Mio marito mi possiede col vecchio

  • Scritto da Giovannaesse il 21/09/2021 - 12:30
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Sono le 16,30 di un classico venerdì di fine autunno. Naturalmente pioviggina, e la pioggia, invece di ispirarmi scene bucoliche e pomeriggi romantici, mi ricorda che sta là fuori, pronta, in agguato. Pozzanghere, freddo, schizzi fangosi dalle ruote degli automobilisti villani e strafottenti. Folate di vento, che arrivano improvvise, ti aggrediscono e ti spezzano l’ombrello rendendolo inservibile.

Siamo nel mio ufficio; settimo piano; un salone squallido e deprimente… definito, con fantasia: Open Office. Nella realtà: un Lager.

Siamo in piccole celle basse, biposto, saremo una quarantina, stipati come api in un alveare… c’è la crisi! Una crisi inventata che permette agli “squali” di imbrogliare e di approfittarne senza scrupoli, speculando sui loro stessi, madornali errori… ennesima “camorra”, di tutte le mille associazioni a delinquere, di cui, le più pericolose, sono quelle istituzionali: Banca Generale, Equitalia, Politica…

– Porco! Puttaniere… merda… ti rovino! – è la mia vicina “di banco”, Silvana, che minaccia qualcuno dal telefonino, è concitata e rossa dalla rabbia. La poverina non può alzare troppo la voce, quindi è ancora più incazzata e suda per il parossismo. Di sicuro litiga, per l’ennesima volta, con Alfio, suo marito.

Fare educatamente finta di tapparsi le orecchie non servirà… poco dopo, mi assale per l’ennesima volta, con la stessa, patetica storia, una delle tante.

– Quel porco! E’ solo il primo mese che siamo separati e già non mi vuol dare i soldi… cane! – Ora che si è lasciata un po’ andare, piange sommessamente. – Però sai dov’era, adesso? La merda era in macchina con la puttana extracomunitaria: stanno raggiungendo la Puglia per il week end… Porco e Puttana, insieme… – si soffia il naso rosso – ed io e i ragazzi a casa, senza soldi. Problemi e sacrifici. Ah, no! Cambio avvocato… –

Che palle. Le storie come la sua non si contano più e la trafila è sempre la stessa. Io che le sono stata al fianco per quattro anni, so cosa ha passato e sta ancora passando. So pure che le colpe non sono solo di Alfio.

Quindici anni di matrimonio; casa attaccata ai genitori di lei; una suocera invasiva, onnipresente e Silvana, che dopo sei mesi di matrimonio, era ritornata a fare la teen ager. La madre pensava a tutto, il padre, pensionato, si occupava di ogni faccenda: il prezzo da pagare, però, era la perdita totale della loro privacy.

Dopo un anno di matrimonio, sperimentati tutti i giochi e passatempi di una coppia felice, mangiavano e bevevano sempre dai suoceri, trascorrevano i week end insieme, fuori. Era come vivere in vacanza: il paese di Bengodi. però… nessun progetto comune, nessuna lotta, nessuna conquista.

Durante il secondo anno arrivò il primo figlio, poi il secondo.

La suocera definì tutti i ruoli, gli impegni e le responsabilità.

Fine della vita di coppia e del divertimento.

Silvana nel tempo libero a cazzeggiare con le amiche, la partitina, la cena… i regali di Natale, il Battesimo di Tale…

Dopo dieci anni, non si faceva mancare nemmeno qualche corteggiatore. Non saprei fin dove si era spinta ma di certo le piaceva giocare, come a tutte, del resto.

E Alfio? Relegato sul divano a guardare le partite, a cambiare i-Pod, a scegliere il SUV: il più grosso al minor prezzo!

Alle prime crisi, il loro rapporto già logorato dalla noia e dalla sopportazione, s’incrina definitivamente e… sorpresa: quando, Silvana si accorge che il marito se la intendeva con una russa che faceva le pulizie part-time, scoppia lo scandalo, la tragedia.

Ora, andare in escandescenza perché un uomo di trentotto anni cerca di fare all’amore, mi sembra anche un po’ stupido, se non ipocrita. Sapevo perfettamente che i rapporti matrimoniali erano stati sempre più sporadici, senza passione e noiosi, fino a che lei confessò di non provare più niente, fisicamente e che lui, non la cercava più.

