Il respiro di Stefano è troppo profondo per il piccolo bagno in cui è rinchiuso da oltre mezz’ora, l’aria comincia a mancare, è satura di fiato, di odore di sesso. La schiena appoggiata al muro, i pantaloni arricciati intorno ai polpacci come tende cadute, i boxer appena abbassati a liberare quello che serve, quello che basta per far svanire poco a poco la rabbia che ha dentro. La camicia è sudata sul petto, ogni tanto un lembo si impiglia sul prepuzio e dà un piccolo strappo, interrompe il ritmo della mano con un dolore improvviso. Allora Stefano si stacca dal muro, allarga un poco i piedi sulle piastrelle anni sessanta, scrocchia la spina dorsale, ritrova la posizione addossata alla parete. La mano riprende a scivolare, controllata, progressiva. Dietro agli occhi chiusi le immagini di poco fa, nell’ufficio della dirigente. Lui seduto nella poltroncina di pelle, e al di là di una sterminata scrivania lo sguardo glaciale della dottoressa Cicconi, i suoi occhiali da miope, la camicetta così abbottonata da spegnere ogni fantasia. E la Cicconi che parla, monotona, inarrestabile, chirurgica, di colpe, responsabilità, standard aziendali, protocolli da seguire senza deviazioni. E la rabbia che sale, si fa spazio nel petto, dilaga nelle venuzze del viso, poi implode nel cazzo. E Stefano sa che la Cicconi ha sbagliato persona, che quelle parole andrebbero girate dritte dritte all’Orfei, quella stronza che gli hanno affiancato nel nuovo progetto. Ma la Cicconi è un treno, non sentirebbe ragioni. Allora Stefano oppone silenzio alle grida, si fa cazzo per non farsi prendere dall’ira. Si rannicchia nella mente e lì, senza più freni, scopa la Cicconi con violenza sulla scrivania smisurata, la sbatte di colpi facendo tremare il tavolo e vibrare le penne. La sente stringersi nei primi spasmi dell’orgasmo. E allora si ferma. «Può andare ora, credo sia tutto», sta dicendo la dirigente.
E Stefano va, senza voltarsi alle spalle. Entra diretto nel bagno delle donne, quello che usano ogni giorno la Cicconi e le sue collaboratrici. Ci vanno a pisciare, a cambiarsi gli assorbenti, scommetto che se apro il coperchio della pattumiera ne trovo almeno un paio arrotolati. Ci vanno a rifarsi il trucco da troie. Chiude a chiave la porta e si lascia cadere con la schiena al muro. Il cazzo è già duro di rabbia.
Quanti uomini ci sono intorno a Sheila? A quattro zampe su un tappeto consunto inarca il bacino mentre un ragazzo muscoloso e depilato la penetra in una posizione innaturale, scaricando il peso su due mani tozze che le stringono i fianchi sottili. Un secondo le tiene la nuca e si spinge in fondo alla gola, estorcendole una smorfia di dolore. Si sente soffocare, Sheila, con un cazzo infilato come la spada nella roccia? Cola lacrime e saliva, mentre cerca di accordare il movimento del bacino con quello della testa. In un angolo un terzo candidato al corpo della ragazza mantiene in vita una stanca erezione.
Se entra la mamma qui scoppia un casino, mi leva il computer e mi fa una scenata. E poi devo sopportare quel suo imbarazzo che è più pesante di una punizione. Poi lo dice al papà, ma tanto lui è in ufficio fino a tardi, e quando torna non ha certo voglia di discutere. Tommaso stacca per un attimo la mano dal pene. E’ sudata, appiccicosa di quel liquidino che cola sul glande quando ti masturbi troppo a lungo e che fa una schiumetta bianca intorno alla pelle. La poggia sul mouse e clicca un link subito sotto a Sheila che ora è in ginocchio e ha la faccia coperta di sperma.
