nel suo spacco che adesso vibrava di desiderio, invece decise di attendere. Non aveva fretta, non c'era nessuno e poi, come le capitava spesso di pensare, non avrebbe chiesto di meglio: essere vista... spiata, mentre era veramente se stessa. Quando l'angelo diventava assatanato, quando da "dolce" si faceva furia.
La mano sinistra tirò verso il basso il capezzolo turgido, assieme alla sua aureola, altrettanto gonfia e soda.
Un fruscio? Forse...
Ma no: impossibile!Per alcuni minuti Thess si abbandonò completamente sul lettino.
Il silenzio della sera favoriva la concentrazione, era facile godersi quegli attimi di sensualità. Finalmente!
Poco prima di iniziare a masturbarsi più intensamente, dopo le carezze preliminari, si fermò e, in punta di piedi, andò a controllare la porta del ballatoio. Era chiusa ma non a chiave, non era un problema.
Oltre la porta il corridoio era deserto.
Lasciando socchiuso l'uscio della sua stanza, Thess cercò di garantirsi la possibilità di sentire se qualcuno avesse aperto la porta dal corridoio.
Non le andava di farlo nel bagnetto spoglio.
Mise il cuscino di taglio al centro del letto, poi si tolse il pigiama e le mutandine bianche. Aprì l'anta dell'armadietto metallico, uno specchio non troppo grande le permetteva di vedersi.
Il suo monte di venere era coperto da una peluria bionda. Sorrise, senza abbandonare il calore: aveva bisogno di essere depilato ma, allo stesso tempo, quell'immagine della sua natura un po' selvatica le fece mordicchiare il labbro.
Tornò sul letto e riprese a masturbarsi, stavolta decisa, penetrandosi con le dita e poi spingendo col bacino sul cuscino, ritmicamente. Quando i polpastrelli erano fuori, si concedeva un veloce frullio sulla clitoride, che sbocciava dalla figa sempre più dura e puntuta. Ora era tutta bagnata.
«Ok, ringrazi di essere la mamma di Thess...» disse sorella Wanda, posando il telefono.
Era in ritardo con l'attività e aveva fretta di concludere il turno; quella sera avevano ospiti. Per fortuna suo marito era un bravo intrattenitore: gli amici si sarebbero accontentati degli antipasti che aveva preparato e, dopo, di una bella fetta di "Capricciosa"; pochi giorni prima, proprio nel suo quartiere, avevano aperto una pizzeria napoletana.
La guardia notturna indirizzò un sorriso complice alla bella signora e la lasciò entrare, come se la decisione dipendesse da lui: un classico. La signora Thorn percorse silenziosamente i corridoi deserti, felice di essere riuscita a passare dalla sua bambina almeno per un "Ciao!". Il giorno dopo Thess sarebbe uscita e i loro rapporti sarebbero tornati normali e, purtroppo, distanti.
Davanti alla porta della camera rammentò le raccomandazioni di Wanda, la Caposala:
«Faccia piano, può darsi che si sia appisolata.»
Girò la maniglia lentamente; l'anticamera era buia, la stanza di Thess, invece, era illuminata, abbastanza da permetterle di vedere... sussultò.
Thess era accovacciata sul letto, nuda dalla cintola in giù. Si strusciava sul cuscino e si toccava, gli occhi socchiusi. Sul viso angelico, le labbra tirate tra i denti mostravano in pieno la sua goduria.
La mamma rimase immobile, imbarazzata; non se l'aspettava. Poi, anche se sapeva di spiare, in silenzio indagò con gli occhi il corpo meraviglioso e discinto di Thess...
E accadde di nuovo.
La signora Pamela Thorn si ritrovò all'improvviso di fronte alla situazione che, già in passato, aveva messo a rischio il suo autocontrollo.
Pamela amava la sua Thess di un amore profondo, era la sua unica figlia ed era una ragazza, una donna, del tutto speciale.
Thess era talmente dolce, quieta e amabile, da apparire ancora più bella. La madre lo leggeva, godendone, anche negli occhi degli altri: nessuno resisteva al suo fascino semplice, qualcuno ne restava incantato.
Pamela era una donna colta, emancipata, aveva lavorato, viaggiato, e aveva anche dovuto fare i conti con la sua complessa sessualità: era bi- sex.
Fin da ragazzina aveva provato le stesse curiosità, le stesse pulsioni, sia nei confronti della potente virilità maschile che verso la deliziosa sensualità femminile, fatta di velature, di attese... di fremiti.
Si appoggiò alla porta, cercando di non far rumore. Vedeva abbastanza dei moti di Thess, e non aveva bisogno di essere morbosa. Restò nel buio, vegliando il piacere della figlia col cuore stretto nella morsa della passione. Aveva avuto tutto il tempo di eccitarsi; adesso, aveva il cuore pazzo e il fiato corto.