Eppure… questo non rappresentò un campanello d’allarme ma un ulteriore elemento di distacco: Alfio veniva sempre più relegato e la sua presenza in casa divenne del tutto indifferente per la moglie, in tutt’altre faccende affaccendata: casa, lavoro, pettegolezzi e Facebook.

Ma qui comincia il mio dramma: Silvana rompe le scatole a me, a me che non posso nemmeno mandarla a cagare, renderei ancora più astiosa e pesante l’atmosfera, in quel carcere sovraffollato e puzzolente dell’ufficio.

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Sono le cinque: via!

Non mi aspetta il paradiso, fuori, ma almeno mi libero dalla voce lagnosa della collega.

M’infagotto, come al solito: abbigliamento anti-sommossa.

Stivali bassi, sicuramente di plastica, cinesi, che resistono a tutto. Collant pesanti sotto il jeans aderente, unica concessione alla mia femminilità, compressa e repressa.

Il mio bel culo è da sempre oggetto delle dissertazioni dei colleghi più maliziosi e, nonostante i maglioni da militare, non potevo nascondere la quarta abbondante di seno: anche in quel caso i commenti si sprecavano.

Metto il giaccone nero, la borsa a tracolla. Scivolo fuori; seguo l’onda di impiegati che straripano dal palazzo.

Ad aspettarmi, solo la pioggia. Saluti frettolosi, qualche ciao, il coglione di turno che ci prova:

– Ciao cara… un passaggio? Un massaggio? Ah ah… – lascia con piacere che lo mandi “affanculo”, tanto già lo sa che finisce così.

Attraverso i pochi isolati che mi separano dalla stazione degli autobus, sempre più sola, temo, come al solito, di essere aggredita; il pericolo di poter passare un guaio per pochi euro è sempre in agguato nella grande città degradata.

La solitudine temporanea viene compensata, pochi attimi dopo, da un vero bagno di folla, anche troppa. Infatti, siamo in tanti: gli ombrelli s’incastrano, ci si spinge nella ressa per cercare di occupare un posto. Impossibile!

Ma non mi lamento, già è tanto trovare il mio bus, senza scioperi, guasti, ammutinamenti o cortei improvvisati. Intorno luci, stridori, traffico bloccato: la pioggia rende la gente più insofferente del solito.

Non vedo l’ora di tornare a casa: una settimana passata così è pesante, poi i mesi e i mesi che diventano anni, tristi, monotoni, bui.

Cerco il telefonino, metterei le cuffiette, almeno potrei ascoltare un po’ di musica: niente, ho dimenticato di caricarlo. In cuor mio spero che Dario, mio marito, non s’incazzi scoprendo che, come al solito, sono irraggiungibile.

Non è geloso, ma non tollera l’uso che faccio del cellulare.

– Cazzo, non capisco – diceva – ma ti rendi conto che se capita qualcosa, non posso avvisarti? –

Ma che ci posso fare? Proprio non riesco ad abituarmi, lo dimentico completamente.

Inutile cercare di leggere: il bus è talmente affollato che le mani non sono libere di muoversi. Tra frenate e sobbalzi, riusciamo, alla meglio, a raggiungere l’autostrada. Non saprò mai se un ragazzo cerca di tastarmi il culo o, se quel turgore che sento dietro, è il suo cazzo, eccitato. Forse è solo l’ombrello, penso. Sono troppo rassegnata e stanca per controllare o provare emozione.

Arrivo abbastanza tardi al capolinea, piove ancora… l’ombrello quasi inservibile.

Trovo, tra i fari, la macchina di Dario e mi ci infilo, quasi fradicia. Lui, è un po’ sul “nero”… lo è sempre quando deve incrociare mia madre, infatti so che poco prima ha portato la bambina dalla nonna.

Ci salutiamo con un bacetto freddo sulla guancia.

– Come al solito: hai il cellulare come optional… potevo venirti a prendere ma niente da fare! –

– Sei matto? – rispondo accomodante e, soprattutto, stanca – col traffico che c’era al centro non ne uscivi più… –

A casa mangiamo qualcosa.