Ci sono due ragazze, adesso, si accarezzano piano le tette. Troppo piano, Tommaso si annoia, scorre un po’ avanti per vedere se succede qualcosa. Al quarto minuto la biondina sta sfilando le mutandine all’amica. Troppo piano. Click. Gli occhi della milf si chiudono appena intuisce lo schizzo in arrivo, le disegna un fulmine tra fronte e capelli, sorride sforzandosi di sembrare contenta e sfuma in dissolvenza su una negra che offre una lingua mostruosamente lunga e rosea, lo schizzo colpisce la guancia e si staglia sul nero della pelle.
Se entra la mamma…
Tommaso si tocca con studiata lentezza, si tiene in bilico come un equilibrista sul filo del piacere. Raggiunge un orgasmo diffuso che gli lascia un sapore di dolce in bocca. Quest’estate, quando i suoi erano in vacanza, è rimasto così per oltre tre ore, ipnotizzato dal video, incapace di smettere, con la paura di godere per fermare la magia. Tommaso scopa Sheila, viene in faccia alla bionda, disegna con il suo seme sulla faccia della negra, sodomizza una ragazzina urlante a cui ha appena consegnato la pizza. E’ un cazzo d’acciaio, può continuare all’infinito. Può scoparsi tutte le donne che vuole, scegliere la taglia, il colore della pelle, dei capelli, la forma della fica. Non come Anna, con cui ha fatto l’amore per la prima volta il mese scorso. Anna che non grida quando gode, che non fa le posizioni. Anna che gli dice “toccami un po’ più in alto. Fai i circolini”, come se lui avesse bisogno di lezioni. Anna che non lo fa venire in bocca perché “le fa schifo il sapore, ma soprattutto l’odore”. Anna che lo ama ma non lo sa scopare.
C’è puzza di disinfettante nell’aria. E una luce troppo azzurra, troppo fredda che rimbalza sulle pareti bianche di formica. Come si fa a masturbarsi così?, pensa Giuseppe, con il pisello moscio tra le mani. Sullo sgabello un giornaletto stropicciato. Esistono ancora, i giornaletti?, si chiede. E con la mente ritorna ragazzo, quando scambiava “Le Ore” con Pellegatta nell’intervallo di scuola. Tornava a casa con la cartella che scottava per la merce proibita che conteneva. Poi la nascondeva nella libreria, in una cartelletta blu con scritto sopra “Giuseppe – Disegni”. Quelle sì che erano seghe, allegre, sorprendenti, un piacere rubato con il gusto del proibito. Ma anche così naturale e spontaneo da farle sembrare un gioco. Erano seghe basic, senza altre esigenze se non quella di dare corpo a fantasie elementari: la compagna di classe che usciva già coi più grandi, la vicina di cui respiravi il profumo in ascensore, la Gloriaguida di turno intravista in un film.
Giuseppe sente il sangue affluire. Suda freddo nella schiena e sulle natiche, il sudore nervoso di quando si cerca di godere per forza. Pensa a Maria, lì fuori, seduta sulla panca di metallo. A Maria che per prima non voleva che finisse così, che forse ora arrossisce a pensarlo in piedi, mezzo nudo, a menarselo in un gabbiottino di formica bianca.
“Arrivo tra poco ho fatto tardi in ufficio”. Coniglio, Lorenzo, che mette tranquilla la moglie con un sms e intanto accosta nella piazzuola della tangenziale. Il traffico è un fiume di luce che gli romba accanto. Per ogni camion che passa, l’onda d’aria scuote l’auto, la fa beccheggiare, aggiunge un ritmo nuovo alla mano appoggiata sui pantaloni, ancora abbottonati. «Dimmi cosa mi faresti». Chiude gli occhi, Lorenzo, mentre Daniela gli parla lenta nell’auricolare. Gli farebbe le cose di cui gli ha scritto tutto il giorno. Decine di mail, sempre più calde, sempre più esplicite. E gli occhi arrossati avvitati allo schermo, a mangiare parole, a trasformarle in immagini oscene.
«Ti stai toccando?».
