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“Beccata!” Mario non poté fare a meno di provare un brivido di piacere mentre, una scossa di adrenalina, gli attraversava la spina dorsale e gli procurava una certa eccitazione. Quello era il momento più bello, in assoluto; il momento che preferiva! Lui lo definiva: il momento d’oro. Erica, o “Sacerdotessa Oyama”, o comunque diavolo si chiamasse, aveva accettato di chattare con lui: una chat video, finalmente. Adesso il grosso era fatto, lo sapeva per esperienza. Era diventato un “habitué” del web sex: prima ci si scambia qualche battuta, per rompere il ghiaccio, poi, se ti sai muovere arriva la chat verbale e, se sei veramente sveglio, prima o poi, la tua “conquista” cede e... si fa vedere! E quello è il momento in cui l’hai conquistata! Scacco matto. Eccolo il momento d’oro. Da quel momento la via è tutta in discesa, da quella volta in poi sei tu a gestire il gioco, perchè lei, la donna (sempre se donna è) ormai si è palesata, insomma accetta: ci sta! Ed Erica, nonostante fossero le due di notte, aveva accettato di iniziare una chat con lui. Gongolante, aggiunse una bandierina virtuale alle altre conquiste su internet. Si prese giusto una decina di minuti per organizzarsi. Le aveva raccontato la solita storiella:, funzionava sempre. Era sposato ma infelice; sua moglie non lo capiva e non lo eccitava più... tra loro mancava solo una firma, per separarsi definitivamente. “Insomma, misteriosa Erica, non facciamo nulla di male... metti in pace la coscienza e fammi vedere come sei fatta. Mia stagionata troia!” ridacchiava tra se, pensava... si organizzava. Era tutto talmente scontato che, le stesse mosse, erano divenute quasi una specie di rituale. Si spostò silenziosamente per casa, portandosi dietro il portatile e avendo cura di non fare rumore. Sua moglie dormiva, beata, era abituata al fatto che lui stesse al PC fino a tardi. Non era sicuro al cento per cento che si bevesse tutta la storia, riguardo una sua presunta apprensione per i titoli di Borsa. Mario stava attraversando quella fase delicata in cui “il gioco” ti prende la mano e diventa vizio; allora si perde un pochino il senso della realtà e si rischia di commettere qualche pericolosa disattenzione. Per il momento, la signora Simona, dal sonno pesante, si era rassegnata. Cominciava a intuire qualcosa ma il marito era scaltro e, per ora, non si era fatto scoprire.
Quatto quatto, scese in garage. Già sapeva che, da li, la connessione era comunque eccellente. Se per caso, fosse arrivata Simona all’improvviso, aveva sempre la scusa pronta, per giustificarsi. Dopotutto in garage, aveva davvero uno scaffale pieno di faldoni e documenti fiscali. Si era creato anche un suo angolino, perfettamente dissimulato, organizzato con un paio di lampade, per offrire il meglio di se, nella chat video. Si guardò allo specchio, si sistemò i capelli senza esagerare: niente male, si presentava bene, era un bel trentaquattrenne, un bel fisico lievemente sovrappeso e, per sua fortuna, era ben “dotato”. Intrigato dai suoi pensieri, anche il suo pene era abbastanza su di giri e gonfiava i boxer, rigorosamente neri. Mario moriva dalla voglia di vedere chi era veramente la “sacerdotessa” Oyama. Solo un paio di settimane prima, con una chat scorrevole, carezzevole, grazie ad una perfetta scelta delle parole e dei tempi, gli aveva procurata una delle più sgargianti eiaculazioni della “storia”. Conosceva perfettamente cosa eccita un uomo, la stronza, e lo aveva indotto a segarsi come un liceale. Immediatamente dopo, con tempismo e dolcezza, si era tolta dalle palle, lasciandolo solo a recuperare se stesso e le sue forze, a ripulirsi dai fiotti di sperma che erano schizzati alla rinfusa sulla pancia, sulle mani e persino sul petto, imbrattando la maglietta.