TV sempre squallida, invedibile: solite stronzate, terrorismo psicologico, minacce, crisi.

Sorrido tra me con amarezza:

– Non ti suona strano? Questi banditi che si fottono milioni di euro e in pochi anni si piazzano in pensione con venti, trentamila euro al mese, sono “tanto” preoccupati… per la situazione economica. Molti di noi, che guadagniamo quanto loro spendono per il cane in un anno, potremmo vivere più tranquilli se ogni sera non ci minacciassero con le loro falsità.

Dario ascolta distratto, non risponde, grugnisce.

Avrei bisogno di una doccia ma prima sistemiamo la cucina. Controlliamo il rubinetto appena riparato… la lavastoviglie si è rotta e il tecnico non ha ancora nemmeno risposto al telefono. Preferisco soffrire ancora un po’ ma cercare di essere libera il giorno dopo… sabato. “Quel sabato”!

Il cuore aumenta impercettibilmente i battiti e le tempie pulsano… i miei umori si fanno caldi nel basso ventre. Verso mezzanotte, riesco a trascinarmi a letto…

Dario è quasi addormentato, spengo la luce e crollo vicino a lui, confortata solo dal pigiamone di pile, fucsia, un po’ sbiadito. Ai piedi un paio di “robusti” calzettoni grigi… quella giornata, una come tante, era passata, finalmente!

3

Una delle piccole sorelle si stacca dal gruppo delle Fate Campanelle, dai vestitini succinti di mille, delicati, colori. I veli trasparenti non coprivano le forme deliziose delle piccole, aggraziate creature. Lo spazio intorno a loro era luminoso all’inverosimile e tinto di rosa. La fatina aveva in mano una bacchetta troppo spessa per la sua manina, eppure riusciva a sostenerla. Aveva piccole ali, da farfalla, rubate di certo ad un libro di fiabe infantili… Ma la fata era impertinente: Svolazzava intorno a me e con la bacchetta mi toccava sempre nei punti più eccitabili. Mi picchiettava sui capezzoli, ad esempio, e insisteva, finché non riusciva a inturgidirli. Lo stesso bacchettare ripetuto, lo rivolse poi al mio monte di venere… e spingeva, e frugava: doveva essere proprio una stronza, come Fata.

Riprendo lentamente conoscenza… la fata svanisce, ma il suo posto viene preso dalla mano di Dario che si intrufola tra le mie cosce, dopo essersi fatto strada nei pantaloni del pigiama.

Languidamente socchiudo gli occhi, la luce esterna mi avverte che l’alba è passata da poco; il primo sole, con le sue dita rosee, sta tamburellando sulla barriera di tapparelle ancora abbassate. Gli uccellini, fuori, cinguettano al nuovo giorno… oppure, a un giorno nuovo?

La nostra stanza è calda e accogliente, Dario al mio fianco mi coccola, più amorevole e sensuale che mai. Quando percepisce che le sue carezze sono gradite, continua a cercarmi tra le lenzuola, toccandomi e massaggiandomi il corpo nei punti più eccitabili e intimi.

Mi sistemo sorniona sul materasso.

– Aspetta. – sussurro e raggiungo il bagno adiacente. Uno sguardo veloce allo specchio… meglio restare in penombra, mi dico!

Abbasso il pigiama, non ho le mutandine e nemmeno ci penso a metterle… faccio una lunga pipì rumorosa, so che lui sente lo scroscio della pioggia dorata… lui dice sempre che gli basta pensare che quell’acquazzone sgorga direttamente dalle mie grandi labbra per far sì che il cazzo divenga duro come una colonna di granito.

Mi lavo i denti rapidamente. Ci tengo a non avere cattivi odori durante l’intimità. Naturalmente non mi lavo la figa, so che gli piace giocare con i peli bagnati e sentire l’odore forte della mia urina sulla bocca.

Torno a letto ma, prima, il pigiama lo tolgo del tutto, resto nuda, con i soli calzettoni da bolscevico.

Dario aspetta, è veramente già eccitato:

– Buon giorno, Regina – dice allegro – oggi è sabato, ricordi? – Sorrido ammiccante… e come potrei dimenticarlo? Sono mesi che aspettiamo.