Forse si sta masturbando, Daniela. O forse fa solo finta, è ancora in ufficio, ormai sola, senza che nessuno possa sentirla. Comunque dice “sì”, e dice anche come, dove infila le dita, scostando appena l’elastico del perizoma. Che poi indossi le mutande cotonella con l’elastico alto e la scritta in azzurro, poco importa a Lorenzo che ha sbottonato i pantaloni e si accarezza piano, con gli occhi chiusi per non pensare allo squallore di questa piazzuola, e ai camion che passano, e alla gente che torna a casa per cena. Una cena lo aspetta, anche a lui. Ma non può tornare così, con questa voglia in corpo, e baciare un’altra donna e magari farci l’amore stasera, entrare dentro di lei mentre la testa è rimasta dentro a Daniela.
«Sei bagnata?».
E’ bagnata, Daniela. Bagnata di voglia. Bagnata di attesa di un gioco virtuale con un uomo che non ha mai visto in viso. E dice “lo sono”, pensando che stasera uscirà con Francesco, porterà nelle gambe la voglia di un corpo da toccare, di un fiato, uno sguardo, di un profumo. Soprattutto il profumo, pensa Daniela. E si sente annoiata di questo gioco stirato. Vorrebbe che Lorenzo godesse in fretta, con quel rantolo profondo che la turbava tanto i primi tempi in cui si eccitavano insieme al telefono. E intanto chiude la borsa, facendo attenzione a non far sentire il clicchettio della cerniera.
«Sto per godere, Lore, non ce la faccio più…». «…». «Sborra, ora».
Infila il cappotto, con attenzione e lentezza, quasi al ralenti. Intanto sente il respiro dell’uomo farsi più cupo, è come se tramontasse oltre la collina dei loro desideri. Prende le chiavi dalla scrivania, spegne la luce.
C’è solo la luce blu della radiosveglia che si riflette sui vetri della finestra della camera da letto. E non importa che ora segna, perché il tempo si è fermato e per spingere avanti la notte basta quel bicchiere di vino rosso sul comodino, e il silenzio, e il pensiero. E’ tornato da un viaggio, Matteo. L’odore di casa lo ha abbracciato come una donna. Ha posato la borsa in entrata; domani, domani c’è tempo per disfarla. Nessuno si lamenterà del disordine. Lascia cadere i vestiti ai piedi del letto. Torna in cucina ad accendere il bruciatore della caldaia e ne approfitta per aprire una bottiglia di Nebbiolo e versarsi un bicchiere. Di nuovo in camera, beve un sorso, appoggia il calice sul comodino, entra in bagno e apre l’acqua della doccia.
Non è una doccia, è un battesimo quello che riceve. Alza il viso verso lo scroscio d’acqua, lo sente schizzare in fronte, scivolare addosso, lavare via la stanchezza e i ricordi. Il caldo del vapore risuscita dalla sua pelle i profumi. Il suo profumo. Nadia. La sua attenta gentilezza. Il bacio sulla porta di casa, con il motore dell’Audi già acceso. «Ci vediamo venerdì prossimo». I peli del petto frenano le gocce, che si compattano tra loro e poi riprendono a scorrere lungo la pancia, il pene. Non si tocca, adesso, Matteo. Altre volte lo ha fatto, gli piace sentire il caldo della doccia sulla sua erezione. L’aria satura di vapore che rende difficile il respiro. Mischiare lo schizzo di piacere a quello di acqua, vedere lo sperma agglutinarsi in piccoli serpentelli bianchi che scivolano nel vortice dello scarico. Poi restare a lungo sotto il getto, fino a quando il respiro è tornato normale. Stringere la cappella con due dita e far uscire anche l’ultima goccia di seme. Allora insaponarsi di nuovo, e uscire pulito e disteso dal bagno, coccolato dall’accappatoio.
Oggi invece battezza una vita che riparte. Lava via i vecchi rancori, il divorzio, le ferite. Adesso c’è Nadia. E’ presto per dire cosa sarà di loro, e c’è la distanza, la differenza di età, la fatica di rimettersi in gioco a cinquant’anni. Ma quella che scorre ora nelle vene blu che sembrano voler uscire dalla pelle arrossata, quella Matteo la conosce: è vita. E’ sapere che venerdì prenderà ancora l’auto e guiderà fino ad Arezzo, per Nadia. Ma anche per se stesso.
