“Il contrario dell'amore non è l'odio, ma il dubbio.”
Enrico Maria Secci
Una mail tra le tante.
Buongiorno signora Giovanna, è da un paio di giorni che apro siti porno (non è mia abitudine e non ne ho nemmeno l’età, credo) ma sono veramente contenta di avere fortuitamente incrociato questo spazio. Per il resto sono incappata soltanto in pura pornografia che, in questo momento, è uno degli argomenti più lontani in assoluto dai problemi che sto vivendo.
Una donna in pena.
Mi presento per essere più chiara, anche se per motivi che comprenderà non posso dire chi sono nella realtà. Ho circa 50 anni, tralascio di descrivermi fisicamente, ci mancherebbe, ho ben altro per la testa!
Circa 3 mesi or sono ho perso mio marito, che ne aveva 66.
Abbiamo una figlia che, a giorni, compirà 20 anni; lei è una bella e brava ragazza, e fino a pochi giorni or sono la vedevo del tutto normale.
Anche se ha un carattere abbastanza schivo, è brava nello studio e, come tanti giovani di oggi, sembra che le piaccia più starsene in camera sua,
incollata a questi maledetti telefonini, che uscirsene per fare una bella passeggiata, come facevamo ai miei tempi. Non è fidanzata, e su questo argomento è stata sempre molto riservata, ma (sempre fino a pochi giorni fa) non me ne preoccupavo più di tanto... specialmente adesso che ha perso il padre, non era certo mia intenzione tampinarla con argomenti frivoli; anzi, faccio del mio meglio per lasciarla in pace, mentre supera questo momento di dolore.
Però devo aggiungere che le cose, per me sono molto cambiate, al punto che non ci dormo la notte. Cerco di sembrare normale, di comportarmi come sempre, ma un tarlo terribile mi sta facendo perdere la stabilità.
Una vecchia cassaforte.
Cara signora per me il mondo si è rovesciato, non sono più sicura di niente e, nel modo più assoluto: non so proprio che pesci pigliare. Cosa è giusto; cosa è sbagliato, che comportamento adottare!
Tutto è cambiato da quando, pochi giorni or sono, mi sono ricordata che in casa avevamo una piccola cassaforte, inutilizzata da anni, e talmente poco “essenziale” da non essere neppure stata mai fissata in un muro. Stava lì da anni, stipata tra le cianfrusaglie, sopra un vecchio scaffale. Si figuri che nemmeno ricordavo se mai ne avessi conosciuto la combinazione. Infatti, dopo, ci ho messo altri 2 giorni per trovare la chiave “speciale” adatta ad aprirla.
Ho aspettato un giorno che la mia ragazza era all’Università e, una volta sola, l’ho aperta.
La mia discrezione ha un motivo ben preciso, e lo spiego. Siamo persone agiate, anche io ho sempre lavorato per mandare avanti la famiglia. Non siamo certo ricconi, e quel poco su cui possiamo contare non lo teniamo in casa. Invece ricordavo che, quando la bambina iniziò a girare per casa, in quella cassetta (inutile nascondersi dietro al dito) ci tenevamo qualche “cianfrusaglia” di tipo erotico. Tipo, un dildo, che comprò lui, per curiosità in uno dei vecchi porno shop; credo, dei preservativi, forse qualche articolo di lingerie indossato in una seratina da “coppietta”. Mi ricordai addirittura di qualche foto un po’ osè, scattata chissà quando. Per la verità, quando aprii la cassetta, ero quasi sicura di non trovare più niente di queste cose, che tra l’altro gestiva lui, non certo io.
Come mi sbagliavo signora Giovanna, quando aprii la cassetta la trovai piena zeppa di “cose”, evidentemente di tipo pornografico: sia capi di abbigliamento femminile, che altri aggeggi... anelli che vibravano, falli di varia foggia... non sono esperta, ma di sicuro credo ce ne fossero anche adatti alla penetrazione o ai giochi di tipo anale. Insomma cose eccitanti, adoperate, indossate... Ma da chi poi? Da mio marito... oppure ... !?
“Giorgio” aveva avuto un’amante? e quando, e chi? Magari aveva una seconda vita sessuale?
Era possibile che si servisse di quegli oggetti per eccitarsi e masturbarsi?
C’erano persino aghi sterili, nuovi di zecca, evidentemente staccati da siringhe monouso.