Mi stendo beata e lui si sistema al mio fianco, fa in modo che contro l’anca io senta la pressione decisa del suo membro duro.

Mi accarezza languido la pancia e i seni, aspetto che lo faccia… e infatti eccolo, a frugare con le dita tra i peli della vagina, pieni di gocce, se le porta alla bocca leccandole; fa schioccare la lingua per la piacevolezza del gusto dei miei sapori. S’avvicina, vuole baciarmi… pure io ho imparato ad “apprezzare”.

Quando mi eccito, gli odori penetranti del corpo, mi fanno andare su di giri… orina, sperma, smegma, acquisiscono tutti un profumo discinto, lascivo… estremamente intimo.

E le mie porcate, alla presenza di uno degli odori, mi tornano subito in mente quando sono tra la gente, chiusa nella mia corazza di indifferenza… “Sapessero” penso tra me, cosa ho preso in bocca e poi bevuto, stanotte…

Dario mi accarezza e mi rende languida, i miei pensieri mi fanno bagnare la vagina, anche se lui non me la sta toccando più… ora capisco il suo gioco.

Pian piano mi ha insegnato come fare a meno di lui… all’inizio non era facile, ma poi ho imparato a lasciarmi andare come fossi veramente e completamente sola… allora lui assiste, in diretta, alla mia masturbazione “segreta”, a cui nessuno potrebbe assistere mai.

Ecco, chiudo gli occhi e lascio scendere la mano sotto la pancia, come al solito; passo sulle grandi labbra rapidamente, ma raggiungo il buchetto del sedere, ne saggio la consistenza e la strettezza, mi concentro per rilassarmi e renderlo cedevole, poi ci affondo l’indice e il medio, nella loro interezza.

E’ come pigiare su un interruttore, premo e un campanello sale al cervello e mi arrapa, subito. Le dita mi affondano nell’ano mi sento subito più puttana, più disponibile.

E’ innegabile, quel culo cedevole, nasconde tante profonde pressioni che mio malgrado e contro ogni logica, mi sono sempre piaciute… anche le più violente, dolorose e crudeli. Mi hanno poi lasciato un ricordo eccitante, un segno indelebile.

Sussulto nel letto! Adesso mi sono penetrata anche davanti, lui lo capisce e mi carezza languidamente i capezzoli, inviperiti.

Ecco, ora sono pronta a masturbarmi con dolcezza e determinazione. La mano sale e, mettendola a coppa, mi contengo la vagina mentre, dalle grandi labbra, già fuoriesce una lieve umidità calda. Allora Dario, al settimo cielo, mi si avvicina ancora di più e comincia a sussurrare una storia che conosco già…

4

– E quindi, ti ecciti lo stesso? Non provi nessuna vergogna ad arrapare per una situazione così? –

Mi faccio rossa ma gongolo a sentirmi svergognare…

– Ti rendi conto, hai accettato la corte di uno che nemmeno sai com’è fatto? Un vecchio; ricordi la settimana scorsa, al telefono? Lo ha detto chiaro: per essere certo di avercelo duro prenderà del viagra. E tu, non contenta, me lo hai anche passato al telefono! Ti pare la cosa giusta da fare? Quello, dall’altro lato della cornetta dice di chiamarsi Francesco e che aveva fatto delle chat con te… per settimane, fino a quando con le tue parole lo hai indotto a masturbarsi! Non ti vergogni di avergli mandato le tue vere foto, intime… erano solo nostre, private, invece… ti sei infoiata come una cagna in calore e ti sei esibita per un estraneo.

Le ho viste le foto nelle mail: i seni… la vulva… le dita che aprivano la fessura. –

Intanto le mie dita mi lavoravano il clitoride, e spesso affondavano in figa. Piccole correnti di piacere mi attraversavano il corpo, mentre ogni tanto sussurravo un “Siiii!”, ammettendo ogni colpa davanti a mio marito.

Avrei tanto voluto essere chiavata, in quei momenti, ma sapevo che quello era solo il preludio, l’inizio di una giornata molto intensa.

