Col cazzo, Nino, quello non è scemo, te lo dico io. Nino sbuffò:
Io non ho detto questo: ho detto solo che è un tipo strano! Sul campanile della chiesa principale l’orologio ricordò, ai pochi che ancora si attardavano in quella calda domenica di sole, che era appena passata l’una; al massimo mezz’ora e il centro di Latina si sarebbe del tutto svuotato.
Vorrei essere strano come lui! – rise l’altro – Si è preso la più bella del paese, vive beato e si gode la famiglia. Chi sta meglio di lui? - continuò a seguire con lo sguardo il culo piacevole di Gaia, la moglie del “personaggio” di cui discutevano per passare la domenica mattina. Era una bella donna, trentacinque anni o poco più, e il marito non era da meno, nonostante i sedici anni in più, rimaneva un bell’uomo: alto, interessante, dalla conversazione piacevole e schietta. Certo, era venuto dalla città e aveva colto il fiore più bello (questo, ai paesani, non andava giù). Anche quando non avevano nulla da ridire, non si arrendevano, ed ecco che definivano "strana" una situazione che di strano aveva solo un’evidente normalità. Ciro aprì la portiera alla sua bella signora, qualche volta era anche galante, comunque sempre protettivo e affettuoso con lei. A differenziarli non c’era solo l’età ma anche l’esperienza, tant’è che spesso la trattava un po’ più da figlia che da dolce metà. Era molto comprensivo con lei e aveva imparato a non pretendere più di quanto potesse dare. Una volta a bordo si gustò le belle gambe della sua signora che spuntavano, eccitanti, dalla gonna elegantemente corta. La loro figliola era dalla nonna e Ciro godette al pensiero di un possibile, cocente dopo pranzo. Purtroppo, già alle quindici Gaia si addormentò beata sul divano, ma in una posa talmente discinta, che Ciro ne approfittò per farle una serie di foto, di nascosto. Il suo corpo era esuberante e sensuale. Non aveva tolto la gonna e, di sopra, indossava una canotta a coste, color lilla. I grossi seni trasbordavano gonfi dalla stoffa sottile; Gaia si toglieva il reggipetto non appena arrivava a casa. Con la scusa di prendersi cura del suo riposo, Ciro, la aiutò a mettersi più comoda, ponendole un cuscino sotto la testa, però, nel frattempo, fece in modo che la gonna salisse più su e un capezzolo facesse capolino da una spallina, troppo tesa. Ciro sedette di nuovo a tavola e aspettò alcuni minuti. Gaia era completamente assopita. Riprese a fotografarla ma con maggiore libidine. Scostò la gonna affinché le mutandine di sua moglie fossero in bella mostra, quasi inghiottite dallo spacco della sua intimità. Stava per smettere, quando Gaia, si voltò verso la spalliera del divano, scoprendo tutto il sedere. La gonna salì ancora, adesso era solo una fascia, alta sulle natiche, mentre queste, da sotto, esplodevano libere. Il filo sottile degli slip era ridotto a un perizoma, non faceva che arricchire lo spettacolo. Le gambe piegate in avanti, permisero al marito di scattare foto eccezionali del culo e della figa, parzialmente esposta, che oscurava il chiarore delle mutande a causa della naturale peluria. Ciro intervenne delicatamente con le dita, e tirò le mutande verso l’alto, con la trazione, il filo di stoffa penetrò di più tra le carnose grandi labbra della moglie. Gongolava. Quelle foto eccellenti superavano ogni sua aspettativa, probabilmente, nella loro spontaneità, sarebbero state ancora più belle di tante altre, scattate in posa, con Gaia sveglia e partecipe. Leccandosi i baffi, pensò a quanto piacere gli avrebbero potuto fruttare quelle immagini. Alla fine, coprì la donna con un lenzuolo e corse in camera sua a riversare le immagini sul PC, per poi cancellarle subito dalla fotocamera, per prudenza. Poco dopo, nel silenzio del pomeriggio, armeggiando con le immagini di Gaia, si masturbò incapace di resistere.
