Quando un Master perde il controllo

  • Scritto da Giovannaesse il 20/05/2020 - 13:50
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Cari amici, queste storie non sono certo le mie preferite ma come da impegno preso non posso fare a meno di riportarle. Spero solo che si tratti dello sfogo verbele di una persona molto aggressiva. Ecco per voi.

Ciao Giovanna, mi voglio confessare e certo non posso farlo con un prete, o ancora peggio con qualsiasi pubblico, che per me sarebbe pericoloso. Ti avverto, inutile cercare di rintracciarmi... ti scrivo da un internet center, poco interessato ai miei documenti, e la mail che ho usato sparirà appena spegnerò la connessione. Sono un uomo sposato, potrei dire normale, ma talmente assetato di sesso, in gioventù, da aver praticato una saltuaria bisessualità e una occasionale conoscenza del mondo del BDSM. Credo che, in realtà, io fossi attratto semplicemente dal piacere, adattandomi senza remore a qualsiasi occasione, pur di “strusciarmi” con qualcuno e raggiungere l’orgasmo. Ma veniamo al fatto. Circa un anno fa, non ricordo come, venni in contatto con uno strano tipo, che mi chiese di messaggiare e che poi, tramite sms, mi fece intendere di essere appassionato di sottomissione e travestimento. A chiacchiere rompeva i coglioni, tempestandomi di messaggi al femminile:

  • Sì, lo voglio, sarai il mio padrone.
  • Mi vestirò da puttana solo per te.
  • Sarò la tua femmina e tu prederai la verginità del mio culo... E poi giù domande del cazzo: “Mi farai questo?”; “Mi farai quello?” eccetera ma io mi annoiavo soltanto, perché quest’essere mellifluo spariva improvvisamente appena lo invitavo a non perdere tempo in stupidi messaggi, ma di organizzarci per un incontro e vedere se la cosa funzionava tra noi. E lui spariva, disattendendo tutta quella prostrazione che voleva dimostrare solo a chiacchiere. Poi, dopo qualche tempo, si rifaceva vivo, contrito e pentito. Come una gatta troia che ci riprova, attratta dal prosciutto sul tavolo. E riprendeva; e voleva essere picchiato, umiliato, sfondato... Questo gioco idiota continuò fino a ottobre, finché gli diedi un “out out”: o ci vediamo o te ne vai affanculo! Ci vedemmo un sabato mattino, era un uomo anziano, ma educato, abbastanza signore. Lo portai in una casetta dove non ci avrebbero disturbato... e lì fu un’altra presa per il culo. Voleva fare tutto e niente, voleva farsi fottere ma aveva fretta di scappare via... Insomma da schiavetta puttana, alla fine dettava legge:
  • Questo no. Quest’altro la prossima volta. Non facciamo tutto e subito, l’attesa è più bella... eccetera. A stento mi toccò il cazzo, inguantato nel preservativo, niente pompini, si rifiutò perfino quando io, per non perdere del tutto l’occasione, mi posi davanti a lui, per rimediare almeno un’inculata; cosa che non mi permettevo da anni. Sborrammo a stento. Lo mandai via subito, deluso e incazzato nero.

Mi contattò in seguito. Lo riempii di merda. Sparì poi si rifece vivo con i soliti messaggi da lecchino, pronto a ogni umiliazione. Il tempo passò, io avevo litigato di brutto con mia moglie e non ci scopavo più, potevo solo andare avanti a seghe, come fossi tornato adolescente. Poi, con la quarantena siè rifatto vivo, lo stronzo puttano. Mi incazzavo per i suoi messaggi, sotto sotto capii che ne approfittava: il porco godeva di quella sottomissione verbale e, grazie all’impossibilità di incontrarci, si spingeva oltre, promettendo orge di piacere e sottomissione da schiava, quando finalmente ci saremmo incontrati. Fu a quel punto che scattò qualcosa in me, iniziai a odiarlo, a desiderare di bloccarlo, di prenderlo in trappola e adoperai ogni astuzia per ottenere che ci incontrassimo di nuovo, dal vivo. Dopotutto, non era proprio lui a volersi fare schiava e puttana? A chiedere se e come l’avrei punita, come meritava? Ebbene, se fossi riuscito ad attirare “la gatta” fino al tavolo col prosciutto, giurai che l’avrei servito a dovere. E così, domenica scorsa, previo allentamento dei controlli, riuscii a convincerlo a incontrami a ora di pranzo. Gli feci lasciare la sua auto a un parcheggio, per poi recarci presso uno squallido bar di periferia, dove prendemmo due bitter, a doverosa distanza, e poi li bevemmo per strada. Per l’occasione avevo preso una macchina dal garage che gestisce la mia famiglia e mi premunii di sbiancare la targa anteriore, inoltre lo indirizzai direttamente verso lo sportello laterale, sicuramente non prese il numero di targa. Raggiungemmo un posticino in campagna che conoscevo: eravamo isolati e tranquilli. Allora diventai rude, mi abbassai i calzoni e gli dissi:

  • Prendimelo in bocca, zoccola. Lui era impacciato, sorrideva e cercava scuse per procrastinare la cosa, ma io mi feci deciso. Lo presi per la nuca senza riguardo e me lo tirai sul cazzo. Lui lo prese in faccia, sulle labbra, cercò di divincolarsi come una scolaretta, intanto me lo premevo sul pesce semiduro e sullo scroto, alla fine la troia riluttante, aprì la bocca e ingurgitò la capocchia, che sentii gonfiarsi sulla sua lingua.