E così si abbandonò al sogno per ingannare il desiderio. Amore mio, lo so!
Conosco i tuoi palpiti, e sono certa che anche tu vorresti... perché anch'io lo vorrei. Sarebbe meraviglioso, indimenticabile. Eppure sono altrettanto sicura che soffrire per questo inconfessabile desiderio, lo renda ancora più bello, più estenuante: eterno!
Se appagassimo la nostra brama, se facessimo ciò che desideriamo, perderebbe la sua forza, si sfumerebbe, trasformandosi in carne, e sangue; perderebbe tutta la sua struggente poesia. Dopo, niente sarebbe più lo stesso tra di noi e io non voglio perdere l'innocenza di poterti guardare nel profondo degli occhi, attraversandoti fino al cuore.
Ricordo, tanti anni fa, ti sorpresi a cavalcare il grande cuscino che tenevi accanto al letto. Era tardi, la tua porta era difettosa. Venni da te in punta di piedi, per controllare che dormissi tranquilla, e invece, dallo spiraglio, ti vidi.
Mi è sempre piaciuto pensare che, per te, quella fosse la prima volta. E ricordo l'effetto devastante, inatteso, che la scena ebbe su di me; il basso ventre mi esplose. Un calore mi prese nell'inguine, così improvviso da sembrare un colpo. Poi, come miele, un fluido tiepido si era sparso anche nelle mie mutandine, senza bisogno di toccarmi.
Che scena, amore: cavalcavi con la testa indietro, gli occhi socchiusi, la bocca leggermente aperta. Eri l'estasi!
La corta canottiera bianca celava il petto sottile, mentre due mele acerbe tenevano puntuti i capezzoli, pi scuri, che s'intuivano dalla stoffa leggera. Poi ti inarcavi, ti piegavi in avanti, e la boccuccia seguiva la passione, socchiusa, a formare un cuore; soffiavi fuori l'alito, come un piccolo putto che tenta di creare nuvolette deliziose in un affresco celestiale.
Ero là, bloccata, incapace di recedere, incapace di reagire; nella testa un orgasmo più potente e intimo di quelli provati in un rapporto carnale.
Che spettacolo eri, che spettacolo che sei!
Il culetto nudo che si muove ritmico e deciso: avanti, indietro, strisciando la vulva dischiusa sul cuscino... calando, premendo, cercando invano una penetrazione, tanto impossibile quanto desiderata.
Adesso hai la mano tra i capelli lunghi, ti carezzi fino alle tempie; le immagino di fuoco.
Sei sempre stata bellissima, mio tesoro, ma la bellezza che sprigioni in questo momento mi spezza l'anima, mi dà un senso di impotenza. Non so cosa pensare: vorrei esporti al mondo per mostrarti, orgogliosa e, allo stesso tempo, gelosa di tutti. Ti vorrei tenere solo per me, per sempre segregata in una gabbia d'amore, alimentata solo dalla mia passione.
C'q magia in ciò che vedo davanti a me: una Ninfa, ecco. Capisco ora che i grandi poeti, gli artisti, devono per forza aver provato, aver visto uno spettacolo come questo. La mia anima vibra condividendo ogni poesia e ogni estasi dell'Arcadia.
E poi, lo strappo nell'anima: la contrapposizione lubrica del tuo piacere tremendo, affascinante, una calamita che invita a peccare e la poesia, che si fa carne e agogna carezze intime, lascive... bagnate.
Ora, come allora, mi costa tanto trattenermi. Vorrei saziarmi delle tue membra, stringere la pelle tenera tra le dita, entrarti nei buchi umettati, succhiarti i sapori, dalla saliva dolce all'estro acidulo e peccaminoso.
Ritorno a quella notte: ti lasciai solo quando, stremata e paga, ti accasciasti sul lettino alla ricerca del sonno ristoratore. Non fiatai, non dissi nulla. Solo la mattina, quando allegra e innocente partisti per la scuola, corsi in camera tua per abbracciare quel grande cuscino. Non mi vergogno, anzi, ammetto che fui felice di cercare le tue macchie sulla stoffa, per poi annusare, come un segugio, quelle tracce. Quei profumi segreti che, nella vita di tutti i giorni, mi erano proibiti.
Era come una droga per me, e il sangue mi salì alla testa mentre sprofondavo il naso e la bocca schiusa in quel residuo di calore.
È da allora che ti spio, amore mio dolcissimo.
Lo ammetto, anche ora, con un sorriso complice e impertinente che tu potresti solamente intuire.