Alle quindici lo vado a prendere.– disse Ciro, sperando di indurre la moglie a innescare la solita sequenza. La ragazzina sarebbe stata portata dalla nonna, dove avrebbe passato volentieri il pomeriggio, mentre Gaia si sarebbe vestita in maniera provocante e si sarebbe truccata in modo raffinato. La donna sapeva già come sarebbe andata, la cosa si ripeteva da un paio di anni, quasi una volta al mese. L’ospite avrebbe passato un’oretta con loro, il tempo di un caffè, qualche dolcetto. Si sarebbe chiacchierato del più e del meno; poi suo marito avrebbe detto qualcosa tipo “Beh, noi andiamo nello studio” oppure, “Ci spostiamo in giardino”, e l’avrebbe invitata a seguirli, se voleva. Gaia era già ammaestrata e doveva rispondere di no, anche se con grande cortesia. Il marito le aveva spiegato tutto... (o quasi). I due uomini si ritiravano da qualche parte della casa o del giardino e si trattenevano, indisturbati, in seduta. Gaia non aveva mai capito in cosa consistevano quelle sedute del marito. Lui diceva che si trattava di una specie di psicologia, che li intervistava in privato per scrivere un trattato, insomma: niente d’interessante per lei. Però un pizzico di curiosità la pervadeva, dato che le cose andavano in maniera un po’ strana. Le persone che venivano erano sempre diverse, uomini di ogni età e non rintronavano mai. Mai! Questa era la cosa più strana, in fondo. Avevano in comune, tutti, lo stesso vizioetto: la spogliavano, letteralmente, cogli occhi. Di qualsiasi argomento chiacchierassero, quegli uomini se la mangiavano con lo sguardo, e lo facevano in maniera insistente, senza discrezione, insomma. Senza rispetto per la presenza del marito. Quegli strani ospiti guardavano le cosce, i seni, il culo, anche con sfrontatezza. Suo marito lasciava fare, bonario, e la rassicurava, le diceva di non farci caso: quell’esibizione delle sue beltà tornava utile alla terapia. Li rilassava mettendoli a proprio agio e li faceva sentire sicuri di sé; in questo modo si abbattevano le barriere create dai loro complessi e dalle loro frustrazioni. A dire il vero al marito poi piaceva giocare, a letto con Gaia: commentare su quegli sguardi vogliosi. Era proprio, dopo tutto, il primo a invitarla a vestirsi in modo provocante, succinto, desiderabile. A quale donna non piace esibirsi un po’? In paese, per strada, era quasi impossibile, troppe malelingue pronte a tagliare e a cucire... in casa sua, con degli estranei che venivano da fuori, per un’ora lei si concedeva i completini più eccentrici, le calze a rete osé, i tacchi a spillo delle scarpe rosse o laccate nere. “Sarà” pensava però Gaia “ma a me tanto inoffensive le occhiate non sembrano, anzi, danno l’impressione di volermi saltare addosso all’istante!” La cosa non era spiacevole, in fondo. Rompeva la monotonia della vita di provincia e, col tempo, lei stessa ci aveva preso gusto a rendersi più arrapante, quasi volgare, a volte discinta. Tanto, aveva il permesso del marito, che accettava la cosa di buon grado. Dopo la tradizionale chiacchierata, quasi tutti si ritiravano a malavoglia, in solitudine, con Ciro. Massimo un’ora e poi se ne andavano via, tranquilli e rilassati. Tutti, immancabilmente, avevano bisogno del bagno, ma è naturale, poveretti, dovevano fare il viaggio di ritorno; si sa, le toilette dei treni o i bagni dell’Autogrill, le usano tutti gli sporcaccioni.
Lo studio di Francesco Giorgi era elegante e sobrio. Erano anni che non si vedevano ma lui fu ugualmente molto gentile con Gaia e l'aspettò, nonostante a quell’ora, in genere, avevano già terminato l’attività. Era da solo, senza segretarie, aveva voluto riceverla in privato, per sottolineare la loro vecchia amicizia e la sua discrezione.
Gaia continuò; spiegò che poi, a freddo, aveva riflettuto su quell’incontro perverso. Al momento le era anche piaciuto ma lei non accettava situazioni così estreme. Da quel momento, aveva fatto di tutto per evitare quel tipo di incontri.
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