  • Hai messo le calze a rete, puttana? Riuscì a rispondere con difficoltà, avvilito dal cazzo:
  • No, padrone... io non credevo...
  • Tu non devi credere niente, merda, devi solo succhiare e obbedire. Hai messo la mutanda da donna?
  • Sì padrone, quello sì... non mi punire.
  • Succhia e zitta! – intimai. Gli sbottonai io stesso la patta per controllare la mutanda che aveva indossato. Era di pizzo nero, abbastanza femminile da solleticare tutto il lubrico che c’è in me.
  • Alzati e fammi vedere il culo, troia. Obbedì alla meglio, si voltò e si abbassò i calzoni lentamente: mi apparve il culo bianco e sfatto di un vecchio, con il filo del perizoma che si perdeva tra le sue pacche flaccide e mollicce. Sotto si intravvedeva lo scroto scuro e peloso, che trasbordava in modo osceno. Io comunque mi ero arrapato, un po’ per i modi brutali, un po’ per i genitali ormai liberi e in vista, sia i miei che i suoi. Finalmente la troia si rassegnò, forse si era eccitato a sua volta; probabilmente era vero, era una “mezza sega” che desiderava tutto ma poi non aveva il coraggio di fare niente. Era una vera femminella con tutte le titubanze di una vecchia bizoca... e bi-zoccola!
  • Puoi metterti il preservativo, per favore? – chiese biascicando mentre già mi teneva la capocchia tra le labbra morbide.
  • Ormai è fatta. Tranquillo che sono sano come un pesce; fammi un bel bocchino puttana, e succhia bene! Come previsto si arrese e se lo prese tutto in bocca, succhiando e leccando sempre più assetata di cazzo. Lo sconvolsi dopo pochi minuti... non mi bloccai, sborrai senza avvisarlo, gli tenni la testa premuta sul pesce che spruzzava all’impazzata, dopo una settimana che non venivo. – Bevi, - gli dissi mentre lo tenevo bloccato. Si avvilì, tossì, sputo... non se lo aspettava, per poco non si mise a piangere.
  • Hai capito chi comanda adesso, puttana di merda? Che c’è, puttanella, non ti piace più chiamarmi “Padrone”? Con i messaggini facevi la stronza, ricordi? Io ti faro; tu mi comanderai; sarò tua, sarò la tua femmina, schiava e puttana! Ecco, questa è la tua occasione per imparare, troiona impotente. Lui/lei non era preparato a tanto ma era succube nell’anima. Quindi la parte razionale che doveva averlo bloccato e guidato per una vita, d’avanti ai fatti dovette cedere alla sua innata frociaggine. In poche parole aveva sempre fantasticato di sottomissione ma adesso, a conti fatti, nonostante spaventato, stava violentemente coronando i suoi desideri più loschi. Mi ripresi in poco tempo, mentre lui si puliva la faccia dalla sborra.
  • È parecchio che non mi inculano, - gli dissi, - riesci a intostare? – intanto glielo presi in mano, spostando la mutanda da femmina, lo stridio tra i due “elementi” mi eccitò non poco. Aveva il cazzo barzotto, sembrava una grossa salsiccia, e lo sentii rispondere allo stimolo delle mie dita.
  • Ok, adesso spostiamoci sul sedile di dietro... ce l’hai il preservativo?
  • Sì, padrone, - disse – ma se lo desideri... guarda che anche io sono sanissimo; non ho mai avuto questo tipo di rapporti con un uomo; dal vero intendo.
  • Quindi? Che vuoi fare mi vuoi inculare, o no?