Dieci minuti erano passati abbondantemente. Cliccò sull’icona di Oyama e poi scrisse:
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In realtà Mario era veramente infoiato; gli piaceva molto mostrarsi, esibire il suo pene duro alle troie che cascavano nella sua rete. E con questa, provava ancor maggiore soddisfazione, perchè se la tirava un po’... Parlava sempre di averlo accontentato; di averlo aiutato a sborrare; ma si fingeva fredda e disinteressata, come quelle maestre che accavallano le cosce distrattamente, giustificando la loro libidine, come fosse una buona azione a favore degli alunni segaioli. Invece Mario la voleva eccitare, voleva vederla capitolare fino all’orgasmo e, se possibile, incontrarla davvero, per toglierle dal viso quell’atteggiamento di superiorità, di sentirla ragliare sotto i colpi del suo cazzo. Desiderava vedersela sotto: quelle sue carni bianche e delicate, scosse dai colpi, mentre veniva montata come una vacca... finalmente consapevole di essere una troia, usata per il suo piacere, come tutte le altre. Per un attimo il suo pensiero volò da Simona. Nella sua mente deformata dalla lussuria, per un attimo si sentì un paladino che compie una missione: svergognare le zoccole, per esaltare la purezza della sua amata moglie. Peccato che, per adempiere il suo nobile destino, fosse costretto a cornificarla ripetutamente... ma questo era un piccolo dettaglio, che una donna non può comprendere. Non era solo un luogo comune: una donna come Oyama, non era che una stronza, che dissimulava la sua costante voglia di farsi scopare. Lui, invece, si sacrificava da buon chiavatore per tenere sotto scacco proprio le donne come lei. Nonostante i “blà blà blà” del femminismo “à la page”, i veri valori del maschio non si perdevano e le donne, magari di nascosto, volevano solo essere dominate, appena vedevano davanti l’uomo, quello vero. “Per fortuna siamo rimasti in pochi!” pensò tronfio Mario nel suo garage, mentre si cercava la nerchia nei boxer, come se fosse uno scettro da impugnare. Voleva sentirla mugolare, gemere e pregare ... altro che sacerdotessa: la sacerdotessa del cazzo, l’avrebbe fatta diventare!
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I pensieri gli rinvigorirono la mazza e, con studiata, lentezza si alzò in piedi davanti al tavolino col PC, controllando l’inquadratura. Perfetto. La camera riprendeva il suo bacino. Aveva addosso solo i boxer di cotone. Da un lato, imbrigliato nella stoffa, un grosso bozzo cercava la via per esprimersi. Lui lo liberò, cercandoselo con le dita, e lo fece sgusciare attraverso la patta senza bottoni.
Si attardò nell’operazione per renderla più sensuale e, anche, per tirare fuori, dal piccolo spacco, anche la sacca scura con i coglioni. Sapeva che alle donne piaceva molto ammirare anche le palle. Lasciò libero il suo cazzo di svettargli davanti, come una mazza di legno, affinché Oyama lo valutasse perfettamente. Il solo pensiero che lei gli stesse osservando il membro nudo, gli faceva sobbalzare l’asta, piena di voglia e di calore.