E per fortuna che non sembravano quelli che si adoperano per fare uso di droghe. Il cuore iniziò a battermi forte.
Ero sconcertata, ma la cosa non finiva lì, perché tra i vari oggetti trovai una busta, la classica busta da lettera, incollata per bene, e sopra, col pennarello nero, c’era scritto il mio nome. Non riuscivo proprio a immaginare cosa potesse esserci dentro; visto che era abbastanza rigonfia, pensai contenesse dei contanti.
Di certo mio marito non mi scriveva una lettera dagli anni del fidanzamento, e non ne sono nemmeno tanto sicura.
Avevo ancora molto tempo a disposizione; richiusi la cassetta e portai con me la lettera in cucina, dove decisi immediatamente di aprirla.
Una storia incredibile.
Ora, signora, se ha avuto la pazienza di leggermi fino a qui, e se leggerà ancora, capirà perché le ho scritto; perché sono capitata sul suo sito, e perché, di questa sconvolgente verità, non posso parlarne con nessuno, né familiari e nemmeno con la mia migliore amica.
Ora che da qualche giorno ho letto, come inebetita, quanto scritto; ora che finalmente ho ammesso con me stessa di aver letto “realmente” ciò che mi ha lasciato scritto “Giorgio”, il mio primo e più grande interrogativo è questo: capire se ciò che lui mi ha voluto comunicare è vero, totalmente o anche parzialmente, oppure se si tratta di una punizione, come scrive lui stesso, per il mio modo di fare!?
Lo ammetto, finalmente, forse ho anche sbagliato. Forse ho dato troppe cose per scontate... forse effettivamente sono stata cieca ed egoista. Ma di sicuro non avrei mai immaginato che mio marito potesse arrivare a tanto! Sono disperata.
Una lettera per la vedova.
Cara Teresa, ormai sono quasi certo che leggerai questa lettera dopo la mia morte. Ti conosco troppo bene: so che non ti saresti mai presa il disturbo di aprire questa cassetta, se io fossi ancora in vita... oppure ricoverato in un ospedale. Ovvio: tu non sai nemmeno cosa sia la curiosità!
Come sai perfettamente non sono credente, ma se per caso da “questa parte” ci fosse davvero un posto chiamato Inferno, io ci sarei entrato per direttissima! Questo è sicuro.
Ti dico ciò non per fare il patetico ma semplicemente per onestà intellettuale, perché io ho peccato, cara Teresa.
Ho peccato quanto nemmeno tu puoi immaginare e non ho giustificazioni. Però ho un complice occulto, o un mandante, deciderai in seguito quale ruolo hai avuto nel mio peccare. E sì, hai letto bene cara moglie, io ti ritengo fortemente responsabile del mio agire, quasi quanto me, dei miei peccati mortali.
Ma torniamo un po’ indietro nel tempo, cara, altrimenti, grazie alla mentalità strafottente e menefreghista che ti ha sempre caratterizzata, tu crederai di uscirne pulita, come al solito. E sì, perché Tu, come un carro armato, hai sempre avuto l’abilità di passare sopra a fatti e persone.
Avevi quasi vinto, il tempo ti ha sempre dato ragione: io mi arrovellavo, mentre tu te ne strafottevi; io credevo che un bel giorno avresti pur dovuto preoccuparti delle mie rimostranze, degli argomenti che mettevo in tavola, mentre tu, con la tua assenza e con la tua capacità di tacere (peggio di una Sfinge di pietra) alla fine l’avevi vinta; io non ottenevo un cazzo di niente oppure, in poche e rare occasioni, ottenevo delle briciole della tua attenzione (dopo mesi o anni) spesso quando ormai era troppo tardi perché ne traessi soddisfazione.
Se ben ti conosco, a questo punto fingerai di scendere dalle nuvole, sia nei confronti di questo scritto che, udite, udite, nei confronti della tua stessa “corta” memoria.
Allora te la rinfresco io, la memoria. Niente di nuovo certo, non farò che ripeterti ciò che sapevi molto bene; come quelle richieste di interesse che hai sempre ignorato; quelle esigenze che non hai mai più rispettato, sin da subito dopo il matrimonio.
