VNon lo so perché... forse perché ero nel dormiveglia, forse perché non la volli spostare... forse perché ero troppo inebriato dal calore e dal profumo del suo corpo... non lo so. So solo che distesi il braccio sul fianco, ficcandolo tra i nostri corpi, e avvertii chiaramente sull’avambraccio il calore che emanava dalle sue cosce aperte, dalla sua “natura”, appena, appena rigonfia.
Io stesso non comprendevo me stesso in quei momenti, ero combattuto, ero anche sconvolto. Ma l’eccitazione mi rendeva anche drogato di piacere... Con la sinistra non feci altro che cercarmi il pene, duro come non mai, passai poche volte il mio dito, sul canaletto di sotto, sotto la capocchia, dove il piacere è più intenso.
Prima sentivo prudere, come se avessi un formicolio, poi all’improvviso mi prese l’orgasmo più coinvolgente della mia vita, e iniziai a sborrarmi negli slip, senza freni.
Mi sporcai tutto e bagnai di sperma anche il pigiama e la sua coscia.
La ragazzina, mugolò, si girò dall’atra parte e continuò a dormire della grossa.
Dopo venuto mi sentii veramente uno schifo. Mi alzai, corsi in bagno a lavarmi, cercando di non pensare all’origine di tutto quel liquido attaccaticcio, che sporcava anche i miei sentimenti di padre.
Il giorno dopo la feci lavare e cambiare, mettendo immediatamente il suo pigiamino in lavatrice.
Passai alcuni mesi in continuo contrasto con me stesso e i miei pensieri... mi detestavo per quello che era successo; appena potevo cercavo di rimuoverlo dai miei ricordi. Poi mi giustificavo: è stato un caso, un fenomeno unico, non accadrà mai più.
Lei cresceva...
Un fine settimana tu andasti a casa di tua sorella e ci dovesti restare fino alla domenica. Lei restò con me. Tornò da scuola; la feci mangiare, poi mi misi a riposare sul divano, dopo, in camera sua, si viveva le sue avventure in chat con le sue amiche. La sentivo ridere e a volte strillare.
Più tardi, mentre sistemavo un po’ di cose, la vidi gironzolare intorno, come faceva quando voleva chiedermi di uscire, o altro... Sorrisi e le dissi di parlare, tanto avevo capito che voleva qualcosa. Allora mi disse:
- Papà, volevo solo chiederti una cosa; un fatto su cui credo che le mie amiche mi prendono in giro.
Mi fermai in attesa che parlasse. Ma lei prima arrossì; d’altro canto sapeva che in casa parlavamo liberamente di tutto, a che serve nascondersi dietro al dito?
- Volevo sapere com’è fatto quel coso... quel coso che serve ai ragazzi... insomma: il preservativo. Me lo puoi spiegare? – lo disse con il tono di una piccola ladra, beccata a rubare nel supermercato.
Credo che anche io divenni rosso, deglutii, perché misteriosamente mi ricordai della mia sborrata segreta, di pochi mesi prima.
Non volevo deluderla né spaventarla. Tornai in me:
- Beh, il preservativo è... è un contraccettivo, come tanti altri.
- Capito... E’ di gomma?
- Insomma, credo di sì! Lo sai come si fanno i bambini, no? – sorrisetto ebete, per stemperare l’atmosfera.
-Beh sì... – rispose compunta, abbassando lo sguardo.
- Ecco, allo stesso modo ci sono i contraccettivi, come il profilattico, e altri sistemi... sia per la donna che per l’uomo, che servono per la donna. Per evitare di avere un bambino.
- OK! Capito... – poi se ne andò via, come se l’argomento fosse uscito dai suoi interessi.
Tirai un bel respiro di sollievo: chissà perché mi sentivo in colpa, pur non avendo fatto nulla di male.
Il sabato notte, come al solito dormicchiavo, con la TV accesa a basso volume. Lei era di certo a chiacchierare con le amichette, come faceva sempre quando la mattina non doveva alzarsi presto.
Non so che ora fosse. In piena notte la sentii arrivare tutta assonnata, mi baciò e mi sussurrò:
- Dormo quì!
- Certo amore, - le dissi tra veglia e sonno, poi spensi la luce e la TV. Come sempre appena toccò il cuscino, prese sonno in pochi secondi.
La mattina dopo stavo per alzarmi, pronto per farmi il mio solito caffè.
Ma la sentii mugugnare qualcosa e decisi di trattenermi ancora un po’, per farle riprendere sonno. Ma lei spalancò gli occhi, guardando il soffitto, poi disse:
- Papaaa... e come si usa un preservativo?
Fui sorpreso ma scattai a rispondere, per non darle a vedere il mio imbarazzo.
- E che lo vuoi sapere da me? Chiedi a tua madre, no?