Da allora seguo, in segreto, tutto quello che ti accade. Dietro la mamma che si è prodigata per te, che ha seguito apprensiva la crescita, i primi ostacoli, le gioie e i piccoli drammi, si nasconde un'amante mancata. Un'amante che trepida nell'ombra e che segue la tua vita intima, erotica; quella parte che le figlie tengono celata alle mamme, per poi spiattellarla sguaiatamente alla prima sciacquetta che capita a tiro. È la vita.
Ma io non l'ho accettata!
Ecco perché ti ho spiato gioia mia. Non potevo più rinunciare a te: lo sforzo che ho dovuto sostenere per trattenermi dal toccarti, era già troppo doloroso per resistere oltre. Ecco perché ho cercato, in segreto, di indagare le tue passioni.
Ti ho seguita quando crescevi e cambiavi. Il "nuovo" in te ti rendeva ogni giorno più donna, più desiderabile.
Ho seguito di nascosto i primi giochi erotici: ricordo Fabiana, la figlia di Rosy, la nostra vicina.
Rosy, allora, era la mia amante, occasionalmente. Tuo padre non avrebbe mai capito le mie esigenze e la mia sessualità complessa.
La sorte volle che Rosy fosse sola e che, alla fine, accettasse di dividere con me qualche ora di piacere. La voglia di femmina che tu m'istigavi, la sfogavo tra le sue braccia burrose.
Lei non poteva saperlo, ma quando la leccavo intimamente fino a sentirla squassare dall'orgasmo, spesso era te che desideravo, che sognavo di profanare.
Fu proprio Fabiana a condividere con te i primi toccamenti. Nella sua camera, quando entrambe pensavate di essere al sicuro, vi spiavamo, ed io nascondevo la mia gelosia sotto un sorriso indulgente e falso.
Quando Rosy mi fece partecipe dei suoi rapporti con la figlia, ne rimasi prima colpita, poi estasiata. Una volta partecipai ma senza riuscire a fare nulla, forse le delusi; spero solo di non averle messe a disagio. Ero completamente incantata da quella loro confidenza così intima, dal loro scambiarsi il piacere: madre e figlia, amanti deliziose, godevano l'una dell'altra. Mai l'amore avrebbe potuto manifestarsi in forma pi intensa.
Le invidiai, fui tentata di spezzare l'incantesimo... il desiderio di goderti mi tormentava, però ho resistito.
Qualcosa mi ha bloccata dal fare l'ultimo passo, quello decisivo, sempre.
Poi arrivò Flora, la mia vecchia amica, era stata la mia prima amichetta nei giochi più perversi. Ti affidai a lei, sapendo che ti avrebbe presa, la conoscevo bene, ma non ne abbiamo mai parlato apertamente.
Avere scelto consapevolmente la tua "maestra" del sesso mi faceva godere di un piccolo senso di potere su te, effimero certo, ma pur sempre qualcosa.
Mi sembrava di essere partecipe, indirettamente, di un gioco a cui non ero invitata. So tutto, anche di voi due: capivo, spiavo, intuivo ogni cosa dalle sue mezze frasi. So anche che fu lei a farti provare la penetrazione e il primo maschio. Fu lei a farti sverginare, sotto il suo sguardo attento, lascivamente materno... e io, io non potevo che accontentarmi delle briciole della vostra profonda passione.
E sì, amore mio dolcissimo, lo ammetto: ti ho sempre seguito, andando oltre, scendendo nei tuoi meandri segreti. Anche adesso, anche quando sei con Layla, la tua compagna.
M'inebria il profumo che emanate. Quando vengo a casa vostra amo l'odore della vostra camera, vorrei diventare un ninnolo del vostro secretaire per potervi vedere durante le notti di passione.
Quando capita di stare insieme, tutt'e tre, faccio del mio meglio per lasciarvi sole, cerco sempre una scusa, faccio finta di ritirarmi: ho sempre la speranza che l'attrazione e l'eccitamento vi attirino l'una tra le braccia dell'altra.
Qualche volta sono stata fortunata. Spero non vi siate accorte di me, ma io vi ho osservato, per quanto possibile, e ho goduto, come se fossi stata tra voi, subissata di carezze e baci segreti.
Sono quasi certa che tu lo sai.
Lo sai che ti guardo e che ti desidero, e sono anche sicura che lo desideri quanto me... e anche Layla ha capito.
Credo che a volte lo faccia apposta a stuzzicarti. Lei sa quanto diventi angelica in viso quando ti masturbi, innocente e peccaminosa allo stesso tempo. Una volta l'ho vista, seduta sul pavimento, non faceva niente, guardava te che, sul letto, ti masturbavi. Cominciasti seduta, piano piano, poi apristi le cosce e le alzasti verso l'alto, puntando la schiena sul materasso. Il tuo frutto era aperto e colava, le tue dita frugavano instancabili, il clitoride sembrava voler esplodere.