Cara Teresa è innegabile, eri giovane e bellissima, ed io ero già adulto, e portarti al mio fianco era già un trionfo per me. Lo ammetto, forse ho peccato anche di una forma di esibizionismo, mostrandoti come la mia ultima, bella conquista, ma non credo che questo sia poi una grande colpa. Facevamo sesso, spesso e volentieri; tu eri assai passiva, ma comunque ubbidiente e appassionata, non mi rifiutavi nulla, nel concreto: la figa, la bocca, persino il culo... ed io, allora focoso, cosa vuoi pensare? cosa vuoi notare?
E stato dopo, col matrimonio, che lentamente ho iniziato a capire come stavano le cose. Così, mentre gli anni passavano, io desideravo sempre più di trasgredire e tu, invece, sempre meno di farci, almeno, una semplicissima scopata. C’erano lunghe discussioni ricordi?
E’ vero, lavoravamo entrambi, ma io facevo del mio meglio per essere a casa ogni notte... e tranne casi rari, i nostri week end erano liberi.
Ma chi avevo in casa con me? la donna delle pulizie! (intendiamoci, non quella sexy da video porno), quella coperta di pigiamoni, vestaglione, pantofolacce orride. Calzini... stramaledette mutande bianche, di una puritaneria disgustosa. Ma sai com’è? Mi lamentavo, te lo dicevo, ci litigavo, ma poi stanchezza e gioventù, facevano si che ci passassi sopra, pur di raggiungere quell’orgasmo ebete... in quelle 4 – 5 volte al mese, un orgasmo arrangiaticcio...
Fu allora che cominciasti a disgustarmi, cara.
Mi disgustavi anche quando “tentavi” di piacermi, abbigliandoti in modo sexy... ma vedi, te lo ripeto anche adesso, le calze, i reggicalze, le guepiere, per eccitare un uomo vissuto, come me (e tu lo sapevi) devono far parte dello stile, della femminilità intrinseca. Non sono un vestito di carnevale, cazzo! Uno scomodo completino di cui liberarsi, appena terminata la tua esibizione “teatrale”.
Passarono glia anni senza grandi cambiamenti... l’abitudine ci supportava.
Ma poi arrivò la piccola, la desiderasti: e ‘l’abbiamo voluta, avuta. Tra gestazione, parto e svezzamento, fu un turbinio di impegni. Lei era la nostra gioia, catalizzava il nostro amore completamente, e l’impegno per farla fiorire ci fece dimenticare per qualche anno delle mie (dico mie, perché in tanti anni, le tue non le ho mai capite) esigenze sessuali.
Quando cercai di rivedere in te mia moglie e la mia donna, non ti trovai più. Riprendesti a tempo pieno il tuo lavoro e il tuo lavoro divenne la tua “famiglia”: avevi una famiglia fuori casa, e una figlia a casa. Stop! In questo scenario io ero diventato un puntolino all’orizzonte. E sia.
Ma intanto erano cambiati pure i tempi: la bambina cresceva, tu avevi un ottimo impiego, io, invece, vedevo aumentare sempre più i “costi” del lavoro, spesso era meglio stare a casa, che spendere soldi inutili o persino rischiare di perderne un po’, in affari avventati. E poi, diciamolo, rispetto a te stavo invecchiando; l’età c’era.
Oramai, avere rapporti con te era diventata un’ipotesi, ma la cosa peggiore e che mi avevi talmente disorientato, negli anni, che proprio non ti amavo più, al contrario.
Forse se ci fossimo separati, la nostra storia sarebbe finita, e amen. Ma così, vederti ogni giorno più strafottente, e vincente nella tua strafottenza, era davvero umiliante.
Sapevi che ormai ero incastrato; sapevi che non avrei mai dato un dolore così forte alla nostra bambina. Dopotutto ti tornavo utile, con me più spesso a casa, tu avevi molta più libertà di dedicarti al tuo lavoro, a quella tua seconda vita fuori casa.
Così mi tenevi in pugno, ero una delle tante “cose” che possedevi, di cui non preoccuparti più di tanto.
Non ho mai saputo se tu avessi avuto altri uomini, tra i colleghi o, comunque, in quella tua esistenza che non conoscevo, e che nemmeno volli mai indagare.
Ormai avevo tanto rancore nei tuoi confronti, odiavo talmente i tuoi silenzi mortificanti, che aggiungere ulteriori elementi di “schifo” verso di te, non avrebbe cambiato assolutamente le cose.