- Ma mamma mica è uomo!
- Certo, ma lo saprà pure come si usa... un... un... coso... un...
Lei fece qualcosa che non mi aspettavo, da sotto le coperte tirò fuori la manina. Dalla tasca del suo pigiama aveva estratto un profilattico, nel suo incarto stropicciato.
Rimasi di stucco.
- Ieri, in classe, un cretino me l’ha tirato appresso. Dice, “La bambina innocentina... tieni, qui dentro c’è la caramellina. Te la vuoi succhiare?”
- Ma chi è questo stronzo? Vengo a parlare io, a scuola. Che sono queste buffonate?
- No, no, papà, ti prego... già mi ha detto “innocentina”! Vuoi che passo per una bambina dell’asilo?
Non sapevo più cosa dire, ma intanto qualcosa di sinistro s’impadroniva di me, a causa di quei discorsi inattesi, a mio avviso osceni, sulla bocca di nostra figlia.
Passarono i secondi, poi i minuti, ma nella stanza c’era una tensione palpabile e dolorosa. Con falsa indifferenza mi girai sul lato. Il mio corpo adesso era in contatto col suo. La ragazza teneva ora gli occhi serrati, le braccia abbandonate sui fianchi, in una mano stringeva il preservativo. Il contatto del pene sul suo avambraccio era inevitabile. Sudavo freddo ma non mi tirai indietro... non ero più padrone delle mie azioni, ma intanto il cazzo non sentiva ragioni morali: s’intostava, vergognosamente, fino a quando sentii chiaramente il glande spingere la molla degli slip, per venire fuori.
La piccola lo sentiva, era certo, ma non si ritraeva, anzi il suo respiro si fece affannoso.
Ero eccitatissimo, allo stremo. Le passai la mano sul pancino, quasi con rabbia raggiunsi la sua mano e le presi il condom.
Poi, come se fossi solo, mi rimisi supino. Lei era tesa come una corda; non avevo il coraggio di guardarla, di vedere se mi stesse osservando.
Lentamente, feci scivolare verso il basso, prima il pigiama e poi le mutande. Ero nudo dalla pancia alle cosce, il cazzo sembrava un obelisco per quanto era grosso e duro, non lo avevo così dai tempi del liceo.
Spezzai la stagnola, presi tra le dita il preservativo e molto lentamente me lo posi sulla testa del pene. Lo indossai fino a srotolarlo completamente, ora luccicava sul cazzo come una seconda pelle. Restammo immobili. Io vivevo tutto questo come un sogno, e speravo ad ogni istante di svegliarmi solo, di non sentire più quella tremenda eccitazione proibita, che il mio maledetto “pesce” si decidesse ad ammosciarsi, a tornare innocuo... come se niente fosse.
Ma non ci fu niente da fare per fermarmi, per fermarci.
Il cazzo riempiva il preservativo (non ne indossavo uno da anni), provai una sensazione assai arrapante a toccarmelo, mi sembrava di sfiorare le calze di una coscia femminile. Iniziai ad andare su e giù in una sofferta e decisa masturbazione: lentissima, senza cambiare cadenza, come se raggiungere l’orgasmo fosse un dovere.
Su e giù. Pazzo di voglia, senza guardarla. Mi segavo per lei ma non volevo ammetterlo, non volevo nemmeno sapere se trovasse quella vista eccitante o disgustosa.
Il piacere s’impadroniva sempre più del mio corpo. La mollezza dell’età, la normale emozione che tu mi provocavi sessualmente, era sparita. Ero pieno di vigore, non conosco droghe ma che quell’esaltazione fisica, quasi giovanile, fosse il prodotto della forte privazione, abbinato alla forte trasgressione. Lo ammetto, ero molto egoista in quel momento... ma io pensavo solo a venire: era la mio missione univoca, in quegli istanti inaccettabili.
Quando il mio corpo iniziò a tendersi e a sussultare nel letto matrimoniale, la piccola si voltò verso me spontaneamente; come faceva di solito, fin da bambina, adagiò sul mio corpo metà del suo. La coscia, esile ma carnosa sulle mie, il braccio e la guancia sul petto, la fighetta calda, pressata sulla mia anca. Stavolta però non era in preda al sonno. Pur avendo gli occhi chiusi, iniziò ad essere molto attiva, anche se i suoi movimenti erano di certo dettati dal sesso, che dentro di lei la stava trasformando in donna: sussultava, mi si stringeva, e strusciava il pube, oscenamente dilatato, sul mio fianco.