  • Se ci riesco sì, padrone. Non è nella mia natura ma mi fa felice fare ciò che ti piace. Il pompino e la bevuta di sperma lo avevano “ammorbidito”. Non c’era nessuno nella radura. Passammo sul sedile di dietro ed io mi misi a pecora, aspettando che lui trovasse la forza di indurirlo al punto di entrare nel mio ano. L’attesa di essere impalato era snervante ma eccitantissima; pregavo tra me e me che non gli venisse moscio. Onestamente mi rese gaudente sentirlo accostarsi lle mie chiappe, dopo qualche minuto che si masturbava.
  • Vuoi che ti faccia il pompino? – chiesi?
  • No, no, ce la faccio. Si è intostato bene, e tu hai un culo meraviglioso, padrone. Come devo fare? Mi guidi tu?
  • Nessuna guida, schiava, mi piacciono le maniere rudi. Bagnami un po’ con la saliva e poi ficcalo tutto dentro; non ti preoccupare anche se mi fai male... mi piace; lo desidero da troppo tempo. Dai, renditi utile, fammi godere. A lui tutto questo dovette piacere. Mi rese felice il fatto che si chinò sulle mie natiche e mi baciò lo sfintere, posandoci un po’ di sputo. Poi lo sentii armeggiare. Mi poggiò la capocchia sul buco...
  • E qui? – disse.
  • Sì, - dissi, - penetra, presto. – Tutta quella pantomima aveva fatto crescere in me il desiderio sopito di essere sfondato. Per fortuna la cosa doveva eccitare anche lui, perché il suo cazzo era diventato quasi il doppio, me ne accorsi tastandolo da sotto il bacino, mentre cercavo di capire come stavano le cose. Senza discussioni ulteriori, quello spinse e il nerbo penetrò nella mia carne. Mi sentii letteralmente spaccare il culo, proprio come la prima volta, tanti anni fa. Il bruciore era stato potente: - Fermati, - gli dissi – esci un attimo piano piano. Obbedì e si ritirò, fino a quando un delicato “plop” ci fece capire che il mio culetto era di nuovo libero. Restammo un paio di minuti bloccati, mentre io aspettavo che passasse il dolore, con la speranza che un secondo colpo sarebbe stato meno dilaniante del primo. Lui era eccitatissimo; mi voltai un poco e me lo feci mettere in bocca, per non farlo ammosciare, ma anche per assaggiarlo. Devo dire che il suo cazzo non mi dispiacque affatto, anche lo scroto, scuro, grosso e carnoso era una attrattiva per baci e succhiate, ma adesso era tempo di prenderlo nel culo.
  • Prova a fottermi adesso, - dissi arrapato. Quello con delicatezza e decisione si rimise in posizione e mi penetrò per la seconda volta; ora il dolore era quasi sparito ma il piacere era a 1000! Quello che mi piaceva e mi spaventava è che quelo porco non conosceva le mezze misure, per lui c’erano solo due punti dell’oscillazione per inculare, tutto fuori e poi, tutto dietro, fino ai coglioni. Insomma, mi riapriva tutto, ogni santa botta, rimettendoci dentro il glande e poi tutto il palo, fino in fondo. Questo scivolare mi rendeva pazzo; quasi sbavavo per la goduria della sottomissione. Non dovevo dirgli nulla... mugolavo felice, con la testa che mi girava: godevo nel lascia r fare tutto a lui. Non lo immaginavo così capace e resistente, tant’è che dovetti fermarlo io.
  • Devo smettere, - disse apprensivo?
  • No, no, cambiamo solo un po’ posizione... A saperlo che duravi tanto mi mettevo un po’ di lubrificante... Visto che non c’era anima viva, scendemmo dall’auto; girai, aprii il portellone per difenderci da sguardi indiscreti e mi rimisi a pecora, stavolta in piedi.