– Francesco mi ha raccontato tutto, ricordi? E dava anche degli ordini: comandava! Ti impose di tenermelo in bocca, mentre parlavo con lui. Ed io chi sono, nessuno? Per metterlo a mia moglie devo aspettare che un altro me lo conceda? Non provi niente per tutto questo? –

“Cazzo!” penso mentre mi faccio sempre più calda “Cazzo, se “provo qualcosa”… ohhhh, sì che provo qualcosa, amore, provo la voglia di essere una puttana che prende cazzi alla rinfusa.”

Lui mi incalzava, vedendomi eccitatissima.

– Mi ha detto che tu volevi essere scopata da lui, e che io lo dovevo sapere, inoltre mi ha chiesto se te lo saresti fatto mettere indietro. Non sapevo che pensare, ho detto va bene, per me va bene, se per lei non ci sono problemi… puoi fartela!

Poi te l’ho chiesto, ricordi? Esplicitamente, mentre mi succhiavi l’uccello, che l’uomo al telefono, il vecchio, mi chiedeva il permesso di farti il culo… e tu, come una troia, non ti sei ribellata.

Poi Francesco chiese anche di telefonargli, voleva sentire i suoni intimi del nostro accoppiamento.

Così, lo facemmo. E tu niente…

Tu hai visto il suo cazzo in foto? Ti è piaciuto? –

In questi momenti mi è difficile gestire la voce ma riesco a dire sì, sibilando e sbuffando: il primo orgasmo di questo sabato sta per raggiungermi.

– E la telefonata? Che puttana; nemmeno allora hai provato nulla… nessuna remora, nessun senso di colpa.

Quello lì, ci ha fatto sentire tutti i particolari di come si smanettava il pene. Infatti, ascoltammo i battiti del cazzo sulla pancia, per quella sega dedicata a te. Volle sentire il suono della tua pompa, però, e tu… lo prendesti ancora più in fondo, facendogli sentire il rumore di come in certi momenti, ti soffocasse.

Sentendosi autorizzato dalla tua esibizione, senza mezzi termini, disse che avresti dovuto fargli lo stesso bocchino, davanti a me che guardavo impotente. Poi disse: “Adesso chiavala, dille di mettersi come una pecorella, io sono con voi; tra poco sborro… ho tutte le foto di tua moglie stampate, è una gran figa! Pensando che la chiavo io, adesso schizzo sulle foto… lei lo sa come faccio. Una volta, con la webcam, ha voluto vedere il pene che eruttava lo sperma. Non lo sapevi?”

Infatti, io non sapevo niente… tutte quelle porcherie dette e fatte me le hai confessate dopo, quando candidamente mi hai raccontato tutto… anche che desideravi che scopassimo in tre con quell’uomo mai visto. –

Sono tutta sudata, le dita, due, tre, affondano senza incontrare resistenza nella sorca bagnata, non riesco a rispondere, ho voglia di cazzo… raggiungo quello di Dario… ha la forma di un grosso fungo, con la cappella in evidenza. Lo prendo con la mano libera. Lo stringo nel pugno come se volessi strapparlo e infilarmelo dentro.

Sto per venire, Dario lo sente, non molla i capezzoli, ora, oltre a carezzarli, li succhia avidamente. La cosa che mi arrapa di più, è sapere che quel giorno ne avrò avuti ben due a disposizione, desiderosi di me, di affondarmi nelle parti intime. Wow… non ce la faccio a resistere, devo venire.

– Allora, sei mia moglie, o la puttana del vecchio? Che fai se vuole chiavare sul serio? Ti tiri indietro? Prima o poi lo tirerà fuori, ne sono certo, e vorrà depositare il suo sperma da qualche parte… dentro di te…

Che fai? Lo accogli? E io? Dovrò aspettare finché mugola di piacere, come un maiale…? Quei suoni da porco, come la settimana scorsa. Gli parlavi come se niente fosse, gli raccontavi dei colpi che prendevi… appena gli dicesti che lo avevo estratto per venirti sul culo, impazzi! lo sentimmo insieme mentre ansimava e gridava: “Vengo, sborro… oh… quanta, quanta… è tutta per te… per voi!”

Come resistere? Eccomi, vengo, vengo come fossi da sola con le mie fantasie più perverse, ma non sono da sola, c’è Dario arrapato, al mio fianco e ci siete voi, lettori… che condividete le mie emozioni, e questo rende il mio orgasmo qualcosa di unico e irripetibile.

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