Il contrasto tra l’abbigliamento “medioevale” e le provocanti azioni da puttana che compiva, fecero schizzare alle stelle il coinvolgimento del ragazzo. Tre cinghiette nere, passavano sotto i bordi delle sue mutande e ne fuoriuscivano, mostrando, poco più sotto, delle fibiette argentee. Trattenevano le calze ... niente autoreggenti, calze nere, pesanti, dalla doppia bordatura. La carne bianca, delle gambe di Oyama, esuberava con leggero gonfiore, in quelle zone che non erano trattenute dalla seta. Pochi istanti dopo, il profilo della sua pancia, lievemente sporgente, estremamente femminile, faceva da contrappeso al suo esasperante culo tornito, che coperto dalle mutande, faceva una spettacolare mostra di sé. Col cuore che gli batteva al solo pregustarne la conquista, Mario pensò sinceramente: “Questa è una donna da scopare senza tregua... magari in due!” tanto era abbondante e arrapante il corpo della “sacerdotessa”! Inaspettatamente lei, oltre a mostrasi lentamente, gli chiese, mettendolo ancor più in subbuglio:
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Le parole della sacerdotessa arrivavano dal monitor, e facevano da delicata colonna sonora al suo lento offrirsi, si spogliava per lui a piccoli pezzi e gli offriva, a mano a mano, lo spettacolo mozzafiato della sua nudità in arrivo. Le calze erano sorrette da una serie di nastri, Oyama sganciava, una per volta, quelle lunghe strisce nere, che rimanevano inerti, senza potere, appese a svirgolare sulle gambe nude e appetitose. Mario era rapito, estatico, e se ne stava la, incapace di staccare l’attenzione dallo schermo, in quell’angolino che aveva ricavato nel garage sotto casa. Non si rese proprio conto che, sentire una voce femminile, abbastanza alta da essere riconoscibile, poteva essere molto pericoloso in piena notte. Troppo sicuro di se e troppo eccitato per pensare, non aveva neppure pensato di indossare delle cuffie.
Da dietro la porta semiaperta del ripostiglio, pochi scalini al di sopra di quella scena, Simona spiava, incredula. Lo spettacolo inatteso che si presentava ai suoi occhi, le sembrava tanto assurdo da rasentare il ridicolo. Il marito era davanti al PC, con i boxer alle caviglie e il cazzo tra le mani. Teneva la maglietta sollevata, come un ragazzino che si analizza il pisello, davanti allo specchio. Assurdamente, nella luce tenue dell’ambiente, un’altra lampada era posizionata in modo che, il fascio luminoso, colpisse proprio l’area genitale di quel porco. Lo stomaco di Simona protestò: la scarica di rabbia, dolore e disgusto, stavano per provocarle il vomito. Si trattene! Sul monitor, di fronte a Mario, una donna, che poteva avere il doppio della sua età, si esibiva, eseguendo una specie di sordido spogliarello. Il suo corpo era ancora piacente ma in sovrappeso; al confronto della bella Simona, che con i suoi ventotto anni e un corpo perfetto, statuario, era il corpo di una “vecchia”. Si morse il labbro inferiore per non esplodere: non avrebbe mai creduto di dover assistere a un simile, oltraggioso, confronto. Avrebbe voluto gridare ma riuscì a trattenersi, voleva vedere fin dove si sarebbe spinto quel traditore di Mario, immediatamente le fu chiaro che la prendeva per il culo già da tanto.
Mi stai facendo tua, col tuo sputo liquido, caldo, scivoloso: sei sulla mia lingua e ti assaporo. Sai di muschio giovane, di buono, di virile. Un lungo filo trasparente ci lega... lega tra loro le nostre bocche, come la tela di un ragno avviluppa la sua preda. Quando verrai da me? Quando mi farai provare la lingua sprofondandomi tra le labbra? – Intanto con le mani si carezzava la pancia e faceva scorrere la sua ridicola mutanda lilla, sempre più in basso. Adesso, a ogni movimento circolare, faceva capolino il filo nero di una notevole peluria. Che stronza, pensò Simona... ecco cosa piace agli uomini: un cumulo di bugie, un sacco di inutili illusioni e, per questo, lasciano a dormire una moglie bella e fedele. Ci sapeva fare con le parole, quella vecchia schifosa. Mario era estatico e non si era accorto di nulla. Come inebetito, si continuava a massaggiare il cazzo e faceva in modo di esporlo per bene alla vista di Oyama, credendo davvero che lei pendesse dalla vista del suo bastone. Si sentiva molto maschio e padrone di quella donna e questo lo mandava su di giri!