  • Bagnami prima, - dissi. Lui lo fece come prima, leccata e saliva, e poi mi fu subito dentro, di nuovo. Dopo altri 10 minuti di inculata costante e completa, raggiunsi la “pace dei sensi”, cioè quel piacere infinito di fare solo da buco al cazzo del maschio. L’avevo già provato qualche volta in gioventù, sempre dopo un lungo periodo di penetrazione continua. Il mio godimento non era più orgasmico ma femmineo; non mi interessava “arrivare” mi faceva godere l’essere fatto, trapanato come una femmina. Lui si eccitava sempre più. Abbandonato il suo essere femmineo, ora che il mio culo lo arrapava, iniziò a bistrattarmi: mi prese per il bacino e mi strattonò, per aiutare il suo cazzo,che ormai era una verga notevolissima e tesa, a ficcare fino all’estremo. Ormai le sue botte al culo erano diventate rumorose come una schiaffo e potenti, il suo grosso scroto, come un pendaglio oscillava e colpiva le mie palle, offrendomi piacere e disagio, come non mai. Non contavo più nulla, bene e male, dolore e piacere si mischiavano... ero sensibilissimo e compresi che di li a poco si sarebbe scaricato nel mio culo. Così fu! I suoi colpi divenne ro sconnessi, non più cadenzati, infine mi ssi bloccò nell’ano, sollevandosi stizzito sulle punte per sgorgare sperma bollente in fondo all’intestino. Le sue tremolanti vibrazioni, ora pregna di succo, riuscivano a darmi più intenso piacere degli affondo, lunghi e goduriosi, che mi aveva affibbiato poco prima. Lo lascia sfogare, felice di fargli da femmina. Si trattenne a lungo nel mio corpo, spossato ma soddisfatto. Quando mi usci lentamente da dietro ero sconquassato. Restai in posizione godendomi il rimescolio del suo sperma in corpo, fino a quando, parzialmente iniziò colare dal buco mio, fradicio della sua eiaculazione. Aveva il cazzo ancora un po’ duro e tutto sporco, mi voltai di poco e glielo lavai prendendolo in bocca. Ci sedemmo in macchina per riposare un po’.
  • Non me lo aspettavo che andasse così, sai? – disse dopo qualche minuto.
  • No?
  • Ero abbastanza terrorizzato del contrario...
  • Cioè?
  • Che tu mi avresti sodomizzato... e giuro che per me sarebbe la prima volta.
  • Capito... e tu? Lo avevi mai messo nel culo ad un uomo?
  • Mai... solo qualche volta, raramente, e solo a mia moglie. Tanto tempo fa, ed è da allora che sono cambiato.
  • In che senso?
  • Dopo che lo prese in culo, mi resi conto che lei non aveva mai goduto così tanto. Lo facemmo altre volte... e mi incantava vedere quella scena: il suo culone chiaro con in mezzo la mia verga che la sfondava. Con gli anni ci allontanammo e i rapporti si diradarono, mentre io sentivo montare in me la voglia di essere femminile e schiava; non solo, anche il desiderio di prendere il posto di mia moglie, mentre qualcuno mi apriva il culo.
  • Beh, cara puttana mia, non è mica finita qui? Cosa credi, io devo ancora sburrare...
  • Ma, veramente si è fatto molto tardi, se non ti spiace io andrei...
  • Padrone!
  • Non ... non ho capito...?
  • Mi devi chiamare padrone, lo hai dimenticato?
  • Ma, veramente... non te la presnere ma mi pare tutto così strano, e ora...
  • E ora, un cazzo! Credi davvero che per il fatto di avermi inculato i nostri ruoli siano cambiati? Forse non ti è chiaro, ma tu rimani la MIA puttana. Io ho semplicemente usato il tuo cazzo per darmi piacere, ma tu resti la mia schiava, capisci? Lui era molto confuso ma per fortuna, grazie al mio carattere volitivo e alla sua naturale meschinità erotica, riuscii a riprendere le redini. Avevo goduto, avevo ottenuto ciò che desideravo, e onestamente era andata meglio di quanto avessi creduto; non mi sarei aspettato che quell’essere titubante e schivo avrebbe tirato fuori tanta grinta e un cazzo tanto duro e resistente. In realtà mi aveva sfibrato a furia di chiavarmi... ma la mia rabbia non era paga! Per mesi avevamo giocato al gatto e al topo; per quasi un anno mi aveva sfidato, prima dicendo di essere pronta per obbedire e soddisfarmi in ogni modo, per poi sciogliersi da ogni vincolo come fumo impalpabile.
  • Vienimi sotto tu, adesso, devo sborrarti nel culo a mia volta, marcarti col mio seme.
  • Ma... senza preservativo? Guarda che davvero ho fretta... non mi farai male? magari la prossima vol...
  • Hai rotto il cazzo! – lo strattonai fuori dall’auto; come prima, lo condussi dietro al portellone, ma stavolta fu lui a doversi chinare. Gli abbassai io stesso i calzoni, spostai il perizoma e solo con un po’ di saliva gli umettai il buco, che era veramente stretto. La mia rabbia mi fece intostare di brutto, inoltre avevo preso qualcosa per essere sicuro di spaccargli il culo... e così feci. Senza cerimonie lo profanai! La vecchia troia arrancò impreparata, sia alla spinta che al dolore. Scartò in avanti e cadde afaccia in giù, quasi steso nel bagagliaio... ed io con lui. Non mollai, continuai a tenergli il cazzo nel culo e a scoparlo selvaggiamente. Lo sfondai fino a quando non si calmò, si rilassò e divenne più accessibile ai colpi del mio pesce! Quando compresi che iniziava a godere della situazione, quando si arrese ritrovando quella parte di sé, schiava, sottomessa e femminella, mi calmai.