- Guarda... – sussurrai, mentre provavo vergogna e follia sensuale. Credo che le lo fece, non potevo controllare, non potevo fare niente, se non lanciare una serie di mugugni animali, ancestrali, mentre mi inarcavo, a scatti, come attraversato da potenti scariche di energia. Nella penombra del mattino il preservativo si riempiva inesorabilmente di sperma. Il piccolo serbatoio non lo contenne, era tanto, così si sparse per tutta la “testa” gonfiandosi, come un palloncino pieno di lattiginoso seme bollente.
La mia furia erotica era sfumata... dovetti resistere all’impulso di ritrarmi dal suo abbraccio incestuoso, di fuggire, seminudo e vergognoso, dal letto dove l’avevamo concepita! Sarei corso nello stanzino, nel bagno, in qualsiasi posto buio, oscuro, per nascondermi e non uscirne più. Passata l’eccitazione animalesca, ero tornato in me e avrei voluto amputarmi quel cazzo maledetto, quella odiosa protuberanza che aveva avuto la meglio su tutto me stesso.
Ero quasi un vecchio. Per anni avevo aborrito, ritenendole inconcepibili, queste pratiche mostruose, esecrande. E quella mattina, in pochi istanti, avevo distrutto tutto, dannandomi, e tirandomi dietro la mia bambina, nella mia aberrazione.
Non potevo alzarmi. Avrei fatto ancora più schifo... a me stesso e al mondo; avrei trattato il mio piccolo, unico, amore come l’ultima delle chiavate occasionali, come una puttanella da una botta e via. Lei invece era un fiore... il mio fiorellino; era appena sbocciata nella sua bellezza adolescenziale. Una meraviglia della natura, un trionfo di acerba femminilità... eppure aveva da poco lasciato le medie!
Restai fermo come chi ha fatto un passo falso e tiene in mano una campana di vetro... forse speravo con la mia immobilità di evitare la catastrofe!
Il mio cazzo svettava ancora, barzotto ma rigonfio, affogato nel mio stesso sperma.
Non so se lei sapesse cosa faceva, probabilmente seguiva un istinto incontrollabile, come avevo fatto io. Si stringeva a me; pressava sul mio lato soprattutto con la fighetta. Non osai toccarla li, ma ficcai il mio avambraccio tra me e lei. Era più piccolo e ossuto, più utile al suo abbraccio ritmico. Convulsamente si stava masturbando, strusciandosi addosso al padre. In pochi istanti mi arrapai di nuovo.
Mentre strusciava sul mio braccio in preda all’eccitazione, forse per curiosità, forse per goduria, la sua mano scese verso il membro; con le piccole dita lo liberò pian pianino dal preservativo. La crema bianca del peccato si sparse sulla mia pancia, filtrando tra i peli del pube, imbrattandomi fino allo scroto.
La sentii irrigidirsi; il suo naso sbuffò, mentre serrava le mascelle digrignando i dentini. Era anche lei in preda a un piacere senza controllo. Iniziò a spalmare la sborra, a saggiarla tra le dita, a schiacciarla col palmo sul mio addome. L’odore inconfondibile si sparse per la camera, eccitandoci entrambi ma sottolineando il peccato di lussuria.
Era troppo, iniziò a sussultare per l’orgasmo, premendo così forte contro l’avambraccio che sembrava me lo volesse spezzare. Venne a lungo, con piccoli gridolini, senza controllo: ma io dimentico di tutto, la volevo sentire proprio così, felice, appagata, mentre si rassegnava ad un infinito piacere.
Mi alzai lentamente dal letto...
- Riposati tesoro, io vado a fare la doccia. Più tardi dobbiamo parlare... – dissi alla stanza. Lei era di nuovo crollata nel sonno appagante.
Pregai gli dei affinché tutto l’accaduto fosse stato solo un sogno.
Magari non per me ma almeno per la mia bambina!
Passarono i mesi, ma di quell’episodio non ne riparlammo mai.
In questi anni “strani” non le ho mai dovuto dire niente, mai convincerla a non parlare con nessuno di quanto ci stava accadendo, soprattutto a te, sua madre. Lei mi amava molto: è una ragazza matura e intelligente, sicuramente aveva perfettamente compreso il nostro distacco, il nostro “disgusto” reciproco... Non voglio essere parziale ma mi convinsi che le era chiaro che le tensioni e i dolori che provavo, provenivano principalmente dal tuo distacco, dalla tua strafottenza. Casa e lavoro, lavoro e casa, per il resto eri cieca, cara Teresa. Non vedevi l’incastro offensivo in cui mi avevi relegato e non vedevi nemmeno nell’animo di tua figlia! Tanto, di cosa ti saresti mai dovuta preoccupare? Per lei c’ero io... ormai ero “un vecchio”, che potevo fare di meglio che starmene il più possibile in casa, in pantofole, per accudire e controllare la tua “preziosa” bambina? E tu, nel frattempo, libera come l’aria, fluttuavi all’esterno della nostra vita, incontrollabile, lontana, sicura di te.