Sento davvero il tuo desiderio ardente, - disse Mario - vorrei tanto infilarti la bocca... prima di lingua e dopo, con tutto il cazzo! –
Forzando le labbra, poi i denti bianchi, scivoleresti sullo smalto, spingendo forte, facendoti spazio, fino ad appiattire la lingua tua sulla mia, incollandole, in un amplesso, rosso, liquido. E poi ... giri, giri, lo so. Mi gireresti in bocca, come se frugassi: la tua lingua ha un'anima e mi indaga la bocca, fino in gola. – la sacerdotessa incalzava la sua litania, intanto entrambi i capezzoli, grossi come una falange di un dito grande, erano schizzati già fuori dal reggipetto di pizzo e merletto nero.
Il sapore della tua lingua è estraneo, eppure, non saprei farne a meno. Allora mi decido ... te la succhio. Attiro in me tutta la tua saliva e la fagocito, giù giù, fino in pancia. Poi tocca a te, succhiare, a tua volta, e mi estirpi la lingua attraverso le labbra dischiuse. La innervo, la gonfio: è grossa come un glande ... mi sento di renderti perverso... Mi piace! - Marco alternava il suo peso, altalenando sulle due gambe tese, si contorceva di piacere, come chi deve far pipì.
Adesso sei ostaggio della mia bocca, io ti succhio ma tu, mi assali, non posso più dirti di no! – Oyama con gli occhi socchiusi e la guepiere mezza tolta e mezza no, discinta, si teneva i seni, schiacciandoli sotto il palmo, come pasta di pane, l’altra mano, la destra, non riusciva a trattenersi dal pescare in basso, ogni tanto, cercandosi con le dita, le labbra costipate della fregna, sotto le grosse mutande scintillanti di seta.
Mi tieni le guance a favore tuo – continua – e infierisci, con l’altra mano, sulla mia vagina. Ti aiuti e la spingi forte, con il ginocchio, violentandomi le cosce, le schiudi per premermi sulla figa. Mi schiacci le grandi labbra per farmi capire chi comanda. Mi premi ... ma non ti basta, vuoi il calore della mia carne: adesso in vagina è tremendo. Allora, tu stesso, mi togli le mutandine e, solo dopo, riparti col ginocchio: spinge e apre la vulva e, allora, si bagna tutto di me. – Mimando ciò che racconta, la grossa donna, si tira giù anche gli mutande, restando così: una immagine quasi in bianco e nero, dove strisce di carne morbida, bianca, arrendevole si alternano al raso pesante del suo intimo scuro. La mutandina di Oyama è ormai sulle calze e Mario si perde sulla vista del suo cespuglio nero, poco depilato, certamente i suoi peli sono intrisi di liquido intimo. involontariamente Mario si lecca le labbra. Involontariamente, Simona, nascosta dietro la porta, ripete quello stesso gesto e si cerca la sua, di figa, trasportata nell’estasi: ma la sua rabbia sorda non scema.
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Ora struscia il ginocchio sul pelo – dice Oyama e sottolinea l’effetto col palmo della mano che si schiaccia e rotea sulla sua figa di donna matura, slabbrandola.
Sei caparbio, sei nervoso con me! Ora mi dai dei piccoli colpi, come se mi prendessi a calci la figa! Ma che vuoi? Quasi mi fai male ... che vuoi? Tu ti arrabbi con me, ti bagni le dita di me, vuoi sfondarmi... forse pensi che sono una troia. Mentre mi hai tra le dita, ipotizzi quanti cazzi posso aver preso prima del tuo: quest’idea ti rende sordo di gelosia ma eccitato dal pensiero. Mi vorresti lasciva e vergine, allo stesso tempo? Tu non vuoi solo fottere ... vuoi profanarmi: io lo sento! – Lei suda, adesso e anche lui. “Ma che cazzo di parole usa questa stronza?” pensa nel buio la povera Simona “Me lo vuole friggere questo marito? Uomo di merda!” A vedere Mario in quello stato, il contrasto dei sentimenti, la stanchezza e il dolore, si impadronirono di Simona, che incapace di reagire, di decidere, siede, abbattuta su un gradino freddo ... incapace di perdersi, le scene terribili che stava sopportando.