  • E adesso un po’ di punizione, per stabilire chi comanda e che tu sei la mia sachiava puttana! Lui, una vota rotto in culo, aveva abbassato ogni difesa; ora doveva sembrargli un sogno che diventa realtà:
  • Sì padrone, - disse, - voglio essere tua. Prendi ancora il mio culo... fammi tua.
  • Non basta, - dissi io, - hai troppo disobbedito, sei stata una puttana indisponente... ricordi. Scivolai fuori da suo culo e lo aiutai a rimettersi in piedi, sempre a 90 gradi. Proprio nel cofano tenevo la bacchetta flessibile, di robustissimo bambù. Lui neanche capì bene cosa lo aspettava, infatti si contorse sulla pancia, piegando la gamba dal dolore, fin dalla prima scudisciata. Lanciò un grido di dolore e capii che avrebbe voluto sfuggire, ma io, spietato, colpii ancora più forte dietro le ginocchia, in modo d farlo piegare. Ora il suo culo “a poppa” era ancora più in mostra; rapidamente gli calai il perizoma, lo volevo nudo del tutto, e lo fustigai con violenza altre 3 volte. Lunghe strisce rosse si formarono immediatamente sulle sue pacche mollicce. Gli misi la mano tra le gambe e gli afferrai il pacco con l’uccello e lo scroto, tirandolo verso dietro. Quando la carne scura sbucò tra le gambe bianchicce, gliele strinsi con le mani.
  • Resta così, troia, stringi le cosce! Lui era stato evidentemente travolto dagli eventi... non ci si raccapezzava più: il dolore offendeva la sua carne ma la sua parte sottomessa accettava con desiderio il burbero trattamento, era confuso, arrapato e terrorizzato al tempo stesso. Con chirurgica precisione lo colpii con un potente scudisciata sotto i glutei; in questo modo gli spaccai lo scroto e il cazzo, lui quasi venne meno dal dolore. Ormai era la mia vittima, non avrebbe avuto neppure la forza per sfuggire.
  • Allora, puttanella di strada, chi comanda?
  • Tu... tu... – e la sua voce era rotta dal pianto.
  • Tu, tu, cosa? Come si dice?
  • Tu, padrone.
  • Brava zoccola, vedo che finalmente cominci a capire! E giù una altra violenta frustata. Lui, mezzo dentro e mezzo fuori dall’auto, si contorceva in modo sconnesso, ma io colpii ancora e fortissimo. Ora piangeva con i singhiozzi. Sulle sue gambe e le sue chiappe i segni da rossi diventavano bruni. In vari punti stille di sangue iniziarono a macchiare la mia verga.
  • E cosa farai, merda, la prossima volta che ti dico di venire subito da me?
  • Corro... - disse tra gli spasmi – obbedisco subito.
  • Finalmente ci capiamo, visto zoccoletta! Lo tirai fuori dalla macchina, lo trascinai per terra ma lui non ci provava neppure a mettersi in piedi.
  • E dimmi puttana ... sparisci più? Ti permetti mai più di non farti trovare dal padrone?
  • No, no, mai più padrone... pietà: mi stai massacrando. Ma io ero ormai fuori di testa, quella viscida merda umana mi aveva portato “in giro” per troppo tempo. Continuai a colpire forte, sulla pancia, sulle natiche, sui fianchi, man mano che si contorceva per il dolore delle botte. Lo colpivo perché lo odiavo... mi ricordava quei ragazzini vigliacchi dell’infanzia, quelli che non avevano il coraggio di affrontarti a viso aperto, ma nemmeno rinunciavano a cercare il momento per cercare di fotterti. Gli stronzi trovavano sempre l’adulto che passava al momento giusto, o la protezione di un genitore e la facevano franca. Quando era semisvenuto mi venne una gran voglia di approfittarne, mi stesi su di lui, come uno zingaro arrapato e mi presi di nuovo il suo culo, chiavandolo selvaggiamente. Quando stavo sborrando lo tirai fuori, in modo da potergli speramare anche sulle natiche insanguinate. In un ultimo impeto di collera e disgusto, gli assestati un paio di calci nei fianchi.
  • E non farti sentire mai più, pezzo di merda. Ecco tutto, Giovanna, l’ho lasciato lì dov’era... Non so se vivo o morto. Mi spiace dirlo: ho sbagliato, mi sono confessato, ma non sono pentito.

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