Layla intervenne solo dopo il tuo orgasmo; salì sul letto e ti tenne tra le braccia, calmandoti con le sue carezze.
Vidi tutto, e dopo ho sempre pensato maliziosamente che, in quella stanza, c'era troppa luce per non immaginare che vi si potesse guardare... e assai bene!
Che meravigliosa sensazione desiderare, sperare, in tanta complicità. La stessa sensazione che accompagna e favorisce i miei orgasmi silenziosi. Adesso, come allora, dal mio angolo buio ti osservo venire e con le dita mi cerco la figa, la spalanco e mi bagno, poi porto le mani alla bocca e suggo il mio sapore, sognando di sentire il tuo; quel sapore vietato alle mie labbra di madre.
Mentre mi frugo ancora una volta, ripenso a quello che ho provato non troppo tempo fa, il giorno del mio compleanno.
Non volevi lo spumante, come al solito: tu non bevi.
Nell'atmosfera intima e giocosa, ti promisi un bacio per ogni bicchiere... a quel punto cedesti subito e bevesti.
È stata l'unica volta, forse perchp avevo bevuto anch'io.
Ci baciammo, e non fu un bacio da mamma. Prima ci desiderammo le labbra e poi s'incontrarono le lingue piene di succo, cercandosi profondamente nelle bocche assetate.
Eravamo in piedi e le cosce s'intrecciavano, facendoci godere del calore della pelle liscia. Tu mi stringevi e spingevi il bacino a mio favore; stemmo così, strette e appassionate, sotto gli occhi discreti di poche persone amiche. Nessuno mai commentò quell'eternità finita troppo presto.
Poi un altro brindisi e poi gli auguri e... un bacio, un bacio ancora, tanto lungo e commosso da sembrare un addio. Avevi perso la testa e mi tenevi la tetta in mano. Avevi perso il pudore, e mi scattavi con la lingua in bocca, dura, penetrandomi.
Ora, nascosta nella saletta d'ospedale, assisto, come sempre... e godo: ma non entro!
Ancora una volta quest'amore resterà il nostro, e il sogno si perderà in un desiderio mai pago.
Ti masturbi incessante, spudorata e santa; sembra impossibile che il tuo viso nasconda un piacere tanto carnale sotto l'inguine, che cavalchi come una strega angelica sulla scopa del peccato.
Anche quella sera lo facesti.
Con la testa che girava, salisti piano in camera, ti denudasti languida e fingesti che io, la tua mamma, non ci fossi. Mostravi di non vedermi!
Come eri bella quando, nuda e discinta, ti abbandonasti a un finto sonno.
Con le mani ti accarezzavi e io, quella volta, non riuscii a farmi indietro, restai sulla porta, in vista e soffrii; soffrii per lo sforzo amaro di trattenere il desiderio. Avrei voluto tuffarmi sul tuo corpo e perdermi tra i flutti della passione.
Quando sei stata pronta, con gesto quasi infantile, semplice, hai solo bagnato due dita sulla lingua, poi ti sei infilata "la micetta", schiudendola del giusto, solo per provare il piacere della dilatazione.
Sei venuta quasi in silenzio, con un solo lungo sospiro; hai inarcato la schiena, per te... e per me.
Lo sapevi che vedevo, lo sapevi che anelavo te.
Poi, pian piano, il cuore abbassò il suo tambureggiare e il respiro divenne basso e regolare. Solo quando ti addormentasti soddisfatta, solo allora, raggiunsi il tuo letto e ti baciai a lungo la bocca umida.
Che gioia segreta rubai allora dalle tue labbra. Erano bagnate ancora degli umori lasciati dalle dita: quante volte erano passate dalla vulva. E che profumo indescrivibile, ero vicinissima: sentivo il caldo che emanava dal bacino nudo e l'odore che la "fregna" aveva appena sfogato.
Invece di affogarti con la faccia tra le cosce per suggere il nettare di quel fiore, ti coprii, teneramente, col lenzuolo immacolato.
Quale regalo più dolce e appagante avrei mai potuto desiderare?
Poi, tutto fu cancellato dalle nostre menti e non ne parlammo mai più.
Ecco che il sogno volge al termine, torno coi piedi per terra e vengo pure io, tra le dita, cercando di non fami sentire.
La mutandina assorbirà ancora una volta il piacere: il tuo ennesimo dono in un rapporto incredibile e mai goduto appieno.
In punta di piedi vado via dall'ospedale, felice.
Domani te lo dirò.
Te lo dirò che la tua mamma non ti abbandona mai, mio dolcissimo fiore profumato:
«Ma certo che sono passata, tesoro» dirò «ma tu... tu dormivi già!»
Entrambe sapremo che, ancora una volta, ti avrò mentito.