Che potevo fare? Ormai ero un “perdente” rispetto a te. Chiassate? Nemmeno ti scalfivano. Lasciarti? Avrei solo fatto del male a mia figlia? Tradirti... forse potevo, forse qualcosa è anche capitato, in tanti anni, ma a te cosa importava?
Come facevi, Teresa, a vivere così?
Ma almeno, scopavi?
Guarda... se è vero che non avevi nessuno, al di fuori delle mura di casa... una donna nel pieno della sua femminilità, mi rendevi spesso preoccupato perfino della tua salute mentale. Neppure una monaca vive così, credo.
Io intanto non potevo far altro che masturbarmi; disperarmi in pratiche solitarie, che servivano a mantenere un minimo di vitalità, per il mio povero cazzo, che viveva i giorni del tramonto con sempre maggiori difficoltà di erezione.
Anche per questo ti ho odiata. Io avevo sempre minor tempo per scopare e tu me lo hai fatto sprecare. Non andavo con nessuna, non corteggiavo: ormai, nella mia condizione, avevo troppa paura di avvicinare una donna e poi finire umiliato, da una mancata erezione, da un problema di eiaculazione.
Eh cara Teresa, ma come vedi, la mia lettera non è finita... e no. Tu ancora non lo sai ma, alla fine, mi sono vendicato, e di brutto!
Te lo garantisco, mia cara Sfinge strafottente: tra poche righe la tua impassibilità sarà spazzata via per sempre; tra poco non potrai ignorarmi mai più... odiarmi, sì.
Forse mi vorresti vedere morto? Beh... lo sono, e allora? Che mi fai di peggio di ciò che io, nel piccolo carcere dove mi avevi relegato sono riuscito a fare a te?
Io e Lei.
So che non mi resta molto, è l’ora di raccontarti tutto.
Oggi è il 18 giugno.
Circa 7 anni or sono il tuo lavoro impegnativo ti portò per 2 giorni a Torino.
Ci andasti contro voglia, la nostra ragazza aveva un po’ di febbre, ma d’altro canto, sapevi che era in buone mani, e tu non potevi farne a meno. La donna in carriera, poteva fidarsi del suo cavalier servente, quando si trattava di sua figlia!
La nostra ragazzina, naturalmente, venne a dormire nel mio lettone.
Quella sera era sudata; le diedi le medicine, il latte. Ti telefonai appena prese sonno. Ricordo che eri a una cena di lavoro; ti rassicurai. Ci salutammo sbrigativamente. Più tardi andai a dormire a mia volta.
Nostra figlia, non era più bambina già da circa un anno. Avevo già intravisto le sue tettine che iniziavano a perdere la piattezza infantile, le sue forme ormai diventavano adolescenziali; ma tutto questo non avrebbe mai sfiorato la mia libido... se... se... se io fossi stato un uomo normale, non una larva mortificata dal tuo silenzio maligno.
Comunque...
Una volta a letto, come d’abitudine, limitai il più possibile la luminosità della lampada, mi serviva solo uno spiraglio, giusto per dedicarmi alla lettura, come al solito.
La piccola si era rilassata e dormiva profondamente. Poi mi appisolai anch’io, con il libro ancora tra le dita.
Mi svegliai molto più tardi, pronto a posare il libro e a rigirarmi, per mettermi su di un lato, ma in quel momento lei si mosse, mi si avvicinò, come faceva di solito, e mi pose la gamba sulla pancia. Tutto normale, tutto secondo i canoni.
Decisi di restare ancora supino, immobile, per non disturbare il suo sonno.
Però si presentò un piccolo inconveniente. Il mio pene, ovviamente moscio e a riposo, sfiorava la gamba di lei. Un po’ per la sollecitazione “meccanica”, un pò per le mie lunghe astinenze, iniziò a farsi duro e a crescere, venendo a contatto con la sua carne, coperta solo dal pigiama leggero. La mia capocchia si bloccò nell’incavo, dietro il ginocchio... di sopra lei era appoggiata in parte sul mio petto, e il capezzolino sinistro “pungeva” il mio costato: la ragazzina era calda, lievemente sudata, tremendamente accogliente.
Vedi Teresa, inutile nasconderlo, un padre (o una madre) vengono spesso a contatto, con i genitali, col corpo dei figli... era successo anche a me e, puntualmente, con santa pazienza, avevo sempre trovato l’escamotage per ritrarmi in fretta, senza suscitare la perplessità “erotica” di mia figlia. Quella notte no.
Franco
Mariuccia
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