Ti strofini su di me, tesoro: ti bagni di me, bocca e figa. Premimi. Dammi la lingua e poi pure il cazzo, facciamola finita! Sfondami... entrami nel corpo... chiudiamo questo cerchio: dammi la tua elettricità, attraverso gli umori bagnati. Chiudi il questo cerchio ... adesso io ti cedo, dappertutto! – e, effettivamente, le dita della signora Erica, erano tutte dentro la sua vagina, danzando in un moto perpetuo e libidinoso.
Io credo, io so ... adesso mi vuoi stesa – e così dicendo si adagiò sulla sua poltroncina, sistemandola a favore della cam – adesso mi salirai sopra, mi aprirai le cosce per metterti a cavallo e, pian piano mi scenderai sulla faccia. Vuoi che ti lecchi sotto, come se tu fossi una donna... addirittura vuoi che ti solleciti il buchetto, mentre ti masturbi per me, caro. Ma poi tradirai la mia buona fede, tenterai di soffocarmi con le tue palle, tutt’e due, tutte in bocca. Con la lingua sentirò la radice durissima del tuo cazzo, come un ramo si erge dal tronco: allora pregusto, immagino, aspetto e anelo di prendertelo, definitivamente in bocca. – Mario era allo stremo, non aveva mai sentito parole così strane, così contrastanti. Quella donna le profferiva come fosse in estasi, gli sembrava davvero una sacerdotessa, adesso. E ciò che raccontava... e quella sua voce sapiente, roca, sensuale. Parlava come se salmodiasse una antica preghiera sessuale: la sua voce, come un serpente, ti attraversava i nervi e ti spingeva a cercare il piacere, come fosse una necessità. Oyama, sulla sedia, aveva bloccato i piedi divaricati, puntellandoli sul tavolino del PC. Contrariamente a ogni estetica erotica, non portava scarpe. Niente tacchi a spillo. Sotto le calze nere, facevano capolino le piccole dita chiare e il piedino affusolato. Sulle pesanti calze, sottili scie bianche, come graffi di gatto, sfilature, sottolineavano la lubricità di quella scena. Le calze usate, sfilate, facevano parte del “costume”; chissà quali unghie le avevano già profanate e quali umori le avevano schizzate. Chissà, se dopo gli accoppiamenti a cui avevano partecipato, erano mai state lavate. Le gambe di Oyama erano un anfiteatro, lo spettacolo, osceno e poetico allo stesso tempo, era la sua vulva, aperta, luccicante per gli umori e lo sputo, che lei attingeva con le dita, metodicamente, dalla lingua. Sotto la calza destra, seminascosta dalla seta nera, si faceva notare, insignificante, eppure fascinoso, un sottile braccialetto d’oro rosso... una Cavigliera. Simona pure osservava la scena, qualche metro più in la; anche lei notò quella piccola catena alla caviglia; ciò non fece che acuire il senso di volgare e discinto che quella donnaccia provocava nel suo animo. Eppure doveva ammettere che, suo marito, era completamente soggiogato.