Chiude il miscelatore. Si lascia abbracciare dall’accappatoio. Si asciuga senza fretta, con cura, anche i capelli, con il phon tiepido. Appende l’accappatoio al calorifero del bagno e, nudo, si infila sotto le lenzuola per conservare il tepore della doccia, anche se sa che tra poco dovrà scostarle.
Le gambe tremano. Battono i tacchi sulle piastrelle marroni. Stefano strizza gli occhi mentre sente l’asta vibrare. Si strizzano le palle, esattamente come gli occhi. Sussulta. Vorrebbe gridare, ma si morde le labbra. Si sfoga senza guardarsi godere, lasciando una ferita di sperma sul pavimento del bagno della dottoressa Cicconi. Si sente in pace, adesso. Può tornare in ufficio. In quello stesso momento, suo figlio Tommaso si arrende. Non è per la mamma che potrebbe tornare da un momento all’altro, e nemmeno per Anna che stasera forse non si accorgerà di quel pisello arrossato, o semplicemente non domanderà nulla perché non saprebbe come farlo. E’ colpa di Sheila, e delle due finte lesbiche e di quella compilation di schizzi. Si viene in mano, Tommaso, senza ricordarsi di preparare un fazzoletto e il piacere è rovinato dalla preoccupazione di non fare disastri davanti al computer. Non è nemmeno piacere, è una specie di liberazione. E’ come tirare lo sciacquone del cervello e far scivolare via il porno. Nella pozzetta chiara che cerca di non far colare dal palmo, Tommaso ha raccolto Sheila e tutte le sue finte amichette. Il video continua a scorrere, inutile. Adesso può chiamare Anna e mettersi d’accordo per stasera. Andranno a cena in quella pizzeria dove l’ha portata la prima volta, lei prenderà una margherita, lui un calzone farcito. «Stasera mi faccio portare fuori a cena», sta pensando Maria. Alza lo sguardo: ha riconosciuto il passo del suo Giuseppe che risale il corridoio rosso in volto, imbarazzato per la provetta che stringe nella mano come un piccolo trofeo. «Stavolta ce la facciamo», pensa Maria, e si aggrappa a Giuseppe, e stringe tra loro il flaconcino di seme, quel figlio che forse nascerà senza fare l’amore e che un giorno abbracceranno davvero. Poi lo consegna all’infermiera. E salgono in auto e tornano veloci verso casa, sfrecciando in un serpente di luci sulla tangenziale che ora si sta svuotando. Passano accanto a una Mercedes ferma sulla piazzuola. I vetri appannati come la mente di Lorenzo, che socchiude solo un poco la portiera, lascia cadere sull’asfalto un fazzoletto bagnato di sperma, freddo come la giornata di oggi. Come il cuore di Lorenzo, che rimette in moto l’auto e ritorna dalla moglie e dai figli, anche oggi in ritardo per cena. E nell’appartamento di fianco, silenzioso e buio, Matteo si sta masturbando felice. Ha scostato il lenzuolo e si accarezza senza fretta, massaggiando le cosce, accarezzando le palle. Inumidisce i polpastrelli e gioca con un capezzolo, sentendolo indurire, lo strizza, poi scende ancora sulla pancia. Allarga le cosce, svuota il petto del fiato quando sente il piacere arrivare, attraversare la schiena e scaricarsi come un fulmine nel sesso. Ferma la mano, lascia che l’orgasmo segua il suo corso. C’è solo la luce blu della radiosveglia che si riflette sui vetri della finestra della camera da letto. E non importa che ora segna, perché il tempo si è fermato e per spingere avanti la notte basta quel bicchiere di vino rosso sul comodino, e il silenzio, e il pensiero di Nadia che rivedrà venerdì. E lo schizzo scrive qualcosa sul lenzuolo del letto. Parole che Matteo non sa decifrare, in una lingua nuova che adesso dovrà imparare.
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