La mia etica mi schiacciava, non feci mai nulla per stuzzicare la ragazza, per attrarla a me, ma dopo quegli episodi non potevo fare a meno di desiderarla, di amarla in modo diverso. Mi gustavo la sua bellezza. Anche troppo! Non posso sapere quanto “fosse” normale il suo modo di stare in casa, da sola col papà. Dopotutto adesso era cresciuta: bellissima, seni perfetti, prorompenti come mele verdi. Pochissimi peli, la sua figa era un cespuglietto chiaro, innocente come il grano ma eccitante come il peperoncino di Calabria. Non riuscivo a vedere malizia nella sua libertà, forse solo un’estrema confidenza: girava semplicemente nuda, dopo la doccia, alla ricerca dei suoi indumenti. Nei mesi caldi indossava solo la maglietta, senza pantaloncini né pigiami, quando riposava sul divano. Però notai che quando in casa c’eri tu, si faceva più attenta e si mostrava meno disinibita, come non volesse attrarre l’attenzione su di sé.
Io guardavo, godevo, ma tacevo. Poi in segreto mi masturbavo ripensandola al mio fianco. L’eccitazione saliva alle stelle anche al solo ricordo, così riaprii questa cassetta: la ripristinai come ai vecchi tempi. Ripresi a provare piacere anche inserendomi il nostro dildo nel culo; carezzavo quei pochi capi di lingerie sexy, che tu raramente ti eri degnata di indossare. Comprai dei profilattici, senza motivo, e ve li nascosi tra le altre nostre cianfrusaglie.
Nostra figlia usava calzettoni, calzerotti, e solo d’inverno collant pesanti.
Una mattina di sabato, tu eri dovuta andare in trasferta all’alba, con dei colleghi, e saresti tornata sicuramente molto tardi. Per la ragazza invece era festa, quel giorno.
Uscii presto per fare la spesa, le comprai il cornetto al Bar, come piaceva a lei.
Dopo sentii l’immancabile suono del suo stereo, mentre altri rumori e porte sbattute mi informavano che si stava dando da fare con le mille cure di bellezza, che solo le donne sanno imbastire.
- Papà, che ne dici: sono ridicola?
La piccola mi piombò in cucina e quando mi voltai mi stava venendo un colpo, feci uno sforzo enorme per controllare la ridda di emozioni che mi invasero; tra gelosia e amore paterno, tra eccitazione e desideri osceni. La mia “bambina” indossava dei collant neri ma di un modello che, nel mio immaginario, avevo sempre abbinato col sesso e l’erotismo. Intendo quelli che hai usato anche tu, a volte. Aperti avanti e dietro, sostenuti da strisce simili ai peccaminosi tiranti di un reggicalze. Di sotto, per fortuna, aveva le sue classiche mutandine da teen ager. Mi ripresi, cercando di sembrare in uno stato del tutto normale.
Proprio non sapevo come comportarmi! Cosa dire...
- Ma cosa ti salta in mente? Di chiedere a me queste cose? Ma parlane con tua madre, no? Sono cose da donne.
Ma lei non si mosse di un millimetro, sorridendo senza malizia ma allo stesso tempo facendomi rizzare i peli sul collo. Mormorò qualche scusa, qualche salamelecco, per costringermi a dire la mia.
- Ho capito... va bene. – sbuffai seccato, mentre in cuor mio diventavo sempre più felice di godermi tanta meraviglia: E pensare che quel capolavoro di ragazzina era mia figlia. Ne fui orgoglioso, ne fui eccitato, ma feci del mio meglio per restare padre.
- Per prima cosa: ma tua mamma lo sa che vai in giro abbigliata in questo modo?
- Ma dai, papà... figurati mamma cosa se ne frega... magari sei tu troglodita e geloso!
- Sono calze da donna grande... e...
- Quindi io sarei solo una bambina? – fece uno sguardo veramente brutto.
- No, - dissi – è che, che comunque non dovresti attirare l’attenzione degli uomini!
- Ma per favore! Uomini? Pà, ma io vado solo a una festa, siamo noi, le ragazze e i ragazzi di classe, forse qualche altro amico! Tutto qui!
- Va bene... sarà! – dissi poco convinto, - Comunque credo che le mutandine vadano al di sopra di questo tipo di collant, non sotto...
- O bella... e perché?
- Perché... perché ai miei tempi, c’erano le calze, non tanto i collant; calze e reggicalze. E le persone mettevano gli slippini al di sopra, in modo da poter fare la pipì o la cacca senza togliere le calze.
- Ah, giusto. Non ci avevo pensato. – pensierosa e furbetta, si allontanò sculettando, con le sue chiappette dolci e sode... mentre io mi tenevo al tavolo per non svenire.
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