Ecco, sono pronta sotto di te, ti metti in direzione della mia bocca, mi infili... mi insegni le misure del tuo pene! Mi entri da sopra, per tenermi a favore di una penetrazione totale, in nessun altra posizione potrei sostenere tutto il membro, fino all’ugola. Non posso parlare, non posso lamentarmi: il tuo glande mi è dentro la gola e mi toglie ogni controllo sui miei organi vitali. Dopo le spinte, lo estrai: gronda saliva, densa... la più recondita. Tossisco! Quella stimolazione profonda, innaturale, mi fa emettere muchi. So già che dopo, quando mi lascerai sfinita, mi farà male la trachea. Non hai pietà! Approfitti di quella lubrificazione esagerata per rimettermelo in bocca e cominci a pompare con veemenza, ritmicamente... non mi rimane che adattarmi al tuo oscillare, cattivo: cerco di aspirare un filo d’aria, tra una pompata e l’altra. Per favore, amore... almeno abbassati a leccarmi in figa! – Le dita di Oyama sguazzano tra le sue grandi labbra. Praticamente si batte, si frulla, anche lei cerca l’orgasmo. La mano di Mario sbatte sull’asta, adesso emette un rumore secco come quello di uno schiaffo. Si masturba senza controllo. Dietro di lui, una invisibile Simona, ha gli occhi pieni di lacrime eppure, in maniera meccanica, quasi inconsapevole, si tiene la vulva, calda e gocciolante con la destra, a mo’ di conchiglia.
Adesso sono bloccata sotto di te: non posso che subire e succhiare. – riprende Oyama, mai paga - Mi convinci e mi sobilli leccandomi la figa, sguazzandoci dentro... Mi ecciti al punto di non potermi ribellare contro gli “affondo” insostenibili, del tuo membro di pietra viva. Mi arrendo: aspetto la sborrata. Aspetto che vieni, per prenderti tutto in bocca. Dammi il nettare limaccioso, lo suggerò: berrò sperma chissà per quanto tempo. Ma tu non temere, tesoro, ne uscirai pulito. Non una goccia del tuo seme sarà sprecata... sarai contento della tua Oyama, vedrai. Tu sei tremendo! – Sott’occhi, la sacerdotessa, in un lago di libidine, osservava l’immagine del cazzo masturbato da Mario, cercava i segni del suo piacere... ed ecco: arrivarono! Mario si inarcò in avanti. Si teneva in piedi per miracolo, perchè non era più padrone delle sue gambe. Lo sperma partì dalla punta del pene. Prima una gocciolina piccola piccola, sembrava inoffensiva ma poi, gli spruzzi, partirono come razzi senza controllo, grossi goccioloni bianchi si riversarono alla rinfusa davanti al maschio. Poco dopo, copioso, il resto della sborra, venne fuori come un rivolo opalescente. Il grosso si depositò per terra e, in parte, sui boxer, accartocciati sopra i sandali. Dal computer, incredibilmente fredda, distaccata, venne la voce di Oyama:
Sei stato molto bravo, tesoro. Ora vai pure a lavarti; a presto! – e spense il collegamento, senza aggiungere altro. Nel silenzio innaturale che seguì, Mario restò di stucco. Non sapeva come valutare quell’atteggiamento, però dovette ammettere con se stesso che, ancora una volta, la sacerdotessa dimostrava una “sapienza” nei riguardi del sesso, incredibile. Non c’è donna che non resti eccitata e chieda coccole dopo l’eiaculazione e non c’è maschio che non si secchi e che, dopo raggiunto l’orgasmo, non voglia essere lasciato in pace, almeno per qualche minuto. La sparizione della sua interlocutrice, cadeva come manna dal cielo: Mario, sebbene ancora palpitante, per la copiosa emissione di liquido seminale, si rese conto della pericolosità del suo stato. Prima, eccitato, non riusciva a pensare con lucidità. Ora si rendeva conto che era tardissimo e che, tutt’intorno c’erano spruzzi di sperma. Come avrebbe potuto giustificarsi adesso, se fosse arrivata Simona all’improvviso? Ebbe la sensazione imprecisa di sentire un fruscio provenire dalle scale... ma sperava ardentemente di sbagliare. Preso dalla paura e dal rimorso, pulì alla meglio il suo angolino e si lavò in piedi, approfittando dell’acqua che sgorgava dal lavello del garage: era fredda ma nemmeno ci fece caso. Voleva solo correre a letto, sperando di non avere combinato un casino.
Quando raggiunse il letto, dove Simona pareva dormire profondamente, erano le quattro del mattino.
© - Giovanna Esse 2014 -2020
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